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20190227 don ciotti senigalliadi Davide de Bari e Karim El Sadi
Il fondatore di Libera è intervenuto ieri a Senigallia

All’indomani delle grandi stragi ci sono state delle risposte ferme al punto che le mafie non hanno capito che non potevano andare avanti così, se volevano fare affari. Per questo motivo si sono trasformate. Il problema è che c'è una gran parte del Paese che è rimasta, nella propria testa, ancora a 27 anni fa con Falcone e Borsellino”. Ha iniziato così il proprio intervento, davanti a una platea piena, don Luigi Ciotti durante l’appuntamento di Liberaidee tenutosi ieri sera presso il Teatro "La Fenice" di Senigallia. Don Ciotti, parlando di mafia e corruzione, ha “consegnato” al pubblico “una fotografia”, “frutto di 5 anni del lavoro della Commissione Parlamentare Antimafia e Dia”, dalla quale sono emerei “quattro dimensioni sufficienti per prendere coscienza di uno scatto in più che ognuno di noi è chiamato a fare”. Da queste dimensioni, che variano dal progressivo allargamento del raggio d'azione delle mafie fino ad una più accentuata vocazione imprenditoriale espressa nell'economia legale, don Ciotti ha evidenziato con forza un aspetto importante della mimetizzazione della criminalità organizzata. Cioè “la promozione di relazioni e complicità con attori della cosiddetta area grigia, come emerge dal processo Gotha che coinvolge imprenditori, funzionari, politici e in alcune realtà, pezzi di massoneria deviata”. E’ su questa area grigia, “intesa come lo spazio relazionale al confine tra la sfera legale e quella illegale”, che don Ciotti ha espresso le proprie preoccupazioni.
I mafiosi oggi si collocano all’interno dell’area grigia - ha aggiunto - la quale, così intesa, non è prodotta da un’estensione dell’area illegale in quella legale. Ma c’è una parola che ci dà l’immagine vera: una commistione tra le due aree, cioè l’esistenza di confini mobili opachi tra il lecito e l’illecito”. E’ questa la “fotografia” che gli addetti ai lavori hanno sviluppato nella camera oscura dalla quale Libera, dopo mesi di lavoro su un importante rapporto a livello nazionale sulla percezione delle mafie, ha rivelato un aspetto al quanto allarmante. “C’è un grande pericolo, si sta andando verso una normalizzazione del fenomeno mafia - ha affermato don Ciotti - siccome c'è meno sangue, meno stragi, perché c'è meno violenza, tra i cittadini ‘si dice che c'è (la mafia, ndr) ma non è così pericolosa’”. Una situazione grave, che il fondatore di Libera ha raccontato di aver già visto e vissuto in prima persona quando, con il problema della droga, “si è fatto tutto il contrario di tutto” con discussioni a tema sia in tv che nelle scuole. Un dibattito che poi si è interrotto.
Lo stesso discorso è valso per le malattie veneree come l’Aids perché “si è dato tutto per scontato e c’è stato un rilassamento della prevenzione e dell’informazione”. “Adesso il tema del nostro paese che sta scemando è la legalità, che è diventata l'idolo di cui tutti ci riempiamo la bocca, ma nel frattempo è aumentata la corruzione e l’illegalità nel nostro paese”. Ed è proprio per questo motivo che don Ciotti ha detto che bisogna avere “più forza e più determinazione perchè il futuro ci chiede di andargli incontro non di attenderlo. Dobbiamo dare continuità alle letture di questi problemi non possiamo delegarli solo a qualcuno. - ha detto a gran voce - Il futuro ci chiede di accoglierlo inventando noi forme diverse con determinazione, umiltà e forza”. Il presidente di Libera ha poi ricordato che in Italia “sono 163 anni che si parla di mafie e questo non deve farci dimenticare le azioni positive fatte, ma abbiamo bisogno di leggi che non fanno sconti, non possiamo restare in questa cappa”. Il prete ha fatto riferimento alle leggi come quella sulla corruzione “che ha delle falle” o meglio “virgole e punti che possono cambiarne il senso aprendo un varco”. Per questo motivo don Ciotti ha affermato che “non c'è la radicalità di dire basta, perchè se ci fosse, non si lascerebbe nessuno spiraglio alla corruzione e alle mafie. Se si lasciano delle finestrelle aperte significa che non c'è la volontà da parte di tutti. Il problema più grave - ha aggiunto - non è solo chi fa il male, ma quanti guardano e lasciano fare".

20190227 don ciotti senigallia pubblico

Il problema non sono i migranti, ma la mafia e la corruzione

Durante il suo intervento, don Ciotti ha spiegato che oggi il vero problema “non è rappresentato dai migranti, ma dalla mafia e dalla corruzione”. Fenomeni che per essere contrastati necessitano di “adeguate politiche sociali”. Il presidente di Libera ha poi sostenuto che “noi non possiamo continuare a vivere in un sistema dove le cose contano più delle persone”. Non solo. Don Ciotti ha evidenziato che “le leggi devono tutelare i diritti non il potere” e che “la ricerca dei consensi non debba essere fatta sulla pelle della gente”. Il prete ha poi ricordato le tragiche immagini di alcuni migranti sbarcati in Italia durante il giorno di Natale e come sia difficile per quelle persone vivere ciò in quel giorno in cui tutti dovrebbero passarlo in festa.
Resistenza significa esserci, vuol dire concretizzare. La conoscenza deve essere il cambiamento e la cultura deve risvegliare le coscienze” ha rimarcato don Ciotti. “Oggi la riflessione bisogna farla non solo su chi governa, ma anche sulle politiche che non sono state messe prima in atto. Dobbiamo chiederci - ha aggiunto - come mai non abbiamo lottato per i diritti e abbiamo lasciato correre. Siamo complici anche noi”.
Il fondatore di Libera ha poi ricordato che “la memoria che si vuole difendere è quella viva, che si traduce in tutti i giorni in responsabilità e impegno”. In questo momento “il problema non è solo la perdita della memoria passata, ma anche di quella presente. E a questo contribuisce molto questi telefonini che non sono da criminalizzare - ha spiegato - Oggi si passa da un'immagine all’altra in modo veloce e si perde l’attenzione e il senso critico, si passa da una cosa all’altra come se fossero solo dei flash con il pericolo della digitalizzazione dell’esistenza”. Per don Ciotti per fermare questo fenomeno bisogna “tornare a riflettere e recuperare le relazioni dentro i nostri contesti e realtà”.
Il prete ha concluso il proprio intervento dicendo che “l’accoglienza è la base della civiltà in quanto riconosce la vita” e questo fa parte “della relazione e della vita sociale”. Bisogna far “emergere le cose belle che ci sono” e “prendere atto delle cose fragili”, non “delegando agli altri quello che vogliamo fare noi”. Per il fondatore del gruppo Abele la nostra “è una società debole che si crede forte e fa i muscoli ma in realtà non è forte”. Per questo “dobbiamo iniziare a fare una bonifica delle parole e una dieta di parole” in quanto “ormai ci sono linguaggi che offendono e umiliano” e “dobbiamo ricordarci che le parole sono azioni e responsabilità”.

Foto © ACFB

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