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di AMDuemila
L'intervista a La Repubblica del consulente della Commissione Antimafia. “Rischiamo di tornare a prima di Falcone'

Dopo Sebastiano Ardita, Luca Tescaroli, Piero Grasso, Nino Di Matteo, Gian Carlo Caselli e Nicola Gratteri anche Roberto Tartaglia, oggi consulente della commissione Parlamentare Antimafia, ha criticato aspramente l’invito del CEDU (Corte europea dei diritti dell’uomo) all’Italia di rivedere la legge sull’ergastolo ostativo in vigore nel Paese. "Senza carcere duro avremo meno pentiti" ha assicurato l’ex pm del processo trattativa Stato-mafia a La Repubblica. "Oggi non possiamo permetterci di rinunciare a quelle norme e di avviare un processo di sgretolamento del regime del "doppio binario", cioè la disciplina differenziata per soggetti che, come gli affiliati mafiosi, appartengono a un circuito criminale che, sul piano sociologico, criminologico e culturale, è obiettivamente e innegabilmente differente da tutti gli altri contesti malavitosi". "Non si può negare - ha sottolineato il magistrato - che questa disciplina "differenziata" per i mafiosi, soprattutto sul versante carcerario, ha contribuito a dare un grande sostegno allo strumento preziosissimo delle collaborazioni con la giustizia, senza il quale, piaccia o non piaccia, l'azione repressiva, e talora anche quella preventiva, in materia antimafia non potrebbe certamente essere più la stessa". Per Tartaglia "la sentenza sembra difficilmente superabile e rischia di far proliferare il numero dei ricorsi di detenuti mafiosi oggi all'ergastolo” in pratica significherebbe “tornare a prima di Falcone". “L’unica strada - ha spiegato il magistrato - è attingere all'eccellente cultura giuridica che per tradizione l'Italia detiene. Occorre prestare molta attenzione a tutte le pronunce che la Consulta ha emesso nel corso degli anni per rendere compatibile il "doppio binario" con i fondamentali principi della Costituzione sull'uguaglianza e la finalità rieducativa della pena". E' già accaduto in passato, ha ricordato, "per esempio quando la Corte è intervenuta sulla presunzione assoluta della custodia cautelare in carcere per i mafiosi, trasformandola in una presunzione relativa: e cioè il carcere rimane la regola per i mafiosi, ma è possibile, in presenza di circostanze specifiche ben documentate e provate, sostituirlo in alcuni casi con una misura meno afflittiva". "Al mafioso che non collabora non si possono concedere i benefici penitenziari, ma si può derogare nei casi specifici e rigorosi in cui il giudice ritenga di poter escludere la pericolosità sociale del detenuto anche in assenza di collaborazione" ha concluso.

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