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Il cognome di cardinal Vagnozzi forse appuntato nell'agenda dell'ex Nar

Il giorno in cui Gilberto Cavallini, sotto processo con l’accusa di concorso nella strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, avrebbe dovuto essere sentito in aula era già stata fissata, il prossimo 19 dicembre. Ma il presidente della Corte d’assise Michele Leoni ha deciso di rimandare l’esame dell’imputato a inizio 2019 perché quel giorno, sul banco dei testimoni, torneranno il dirigente della Digos di Bologna, Antonio Marotta, e il maggiore del Ros Goffredo Rossi. Oltre all’esito di accertamenti già richiesti, il presidente Leoni vuole informazioni su un prelato del Vaticano, il cardinale Ugo Poletti, sul boss della banda della Magliana Franco Giuseppucci, ucciso a Roma il 13 settembre 1980, e su un altro nome legato alla criminalità organizzata romana, Enrico De Pedis, assassinato in un agguato il 2 febbraio 1990. Ma non solo.
Il giudice Leoni vuole informazioni anche sul padre di De Pedis e sulle sue attività tra il 1980 e il 1983. Perché? Il padre di De Pedis era noto anche come “Caino”, un soprannome che torna sull’agenda di Cavallini associato a depositi di armi. Certo, allo stato attuale non c’è alcuna sicurezza che i due siano la stessa persona, ma al lavoro di verifica richiesto dal presidente della Corte d’assise si è aggiunto un quesito posto da uno degli avvocati di parte civile, Andrea Speranzoni: controllare se all’inizio degli anni Ottanta a Rebibbia ci sia stato un detenuto che corrispondeva al cognome di Vagnozzi.

Il cardinale ostile a Marcinkus
Ad annotarlo - in una lunga lista composta da neofascisti, fiancheggiatori e persone da eliminare - è stato Gilberto Cavallini su un’agenda sequestratagli nel 1983, dopo il suo arresto. A differenza degli altri riportati nell’elenco, accanto a Vagnozzi non c’era il nome proprio, ma solo la dicitura Rebibbia. Allo stato delle conoscenze, non risultano eversori di estrema destra che si chiamano così e, dunque, non si esclude che potesse essere un detenuto comune.
Ma un uomo con quel cognome c’è stato. Si tratta di Egidio Vagnozzi, nato a Roma nel 1906 e morto all’improvviso in Vaticano il 26 dicembre 1980 all’età di 74 anni. Dell’omelia pronunciata da Giovanni Paolo II nel corso delle sue esequie, celebrate nella basilica di San Pietro il 31 dicembre dallo stesso pontefice, si trova ancora traccia sul sito della Santa Sede.
Francesco Pazienza, l’ex consulente del Sismi condannato per il depistaggio sulla strage di Bologna, lo ha citato nel suo libro autobiografico e le sue parole sono state poi riprese dal giornalista Ferruccio Pinotti. È accaduto in relazione a un avvocato di Zurigo vicino all’Opus Dei, Peter Duft, che di Vagnozzi era stato consulente e a lui il prelato aveva affidato molti documenti. Qui, sostiene Pazienza, c’erano carte definite “pericolosamente compromettenti” su monsignor Paul Marcinkus, il potente capo dello Ior, la Banca vaticana, coinvolto in vicende criminali che richiamano spesso la P2 di Licio Gelli e che vanno dall’epoca di Michele Sindona a quella di Roberto Calvi.
Vagnozzi era un nemico dichiarato di Marcinkus e le carte depositate in Svizzera potevano far parte di un dossier che il cardinale aveva messo insieme proprio sul conto il vescovo americano fin dal 1967, l’anno in cui fu nominato al vertice della Prefettura per gli affari economici della Santa Sede. Secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, a determinarne poco dopo le dimissioni erano stati flussi di milioni di dollari che, attraverso lo Ior, finivano su conti elvetici riconducibili a Sindona, il quale li avrebbe usati per finanziare i colonnelli che, proprio nel 1967, erano andati al potere in Grecia dopo un colpo di Stato.

