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costa gaetano wiki pp37 anni fa l’agguato di Cosa nostra
di AMDuemila
Era il 6 agosto 1980 quando Gaetano Costa venne ucciso in via Cavour, a Palermo. E morì dissanguato, davanti a un’edicola, nell’ultimo giorno in cui il magistrato era senza protezione. Per il giorno dopo, infatti, era previsto l’arrivo della scorta.
La mafia è nella cosa pubblica”, era solito dire il procuratore capo di Palermo, che due anni prima era arrivato a Caltanissetta. Fu proprio Costa ad essere tra i primi ad intuire la pericolosità di questo binomio, in una Sicilia dove ancora le forze politiche e investigative si giravano dall’altra parte, lasciando che Cosa nostra guadagnasse i suoi miliardi. Era, infatti, il periodo in cui la mafia era in fase di evoluzione, e dai campi coltivati era passata ai gangli dell’amministrazione pubblica dove controllava appalti, assunzioni e gestioni di ogni genere.
Fu in questo clima che Costa, appena nominato capo della Procura di Palermo, dichiarò fermamente: “Non accetterò spinte o oppressioni, agirò con spirito di indipendenza. Cercherò di non farmi condizionare da simpatie e risentimenti”.
L’unico con cui poteva parlare senza riserve era il capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo, Rocco Chinnici. Con lui discuteva delle ultime inchieste, sempre e solo in ascensore, l’unico posto dove non c’era il rischio di destare sospetti. Le indagini si concentravano sulle famiglie Spatola, Gambino e Inzerillo, sui contatti tra Cosa nostra siciliana e americana che condividevano il grosso affare del traffico di stupefacenti. Un’indagine che Boris Giuliano, capo della Squadra Mobile di Palermo, pagò con la vita il 21 luglio 1979, e proseguì nelle mani di Emanuele Basile, capitano dei carabinieri della compagnia di Monreale, poi ucciso la sera del 4 maggio dell'anno dopo. Fu proprio a poche ore dalla morte di Basile che i carabinieri riuscirono ad arrestare 33 persone. Il rapporto di denuncia che fu presentato dai carabinieri fu firmato solo da Costa: nessun altro, in procura, si assunse quella responsabilità. Fu così che quell’atto firmato in completa solitudine decretò la morte del procuratore: invano Costa aveva cercato di spiegare ai sostituti l’importanza di dare un segnale forte per porre fine a quella scia di sangue che sembrava non volersi arrestare. “Mio marito fu lasciato solo a firmare i mandati di cattura contro la cosca Spatola-Inzerillo. Qualcuno lo additò addirittura come unico responsabile di quei mandati. Lo andarono a raccontare in giro agli avvocati dei mafiosi, ai giornalisti” disse Rita Bartoli, moglie di Costa, in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera il 14 settembre 1983. Di lui scrisse un suo sostituto che era un uomo “di cui si poteva comperare solo la morte”. Al funerale parteciparono poche persone e pochi magistrati, tanto per rimarcarne l'isolamento anche dopo la sua morte. L’omicidio Costa, nonostante la Corte di assise di Catania ne abbia accertato il contesto individuandolo nella zona grigia tra affari, politica e crimine organizzato, non ha un colpevole.

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