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In aula i tanti "non ricordo" di Francesca Mambro
di Antonella Beccaria
La notizia della giornata giunge alla ripresa, dopo la pausa pranzo. È un telegramma di cui il presidente della Corte d’Assise di Bologna, Michele Leoni, dà lettura appena rientrato in aula. “Chiedo cortesemente alla signoria vostra di poter essere convocato nel processo Cavallini [...] onde depositare atti e documentazione di possibile interesse. Con osservanza. Francesco Pazienza. Si tratta del consulente del Sismi piduista già condannato in via definitiva, oltre che per il crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, anche per i depistaggi alla strage di Bologna con il capo della loggia P2 Licio Gelli e due ufficiali dei servizi segreti militari, il generale Pietro Musumeci e il colonnello Giuseppe Belmonte.
Ora si dovrà decidere se ammettere Pazienza come testimone nel processo che vede imputato l’ex Nar Gilberto Cavallini, accusato di concorso nella strage del 2 agosto 1980. Nelle liste presentate dalle parti a inizio dibattimento, il suo nome non compariva e la decisione è tutt’altro che scontata, dato che l’istruttoria è in corso e, ai sensi del codice di procedura penale, solo al termine potrebbe essere inserito. Intanto, nell’udienza del 30 maggio, si è proseguito con la deposizione di Francesca Mambro, l’ex terrorista nera libera dal 2013 dopo essere stata condannata a 9 ergastoli, compreso quello per gli 85 morti e gli oltre 200 feriti della stazione di Bologna inflitto anche al marito, Valerio Fioravanti, e al terzo componente del commando, Luigi Ciavardini, ai tempi diciassettenne e per questo giudicato colpevole dalla giustizia minorile.

“Bologna subisce un’enorme menzogna”
Nel secondo giorno di deposizione, la donna è passata dai proclami politici ai non ricordo. “Ho memoria di poche cose”, ha sostenuto aggiungendo però che “questa città subisce ancora una menzogna enorme”. Lo ha fatto dopo l’ennesima domanda sui suoi movimenti il 2 agosto, da Villorba di Treviso a Padova, dove ha detto di essere stata con Fioravanti, Ciavardini e Cavallini che li ha poi lasciati a Prato della Valle per andarsene e ricomparire un po’ di tempo dopo. La donna, già ai vertici dei Nuclei Armati Rivoluzionari, per avvalorare la propria versione ha chiamato in causa le dichiarazioni rese negli anni Novanta al giudice istruttore di Milano Guido Salvini, che ai tempi indagava sulla strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969.
In particolare ha chiamato in causa Carlo Digilio, l’armiere di Ordine Nuovo che, con le sue dichiarazioni, consentì all’inchiesta di compiere alcuni degli importanti passi avanti che portarono al riconoscimento, tra l’altro, delle responsabilità nella bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura dei neofascisti veneti Franco Freda e Giovanni Ventura. Digilio, noto nell’ambiente con il soprannome di Ziotto (o Zio Otto), confermò che Gilberto Cavallini aveva lasciato sul davanzale del suo ufficio di Venezia (e non di Padova) un borsone di armi. Accade il 2 agosto 1980 intorno alle 13.30, tre ore e cinque minuti dopo l’esplosione a Bologna (la deflagrazione alla stazione risale alle 10.25), e l’armiere di Ordine Nuovo sostenne anche di non aver scambiato nemmeno una parola con l’ex terrorista oggi imputato.