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© Ansa


Dallo Ior al sequestro Moro

Vagnozzi, di queste vicende, non poté parlarne perché - ha spiegato la giornalista Rita Di Giovacchino - vincolato al segreto pontificio. Ma il cardinale, sostenitore dell’arcivescovo di Venezia Albino Luciani, avrebbe comunque continuato a osservare cosa avveniva nei forzieri del Vaticano tentando di porvi rimedio. Una delle strade fu convogliare i voti del Conclave proprio verso Luciani, che il 26 agosto 1978 divenne Giovanni Paolo I e che nel proprio mirino continuava ad avere Marcinkus. Ma la sua morte improvvisa, il 28 settembre 1978, trentatré giorni dopo essere stato elevato al soglio pontificio, stroncò questo percorso che, nelle intenzioni di Vagnozzi, doveva contrastare “forze oscure” che si erano infiltrate in Vaticano.
Più di recente, però, il nome di Egidio Vagnozzi è tornato d’attualità perché inserito nelle carte dell’ultima Commissione Moro, quella che, nel corso della XVII legislatura, ha prodotto una relazione depositata nel dicembre 2017. Cosa c’entrano il cardinale e il rapimento del presidente della Democrazia Cristiana, sequestrato dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1978 e ucciso 55 giorni dopo? Il collegamento passa per un gruppo di palazzine romane che si trovano in via Massimi 91, a Roma. Via Fani, il luogo in cui la scorta di Moro fu sterminata e il politico prelevato, dista circa un chilometro e mezzo e qui, è stato scritto nella relazione della commissione, ci sarebbe stata la prima prigione dell’ostaggio.
Mai, dal 1978 ad oggi, era stato svolto un serio lavoro accertativo sui condomini di Via Massimi 91”, ha scritto il presidente Giuseppe Fioroni. Dagli accertamenti condotti dalla commissione, invece è emerso che in quegli edifici, costruiti dalla società Prato Verde, riconducibile allo Ior, trovò casa una eterogenea varietà umana. In essa va annoverato il cardinale Vagnozzi, ma anche - di nuovo - monsignor Marcinkus. Si aggiungevano una giornalista tedesca, Birgit Kraatz, legata a un militante della sinistra extraparlamentare, Franco Piperno, e un generale del Genio civile, Renato D’Ascia. Quest’ultimo collaborò anche con il Sismi ed era in collegamento con la guardia di finanza divenendo, forse, un informatore delle Fiamme Gialle nella localizzazione della prigione di Moro.

Già era emerso il nome di Poletti
Sempre in via Massimi 91 aveva sede una società americana, la Tumpane company, chiamata anche Tumpco, che risulta essere stata fornitrice della Nato essendosi occupata di radar, missili e attrezzature aeree. Chiusa il 30 giugno 1982, la Tumpco svolgeva - scrive ancora la commissione Moro - anche “attività di intelligence a beneficio di organo informativo militare statunitense la cui sede era in edificio di Via Veneto a Roma, gergalmente noto come ’The Annexe’”. Va aggiunto che il fondatore dell’azienda, John J. Tumpane, fu “presidente distrettuale della Society of the Holy Name, una organizzazione laicale legata ai domenicani”.
Difficile dire, a valle di tutte queste informazioni, cosa possa legare Gilberto Cavallini al cardinale Egidio Vagnozzi, sempre che sia lui il “Vagnozzi” che compare sull’agenda dell’ex terrorista. In attesa degli accertamenti chiesti dalle parti civili, se verranno accolti dalla corte, emerge però una coincidenza già raccontata da Antimafia Duemila ed emerge da un’altra agenda. È quella sequestrata stavolta a Stefano Soderini, l’ex militante della formazione neofascista Terza Posizione poi transitato nei Nar che nel 1983 venne arrestato proprio con Cavallini a Milano. Alla pagina corrispondente a sabato 19 giugno 1982, si legge: “Tel. Card. Poletti”. Questa volta la parola abbreviata “card.” rende più agevole ipotizzare che si tratti del cardinale Ugo Poletti, il presidente della Cei e vicario generale della diocesi di Roma che autorizzò la sepoltura di Enrico De Pedis, ritenuto uno dei boss della banda della Magliana, nella basilica di Sant’Apollinare, in terra vaticana. Poletti e De Pedis, sempre le stesse persone su cui il presidente dalla Corte d’assise di Bologna ha chiesto accertamenti.

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