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strage bologna 1980 c ansadi Antonella Beccaria
I Nar, i Nuclei Armati Rivoluzionari, erano una banda armata con un programma eversivo che mirava, attraverso un crescendo di azioni, all'attacco frontale allo Stato. Il dirigente della Digos di Bologna, Antonio Marotta, ha tracciato un quadro storico nel corso dell'udienza dell'11 aprile del processo a carico di Gilberto Cavallini, accusato di concorso nella strage alla stazione del capoluogo emiliano, dove il 2 agosto 1980 una bomba uccise 85 persone e ne ferì oltre 200. E lo ha fatto citando azioni criminali e successive rivendicazioni.
Come quella giunta il 24 giugno 1980. Il mattino del giorno precedente, Cavallini e Luigi Ciavardini, condannato in via definitiva per l'attentato a Bologna, uccisero il pubblico ministero di Roma Mario Amato perché indagava sull'eversione di estrema destra. E nel suo mirino era finito anche Giuseppe Valerio Fioravanti, il leader dei Nar riconosciuto poi, insieme a Ciavardini e Francesca Mambro, come uno degli esecutori del massacro del 2 agosto 1980. Amato era così convinto della gravità di quanto stava maturando negli ambienti del neofascismo da aver, per due volte (la seconda appena prima di essere assassinato), chiesto al Csm uomini e mezzi per le sue indagini. Inutilmente. Perché il Consiglio Superiore della magistratura, rappresentato in quelle sedi dal piduista Ugo Zilletti, non raccolse gli appelli del magistrato.
Amato fu lasciato solo. Addirittura l'auto che avrebbe dovuto scortarlo da casa alla procura di Roma non poteva passare a prenderlo alle 8 del mattino per un problema di turni, che iniziavano un'ora più tardi. E allora il magistrato, seguito e studiato nei suoi movimenti dai neofascisti, attese l'autobus alla fermata vicina alla sua abitazione. Ma quel 23 giorno di 38 anni fa giunse una moto, una Honda 400, guidata da Luigi Ciavardini. Gilberto Cavallini, che sedeva dietro, gli sparò un colpo alla nuca da breve distanza.
Il giorno dopo giunse una telefonata che segnalava un comunicato dei Nar lasciato in una cabina telefonica di via Carlo Felice, sempre nella capitale. Qui si forniva il movente dell'omicidio (per le mani di Amato "passavano tutti i processi a carico dei camerati") e l'annuncio di future esecuzioni ("altri la pagheranno"). Con questa seconda frase, probabilmente, si intendeva anche l'eliminazione, poi non attuata, del giudice istruttore trevisano, Giancarlo Stiz, la cui "colpa" era stata quella di aver imboccato tra i primi la pista nera per la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 e di aver fatto arrestare Giovanni Ventura e Franco Freda, ai vertici di Ordine Nuovo.
Ma a delineare la portata dei Nar - tracciata anche dalla deposizione del maggiore del Ros Goffredo Rossi, comandante della sezione anticrimine di Bologna dall'ottobre 2015 - c'è stato anche altro. In questo altro va compresa una serie di testi, tra cui quelli pubblicati dal nero Mario Guido Naldi su Quex, rivista clandestina che raccoglieva scritti soprattutto dal mondo carcerario e che pubblicò pure un foglio programmatico di 25 pagine firmato da Mario Tuti, accusato e assolto per la strage al treno Italicus del 4 agosto 1974 e condannato all'ergastolo per l'omicidio di tre militari che a Empoli, il 24 gennaio 1975, dovevano effettuare la perquisizione di casa sua.
La capacità operativa dei Nar è stata scandagliata attraverso specifici episodi, come il fatto che la moto rubata e poi usata per uccidere Mario Amato venne parcheggiata in una caserma dell'aeronautica militare di Monte Rotondo, come testimonia pure uno schizzo trovato in una giacca dimenticata a Roma da Valerio Fioravanti e che gli costerà l'inizio della latitanza. Una giacca in cui c'erano anche due etti di cocaina, 14 fototessera di Fioravanti e 12 munizioni 38 special con la testa incavata, come quelli usati per l'omicidio Amato. Ma sono stati fatti pure nomi di personaggi che si sono ritagliati ruoli non marginali della recente storia italiana.
È stato citato Adalberto Titta, ritenuto uno dei vertici del Noto Servizio (chiamato anche Anello), un servizio segreto non istituzionale che si sarebbe occupato di vicende oscure, come la fuga nel 1977 dell'ufficiale nazista Herbert Kappler dall'ospedale militare del Celio o la trattativa con la camorra di Raffaele Cutolo nel 1981 per il rilascio dell'assessore ai lavori pubblici della Campania, Ciro Cirillo, sequestrato dalle Brigate Rosse. E sono stati citati anche il generale Pietro Musumeci e il colonnello Giuseppe Belmonte, ufficiali del Sismi condannati per i depistaggi sulla strage del 1980.
Ma soprattutto è stato ricostruito il ruolo centrale di Gilberto Cavallini. È lui che si occupa di far curare Luigi Ciavardini, ferito a un sopracciglio da un colpo di rimbalzo nell'azione del 28 maggio 1980, quando a Roma viene ucciso l'agente Francesco Evangelista e rimangono feriti i suoi colleghi, Antonio Manfreda e Giovanni Lorifice. È sempre Cavallini che va all'aeroporto di Venezia il 31 luglio dello stesso anno, quando dalla Sicilia arrivano Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, per portarli nel covo di Villorba di Treviso. Gestisce auto usate dal gruppo e ha disponibilità, oltre che di documenti falsi, anche di strumenti per realizzarne di nuovi.
Infine, è a lui che viene trovata, al momento dell'arresto, avvenuto a Milano il 12 settembre 1983, un'agenda con la copertina di plastica nera. Qui sono annotati i nomi di pentiti di estrema destra o di persone di quell'area che avevano iniziato una qualche forma di collaborazione con la giustizia. Delatori, insomma, agli occhi dei neri e, accanto a ogni nome, era stata tracciata una croce (addirittura due a fianco del nome di Walter Sordi, che il 7 agosto 1981 aveva iniziato a parlare).
Su questi temi si tornerà all'inizio della prossima udienza, fissata per il 18 aprile, quando il maggiore Goffredo Rossi sarà controesaminato dai legali della difesa di Cavallini, gli avvocati Gabriele Bordoni e Alessandro Pellegrini. Ma soprattutto saranno sentite tre donne. Sono Flavia Sbrojavacca, la compagna di allora dell'imputato, Elena Venditti, ex di Luigi Ciavardini, e la sua amica, Cecilia Loreti, legata a un altro estremista nero.
Rapporti tra i componenti della banda, gli argomenti trattati, dunque, ma anche gli spostamenti del 2 agosto 1980, quando Elena Venditti avrebbe dovuto partire per Venezia, dove aveva appuntamento con il fidanzato dei tempi, ma poi non partì. Motivo: Ciavardini la avvertì, attraverso una telefonata allo zio dell'amica, che era meglio non prendere il treno. Esattamente come fece con un'altra ragazza il 28 maggio precedente, quando fu ucciso l'agente Evangelista, davanti al liceo Giulio Cesare. Non era il caso di andare a scuola quel giorno.

In foto: il recupero delle salme della strage di Bologna del 2 agosto 1980 (© Ansa)

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