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borrometi paolo liberaA Palermo la presentazione del libro “Un morto ogni tanto”
di Karim El Sadi
Questo è un momento strano nel nostro paese. Un paese che ha bisogno ancora oggi di giustizia e verità che mancano. Io penso a quello che sta passando un magistrato straordinario che si chiama Nino Di Matteo. E’ inaccettabile che in questa terra ci siano stati e ci siano politici che dicono che le minacce a Nino Di Matteo hanno aumentato la sua possibilità di fare carriera, è inaccettabile che in questo paese ci siano persone condannate nella sentenza Trattativa, (in primo grado, ndr) ma è giusto sapere che sono le stesse che già all’epoca hanno depistato, mi riferisco al generale Subranni all’epoca capitano, le indagini per la morte di Peppino Impastato. Se queste cose non le dicono i giornalisti chi le deve dire?”. Così ha esordito il giornalista Paolo Borrometi durante la presentazione del suo libro “Un morto ogni tanto” (ed, Solferino) presso 'Bottega libera', la sede del coordinamento di Libera Palermo. L’incontro aveva l’obbiettivo di “sondare il terreno preparandosi al 21 marzo”, giornata nazionale in ricordo delle vittime innocenti della mafia, trattando il tema del giornalismo di inchiesta. Il direttore de La Spia ha dato inizio al suo intervento parlando a margine di quello che sta accadendo attorno ai magistrati impegnati in processi scomodi, come il processo trattativa Stato mafia, e del silenzio e della delegittimazione di certi organi di stampa e di certi personaggi legati alle vittime di mafia. “E’ fondamentale fare squadra - ha detto rivolgendosi ai presenti - Vedo ogni giorno con tanto dolore che c’è chi addirittura tenta di metterci l’uno contro l’altro, c’è chi sta godendo e c’è chi magari accetta i consigli di qualche avvocato per attaccare qualche magistrato particolarmente esposto a cui noi dobbiamo la vita e noi a quei magistrati come Nino Di Matteo dobbiamo un barlume di verità e attenzione. Oggi è scomparso il tema della trattativa, oggi non si parla più in questo paese di un Presidente del Consiglio, non un imprenditore che ha pagato la mafia. Questa è una cosa gravissima.
E poi il giornalista, rivolgendosi ad alcuni studenti provenienti da una scuola di Torino presenti all’incontro, ha detto: “Tutto questo i ragazzi lo devono sapere perchè questo paese per voi non è un paese dal quale scappare, è un paese meraviglioso, un paese che ha avuto uomini e donne che ci hanno creduto e ci credono e quindi l’Italia vi deve spiegare cosa c’è stato ieri ma soprattutto deve farvi appassionare all’oggi. Chi vi dice che oggi siete il futuro dell’Italia ha perfettamente ragione, voi innanzitutto siete il presente e questo lo dovete comprendere. Voi avete la grande responsabilità di provarci perchè questo paese ha bisogno di normalità e questa normalità sta nel vostro impegno”.

Le inchieste sull’agromafia che portarono alle minacce
Paolo Borrometi, direttore della testata La Spia, è sotto scorta dal 2014 a seguito di una aggressione nei suoi confronti che gli ha “cambiato la vita“ segnandolo “fisicamente e soprattutto psicologicamente”. Lo scorso 22 gennaio è stato di nuovo raggiunto da minacce. Una lettera è stata rinvenuta presso la sede di Tv2000 a Roma con all’interno un foglio in cui era scritto con ritagli di giornale la parola “Picca nai” (Ne hai per poco, ndr) ed alcuni chiodi.
Le minacce e le intimidazioni che Borrometi ha ricevuto fino ad oggi sono giunte a seguito della pubblicazione delle sue approfondite inchieste giornalistiche che hanno in qualche modo scandagliato le mafie locali del ragusano e siracusano. Di grande contributo sono state le sue inchieste sull’agromafia, il “secondo business della criminalità organizzata” dopo il traffico di droga che frutta nelle tasche dei boss 21,5 miliardi di euro all’anno. Un sistema criminale fatto di “filiere” che partono dal caporalato, ovvero lo sfruttamento dei lavoratori pagati in nero 10-12€ al giorno per 8 ore di lavoro da uomini spesso legati alle cosche, detti appunto caporali, fino ad arrivare al prodotto che termina sui piatti degli italiani e non solo. Filiere, quelle delle agromafie, che attraversano diversi passaggi di una collaborazione di diverse organizzazioni mafiose dalle 'ndrine alle famiglie camorriste dei Casalesi i quali, attraverso il trasporto dei bancali di pomodoro nei camion, i cui costi si aggirano intorno ai 600-700€, nascondono armi, droga e refurtiva in modo da sfuggire ai controlli. Riguardo il pomodoro Borrometi è stato autore di una inchiesta sulla società Fenicela più grande del consorzio I.G.P” di Pachino. Il giornalista è riuscito a scoprire, come ha raccontato al pubblico ieri sera, che la società era intestata al figlio di Salvatore Giuliano e al suo braccio destro Giuseppe Vizzini secondo quanto emerso nell’inchiesta, inoltre la loro società non aveva il certificato antimafia ciò ha comportato all’esclusione dell’azienda dal consorzio I.G.P. di Pachino. Le conseguenze di questa esclusione hanno esposto ancor di più Paolo Borrometi, i Giuliano avevano ordinato la sua eliminazione al clan Cappello di Catania tramite un attentato con autobomba che per fortuna “grazie ai magistrati e alla mia scorta” non è mai avvenuto. I boss persero milioni di euro grazie all'inchiesta del giornalista ragusano e lo dichiararono con "strafottenza" ai magistrati: "si volevamo ucciderlo perché non solo ha parlato di noi quando nessuno parlava di noi e poi perché con quella inchiesta ci ha fatto perdere milioni di euro di ordini che avevamo da tutto il mondo”. “Quel giorno ho fatto il mio dovere per non farvi finanziare le mafie” ha concluso l’autore del libro “Un morto ogni tanto”.

