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2Presentato a Palermo “Il filo dei giorni”
di Aaron Pettinari - Foto
“C’è una verità giudiziaria che avverrà dopo 20 anni tra primo, secondo e terzo grado. Una verità che spesso viene manomessa, parzialmente o totalmente. Se vogliamo raccontare ciò che è avvenuto in certi momenti storici dobbiamo essere più veloci, evitando anche certi rischi. Questo libro nasce così, anche per questo. Dopo aver recuperato i faldoni al Tribunale di Roma su un’inchiesta che è stata archiviata ma che ha lasciato tracce importanti”. Maurizio Torrealta, giornalista e scrittore, presenta così “Il filo dei giorni” (edito da Imprimatur). Un romanzo in cui, attraverso una storia inventata ma non troppo, si ripercorrono le vicende della Falange Armata, sigla del terrore che in Italia si è resa protagonista negli anni che vanno tra il 1990 ed il 1995.
“Nostro compito deve essere quello di raccontare e di rendere comprensibili i fatti - ha aggiunto l’autore - A volte noi ci troviamo di fronte a queste colonne d’Ercole su fatti indicibili. E per oltrepassarle si deve ricorrere ad un nuovo modo. Noi abbiamo sempre schematizzato gli anni del 1992 e del 1993 all’interno di un dialogo tra lo Stato e la mafia ma in realtà al centro c’era anche un terzo soggetto importantissimo della storia stragista del Paese: l’esercito segreto di Gladio. Questa entità, svelata nel 1991, era una struttura che ha combattuto una guerra fredda segreta, sfidando le leggi e mantenendo un regime di segretezza assoluto. Un’entità potente che aveva diretto collegamento con il Sifar e la Cia. Questo esercito segreto non voleva essere portato alla sbarra e così ha messo in piedi una lunga serie di attività e ricatti. Alcuni racconti sono inseriti nel libro”.


Torrealta ha anche ricordato un episodio avvenuto ad una conferenza in presenza di Lupo e di Grasso. “Ad un certo punto prese la parola Carl Colby che disse quanto gli fu riferito dal padre, capo della Cia, ovvero che da sempre la mafia era stata arruolata”. E poi ha aggiunto: “Ci sono alcune morti naturali, avvenute nel nostro Paese che non mi convincono a rigor di logica. Parlo della morte in carcere di Antonino Gioé, del pm Gabriele Chelazzi e potrei continuare. C’è una sostanza, come la Digitalis Purpurea che imita perfettamente le disfunzioni cardiache. L’attentato ai Gerogofili appariva evidentemente non mafioso. Nessuno sa che all’Accademia delle belle Arti lavorava il presidente del Senato Giovanni Spadolini. Ecco alcune verità indicibili che vanno raccontate”. Accanto all’autore, coordinati dal moderatore Pietro Orsatti, sono intervenuti il giornalista de Il Fatto Quotidiano Peppino Lo Bianco e l’ex pm Antonio Ingroia. Quest’ultimo ha ricostruito il contesto in cui si inseriscono i fatti del romanzo: “Torrealta ha mantenuto i riflettori accesi su quelle vicende, che hanno segnato il nostro Paese e in cui si è avuta una delle tante trattative tra i poteri legittimi e quelli criminali con le stragi che, in maniera sanguinosa, hanno contrassegnato l’impossibilità di avere una vera democrazia.il filo dei giorni Ed è proprio la democrazia la vera vittima di quell’azione che è stata condotta da apparati nazionali e non solo”. Poi ha proseguito: “Certo da una parte è triste vedere che un giornalista investigativo, appassionato dell’inchiesta giudiziaria è costretto ad usare una forma come quella del romanzo per non incorrere in rischi. E’ triste per l’informazione vedere che per raccontare i fatti si debba usare uno schermo come quello della finzione. E’ uno dei sintomi di una democrazia malata.
Come sintomo è il fatto che alcuni pm ad un certo punto smettano di essere magistrati ed inizino a fare politica semplicemente perché non è più permesso loro di fare il proprio mestiere, perché ci si accorge che certi sentieri che vorrebbe percorrere non sono più percorribili se non si cambiano i binari, e se la politica non smette di considerare la magistratura come subalterna, minacciandone l’autonomia e l’indipendenza.
Così accade che per cercare la verità, oltre che i processi, il magistrato debba intervenire con interventi pubblici, libri ed interviste. E lo stesso vale anche per il giornalista. Ci sono verità indicibili che vanno oltre ad una mafia coppola e lupara e non è solo Riina e Provenzano”.
Da parte sua Peppino Lo Bianco ha ricordato che “certe vicende segnano la nostra storia dagli inizi degli anni Quaranta ad oggi, con la strage di Portella della Ginestra. Fatti che affondano le proprie radici proprio alle origini della democrazia. E La Falange Armata rientra in questo schema che si ripropone. Un gruppo di persone che dal 1990, con l’omicidio di Umberto Mormile, al 1995 inaugurano una campagna di terrore e di informazione. Da un lato si uccidono persone dall’altro si inquinano le indagini ed anche altri fatti che poi si incrociano con le vicende delle stragi del 1992 e del 1993, per poi proseguire”.

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