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Ascoltati i collaboratori di giustizia Camapanella, Di Raimondo e Di Giacomo. Quest’ultimo cambia versione
di AMDuemila
"Marcello D'Agata mi disse che Ciancio era protetto dai Corleonesi". "Ciancio aveva fatto un articolo grave e si era deciso di fare un attentato. Ne parlammo con Eugenio Galea, che era il nostro referente con contatti su Palermo, e Bernardo Provenzano gli disse di non toccarlo".
Sono questi due passaggi dell'esame, nei giorni scorsi, del collaboratore di giustizia Maurizio Avola al processo per concorso esterno in associazione mafiosa a carico dell'editore catanese Mario Ciancio Sanfilippo. Avola, killer del giornalista Pippo Fava, non era stato così chiaro nel 2009, quando è stato sentito dai pm catanesi. Avola ha riferito di un'arrabbiatura del boss Pippo Ercolano per un articolo pubblicato su La Sicilia, così il magistrato Antonino Fanara è dovuto intervenire ricordando al pentito che quando fu ascoltato "lei ci aveva detto che Ercolano e Ciancio si erano chiariti. Non era stato così specifico con questa storia dei corleonesi. Perché non ci ha raccontato prima di questi fatti?". A quel punto Avola ha dichiarato di non ricordare il verbale per poi aggiungere: "Ma siamo sicuri che non l'ho detto? Nemmeno nel 1994? Può essere che non mi ricordavo l'accaduto. Non saprei signor procuratore". Proseguendo con l'esame Avola ha anche ricordato che Cosa nostra a Catania all'inizio degli anni Novanta aveva progettato di uccidere il giornalista Andrea Lodato, de La Sicilia. Il motivo? Aveva raccontato la storia di quattro ragazzini, Benedetto Zuccaro, Giovanni La Greca, Riccardo Cristaldi e Lorenzo Pace, colpevoli di avere scippato la borsetta alla mamma di Nitto Santapaola, e per questo motivo uccisi da Cosa nostra. L'incarico lo avrebbe ricevuto da Aldo Ercolano e dal suo luogotenente, Marcello D'Agata. "Lo abbiamo pedinato nella zona della scogliera di Catania, ma poi non se ne fece nulla", ha concluso Avola riferendosi a Lodato.
Il 'pentito' ha anche parlato di un attentato da compiere, tra il 1987 e il 1988 alla Tv privata Telecolor, allora non di proprietà del gruppo Ciancio, che "collegava Santapaola e Ercolano all'omicidio del sindaco Vito Lipari", ma "dopo un incontro con un dirigente della televisione si chiarì la vicenda e tutto finì".
Un altro 'pentito', il boss Natale Di Raimondo, ex capo dei Santapaola nel quartiere Monte Po, ha sostanzialmente confermato le dichiarazioni rese nei precedenti interrogatori.
"Ciancio? Mai conosciuto ma ero a conoscenza dell'amicizia con la famiglia Santapaola - ha detto l'ex boss catanese - Me lo ha raccontato in carcere Pippo Ercolano. Avevano anche spostato un giornalista allo Sport perché aveva scritto un articolo che non era piaciuto". L'accusa ha chiesto il nome del giornalista ma il pentito ha detto di non ricordare il nome.
Altro teste "complicato" è stato Giuseppe Maria Di Giacomo, con una lunghissima serie di "contestazioni" effettuate sia dal Pm che dal collegio di difesa, presente in aula con gli avvocati Carmelo Peluso e Francesco Colotti. L'ex reggente del clan dei Laudani, Pippo Di Giacomo, che ha contraddetto, a volte ribaltandole, le dichiarazioni precedentemente verbalizzate dall'accusa. Per questo agli atti del processo entreranno le trascrizioni integrali della deposizione di oggi e dei precedenti verbali delle sue dichiarazioni. Di Giacomo è un nome importante, tornato alla ribalta perché inserito nella lista dei nomi del cosiddetto "protocollo Farfalla", quel patto tra Dal e Servizi che prevedeva la possibilità di quest'ultimi di avvicinare i boss, anche quelli reclusi al 41 bis, senza il bisogno di informare l'autorità giudiziaria.
Parlando del furto subito in villa da Ciancio nel lontano 1993, in una precedente udienza, il collaboratore di giustizia Giuseppe Catalano aveva riferito di un incontro, per restituire la refurtiva a Ciancio, perché "amico della famiglia", avvenuto in una villa di San Giovanni La Punta. A quell'incontro sarebbero stati presenti anche Aldo Ercolano e lo stesso Di Giacomo.
Ma quest'ultimo oggi ha cambiato versione rispetto a quanto detto nel 2009 quando disse che il nipote di Nitto Santapaola come interessato a tornare indietro la refurtiva a Ciancio. "Non ricordo la presenza di Ercolano ma quella di Santo Battaglia e Marcello D'Agata - ha detto in aula per poi giustificarsi - Oggi ho un ricordo più lucido di allora. Non avevo le idee chiare, ero turbato e venivo da un lungo periodo di isolamento".
Ma anche altri dettagli non combaciano rispetto il verbale del 2009.
Il processo è proseguito con l'esame di Francesco Campanella, affiliato a Cosa nostra palermitana e fedelissimo del boss di Villabate Nino Mandalà, il quale ha anche parlato di un incontro tra Paolo Marussig e Raffaele Lombardo in riferimento ad un progetto di un centro commerciale nell'area di Catania.
Assente il boss 'pentito' Alfio Luciano Giuffrida, sono stati acquisiti i suoi verbali.
Il processo è stato aggiornato al 3 luglio alle 15 con l'audizione del pentito Di Carlo.

Foto © Imagoeconomica