Il ruolo dell’informazione
Borrometi ha anche parlato della figura di Giuseppe Gennuso, definendolo come “pittoresco”. Quest’ultimo è un deputato regionale arrestato per voto di scambio voto politico-mafioso. “Resta in carcere un mese - ha ricordato Borrometi - fin quando il tribunale del riesame lo rimette in liberta scarcerato perchè accusato di aver comprato i voti ma non dalla mafia, quindi non c’è il carcere preventivo, ci sarà un processo e se li ha comprati andrà in galera”. Gennuso, ha ricordato Borrometi, ha esultato “perchè il tribunale del riesame aveva detto che aveva comprato i voti non dalla mafia ma da una associazione ciclistica (con all’interno personaggi mafiosi, ndr)”. Gennuso cinque volte deputato parlamentare della regione ha una “serie di attività imprenditoriali enormi” con numerose società. “Scopro - ha detto Borrometi - che mette nelle società dei commercialisti che non erano origininari di Siracusa ma di Castelvetrano, famoso drammaticamente per aver dato i natali a quello che scappa (Matteo Messina Denaro, ndr). Prendo gli atti del comune di Castelvetrano che è un comune sciolto per mafia ed uno dei motivi dello scioglimento è il collegio revisione conti del comune fatto da commercialisti. Gennuso - ha continuato Borrometi - è stato così sfortunato che i suoi commercialisti sono gli stessi del super latitante Matteo Messina Denaro per i quali il comune di Castel Vetrano è stato sciolto. Quando ho scritto queste cose il giorno della mia uscita del libro ha detto di querelarmi. Nel comunicato stampa si leggeva “è vero che ho quei commercialisti ma non li ho mai utilizzati. E’ giusto o non è giusto - ha concluso - che ognuno di noi sappia chi va a votare e sappia che c’è un deputato in questo parlamento regionale che ha gli stessi commercialisti di Messina Denaro che hanno portato allo scioglimento del comune di Castelvetrano?”. Rispondendo a una domanda dal pubblico Borrometi ha ribadito il concetto di fare informazione sana, prendendo per spunto i dibattiti mediatici avvenuti dopo la sentenza del processo Aemilia, il processo che ha dimostrato definitivamente la presenza della mafia al nord Italia. Borrometi ha ricordato che uno degli imputati condannati era Vincenzo Iaquinta, campione del mondo dei mondiali 2006, l’ex calciatore è stato condannato in primo grado a due anni di carcere per possesso di armi assieme al padre, anche lui condannato ma per affiliazione alla ‘ndrangheta per la quale dovrà scontare 19 anni di carcere. “Qualche giorno dopo la sentenza (del processo Aemilia, ndr) vidi un servizio fatto molto bene in cui si vedevano le immagini del mondiale vinto che concludeva dicendo ‘però ci hai fatto vincere i mondiali possiamo perdonare qualche disattenzione (in riferimento a Vincenzo Iaquinta, ndr)’. Tenere e nascondere le armi di un condannato per mafia è un reato e se noi banalizziamo - ha detto Borrometi - in quello che è spettacolo in informazione rischiamo lo stesso fenomeno che è avvenuto con la morte di Riina” quando si discuteva di una morte dignitosa per il Capo dei Capi. “Quella massificazione del pensiero - ha concluso il giornalista ragusano - porta a quegli spettacoli che non hanno nulla a che fare con l’informazione”. Il ruolo del “giornalismo libero è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia, il resto è propaganda. Il suo compito è additare ciò che è nascosto, dare testimonianza e pertanto essere onesto” si legge tra le prime pagine del libro “Un morto ogni tanto”. Per questo motivo e per il coraggio di Paolo Borrometi ieri gli è stata conferita la cittadinanza onoraria della città di Palermo che Borrometi ha dedicato a Vincenzo Agostino, padre di Antonino, ucciso da Cosa Nostra assieme a sua moglie Ida, in dolce attesa, il 29 marzo 1961.

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