La testimone ai giudici: “Siete stati depistati”
Mambro, di questo, afferma di aver parlato fin da subito. Nella realtà, però, i verbali in cui si parla di Ziotto risalgono a quindici anni dopo la bomba di Bologna. Questione di punti di vista, dettagli non chiesti nel corso del tempo e dunque non esplicitati, si giustifica lei ricordando anche gli interrogatori resi al giudice istruttore di Palermo Giovanni Falcone che indagava sull’omicidio del presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, assassinato il 6 gennaio 1980.
In un crescendo di tensione, Mambro a un certo punto ha esclamato: “Io non avrei dovuto parlare da subito, avrei dovuto restare lì a guardare il muro”. Da qui ne è disceso un botta e risposta tra l’accusa, rappresentata in aula dai pm Enrico Cieri, Antonello Gustapane e Antonella Scandellari, e la teste. Un botta e risposta su dichiarazioni attuali e precedenti, in particolare - di nuovo - sugli spostamenti di quel periodo, fino a quando Francesca Mambro ha affermato rivolgendosi all’aula: “Tanta gente ha sempre mentito. Voi siete stati depistati. Noi, invece, siamo stati condannati sull’altare della necessità storica, di uno scenario politico-internazionale”, facendo riferimento alla già scartata pista palestinese.
Questi gli accadimenti di massima in aula. Scendendo invece nei dettagli, occorre fare il punto tra ciò che Francesca Mambro ricorda e ciò che dice di aver dimenticato. Nella prima categoria, oltre al fatto di essere innocente per la strage, ricorda che dalla Sicilia, a fine luglio 1980, lei e Fioravanti vennero via perché Francesco Mangiameli, il leader palermitano di Terza Posizione che poi assassinarono il 9 settembre 1980, li aveva cacciati dalla sua casa di Tre Fontane, dove avevano soggiornato nella seconda metà di luglio del 1980. Motivo? Vari, tra cui un diverbio sulle origini somale di Giorgio Vale, un altro esponente dei Nar. Così furono costretti a tornare a Roma, ma la città non era sicura e allora, forse, il 30 luglio raggiunsero Taranto. Come? Mambro non ricorda, forse in treno. E lì, di nuovo forse, ad attenderli c’era Mauro Addis, un componente della banda di Renato Vallanzasca che stava procurando ai neofascisti un covo in Puglia.

I progetti a favore di Concutelli
Ma anche a Taranto non andava bene. E allora, forse in auto con Addis, Mambro e Fioravanti tornarono a Roma, in una convulsa sequenza di spostamenti che poi li portò a imbarcarsi, nella serata del 31 luglio, su un volo per Venezia dove trovarono Gilberto Cavallini ad attenderli. Come lo avevano avvertito, visto che quel trasferimento sarebbe stato deciso all’ultimo momento? Neanche questo viene spiegato. “Forse gli ha telefonato Valerio”, ha ipotizzato Mambro. Ma quando e a quale numero non si sa. “Questo è un grande interrogativo”, ha concluso il presidente Leoni secondo il quale difficilmente Cavallini poteva essere stato informato tramite il numero di telefono dell’agenzia di viaggi della sua compagna, Flavia Sbrojavacca, chiusa la sera in cui decisero di partire per Venezia e di qui arrivare a Villorba di Treviso, dove trovarono anche Luigi Ciavardini.
“Ho subito avuto un atteggiamento di collaborazione”, ha ribadito la teste secondo cui, nell’estate del 1980, l’unico progetto comune, il “filo conduttore” dei Nar, oltre che sparare sulle forze dell’ordine, era l’evasione dell’ordinovista Pierluigi Concutelli, l’assassino del magistrato romano Vittorio Occorsio, ucciso nel 1976 mentre indagava su eversione, P2, sequestri di persona, riciclaggio dei riscatti e banda dei Marsigliesi. “Trovo singolare che mi venga fatta una richiesta sul 2 agosto così tante volte. Quello che ricordavo l’ho detto, quello che non ricordavo non l’ho detto. Ribadisco l’assoluta estraneità delle persone imputate e condannate per la strage del 2 agosto”.
Che pensava invece dei legami con i servizi segreti soprattutto da parte di Ordine Nuovo, ma anche di Avanguardia nazionale, legami che tanto lontano avrebbero spinto gli spontaneisti dei Nar? Una “narrazione” diffusa all’epoca, per Mambro, in base alla quale non si sapeva “se si parlava con loro o con il ministero dell’Interno”. E allora perché - ha chiesto, tra l’altro, l’avvocato di parte civile Nicola Brigida - rischiare la vita per far fuggire dal carcere Concutelli, che da quel mondo veniva? “Perché era stato condannato all’ergastolo, era in carcere, scontava il fine pena mai”, ha ribattuto la teste (nel 2011 la pena del detenuto è stata sospesa per ragioni di salute e gli sono stati concessi i domiciliari). “Chi aveva pagato in prima persona, era degno di essere liberato”.

In foto: Francesco Pazienza, ex agente segreto (© Imagoeconomica)

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