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aula cc c imagoeconomicaIl 18 ottobre saranno sentiti i primi testi della Procura
di Aaron Pettinari
Saranno sentiti il 18 ottobre i primi testi al processo contro i marescialli dei carabinieri Saverio Masi, ex capo scorta del magistrato Nino Di Matteo ed anche teste al processo trattativa Stato-mafia (difeso dal legale Claudia La Barbera), e Salvatore Fiducia (difeso dall'ex pm ed oggi avvocato Antonio Ingroia). Lo scorso marzo il gup Maria Teresa Moretti aveva disposto il giudizio davanti al giudice monocratico Marina Minasola. I due carabinieri sono accusati di calunnia e diffamazione nei confronti di sette ufficiali dell’arma (Gianmarco Sottili, Francesco Gosciu, Michele Miulli, Fabio Ottaviani, Gianluca Valerio, Antonio Nicoletti e Biagio Bertodi difesi dagli avvocati Claudio Gallina Montana, Ugo Colonna, Basilio Milio ed Enrico Sanseverino).
Oggi c'è stata la costituzione delle parti e l'ammissione delle liste testimoniali, quindi alla prossima udienza verranno ascoltati gli ufficiali di Polizia giudiziaria che hanno compiuto alcuni accertamenti per la Procura di Palermo, rappresentata in aula dal pm Padova. Con il consenso delle parti il giudice ha anche ammesso Radio Radicale, per le registrazioni audio delle udienze, rilevando l’importanza del processo che è di pubblico interesse.
Va ricordato che in passato la Procura aveva chiesto nei confronti di Masi e Fiducia l’archiviazione così come per gli ufficiali da loro accusati di aver “frapposto continui ostacoli nel corso di indagini mirate alla cattura di super latitanti”. Il Gip Vittorio Alcamo, però, lo scorso aprile ha ritenuto di disporre l’imputazione coatta con la stessa ordinanza con cui archiviava le denunce presentate nel 2013 dei due Carabinieri nei confronti dei loro superiori, comunque senza parlare di inattendibilità delle dichiarazioni. Nella disposizione di rinvio a giudizio secondo il Gip “nessuno dei pubblici ufficiali sentiti è stato in grado di fornire un avallo alle propalazioni di Masi”. Tuttavia, leggendo il documento di richiesta di archiviazione emergono le dichiarazioni del generale Nicolò Gebbia, oggi in pensione, che dice di essersi accorto di essere stato “preso in giro e condotto per il naso verso direzioni che non erano quelle che avrebbero potuto assicurare alla giustizia i principali latitanti di mafia”, e vi sono anche le dichiarazioni di una decina di ufficiali e sottufficiali dei carabinieri che hanno parlato di una serie di fatti che hanno impedito di svolgere adeguate indagini.
Inoltre la Procura, che nella richiesta di archiviazione aveva escluso per Masi e Fiducia la sussistenza del reato di calunnia non rinvenendo nelle loro accuse l'elemento soggettivo del reato, non ha mai parlato di falsità per le dichiarazioni dei due militari e parzialmente aveva riscontrato un episodio, già prescritto, riferito al mancato sequestro di un computer durante la perquisizione a casa dell'ex consigliere provinciale Udc Giovanni Tomasino.
E' alla luce di questi elementi che il nuovo procedimento contro i due marescialli appare "paradossale". Due testi "scomodi" che hanno avuto il coraggio di denunciare fatti che, altrimenti, sarebbero rimasti oscuri.

Masi al processo trattativa
Inoltre la testimonianza di Masi ha avuto anche un rilievo al Processo trattativa Stato-mafia per quanto concerne l'episodio della perquisizione del 17 febbraio 2005, nell'abitazione di Massimo Ciancimino. La Corte d'assise di Palermo, nelle motivazioni della sentenza, ha analizzato le testimonianze degli ufficiali dei carabinieri in servizio in quel giorno, in particolare evidenziando quella di Antonello Angeli, "un altro dei (non pochi) testimoni 'sconcertanti' apparsi sul proscenio di questo processo". "Da un ufficiale dell'Arma dei Carabinieri con una brillante carriera che lo ha condotto al grado di colonnello e ad incarichi di sicuro prestigio, quale quello di Comandante del Nucleo addetto alla vigilanza del Palazzo del Quirinale e, persino, di addetto alla scorta personale del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano - scrivono i giudici - ci si attenderebbe il massimo sforzo di collaborazione con la Giustizia e comportamenti corretti e lineari. Sennonché, il Col. Angeli, sentito dal Pubblico Ministero nel 2009 come persona informata dei fatti, come si evince dalle puntuali contestazioni fattegli durante l'esame e sopra riportate, ha certamente nascosto fatti di cui era a conoscenza ed, in alcuni casi, non ha detto la verità". Nello specifico, contro Angeli, hanno deposto il Maresciallo Saverio Masi e l'appuntato Lecca. Ed entrambi i loro racconti vengono definiti dai giudici come "più veritieri".
Perché dunque Masi dovrebbe aver commesso una diffamazione o una calunnia in questa nuova occasione?
Non è la prima volta che Masi si deve difendere da fatti simili, come la condanna in Cassazione per falso materiale e tentata truffa. Una vicenda, quella, che traeva origine da una contravvenzione di 106 euro, elevata dalla Polizia Stradale a Saverio Masi il 19 gennaio 2008. In quella data il maresciallo si trovava in servizio con un’autovettura privata per svolgere attività di polizia giudiziaria ed era intento a raggiungere un informatore che lo aveva contattato sollecitando un incontro urgente. E in quel processo non entrarono cinque relazioni di servizio, depositate invece al processo che ha visto l’assoluzione di Sottili per diffamazione a Masi, in cui si attesta che il maresciallo ed altri investigatori del medesimo reparto, utilizzarono una Renault 4 intestata al fratello dello stesso Masi per operazioni di polizia giudiziaria.
Sempre a Roma è in corso il processo per diffamazione (praticamente per la stessa denuncia che viene contestata a Palermo) nei confronti di otto giornalisti (Sigfrido Ranucci, Dina Lauricella, Sandra Rizza, Giuseppe Lo Bianco, Antonio Padellaro, Sandro Ruotolo, Walter Molino e Michele Santoro) Saverio Masi, Salvatore Fiducia e l’avvocato Giorgio Carta. Nei loro confronti avevano sporto denuncia gli ufficiali dei Carabinieri Giammarco Sottili, Michele Miulli, Fabio Ottaviani e Stefano Sancricca dopo una conferenza stampa.
In un Paese che vive di segnali, anche un procedimento aperto può lanciare un messaggio e la sensazione, alla luce dei fatti, è che ci si trovi nuovamente di fronte al tentativo di “colpirne uno per educarne cento” e magari far tacere chi ha visto e ha il coraggio di parlare.

Foto © Imagoeconomica

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