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pettinari bondidi Karim El Sadi
Partendo dal presupposto che, se si parla di infiltrazione con la criminalità organizzata in Italia, nessuna regione è "immune", quindi neanche le regioni che potrebbero sembrare "isole felici" come "Marche ed Emilia Romagna sono estranee all'influenza del condizionamento mafioso". A dirlo è stato Aaron Pettinari (capo redattore di ANTIMAFIADuemila), intervenuto insieme al professore di Diritto Penale all’Università di Urbino Alessandro Bondi all'incontro tenutosi venerdì nella biblioteca di San Michele al Fiume intitolato 'Infiltrazioni mafiose tra Marche ed Emilia Romagna'. Il nome dell'incontro "non deve stupire" ha detto Pettinari perché è ormai un dato di fatto che l'onda della mafia "non ha investito solo Puglia, Calabria, Sicilia o Campania" ma è un fenomeno che riguarda l'intero stivale e frutta circa 150 mld all'anno. Una visione, questa, che non tutti hanno. Basti ricordare, ad esempio, la dichiarazione del prefetto pesarese Luigi Pizzi, secondo cui per le Marche si può parlare di isola felice, o semi-felice, in quanto “non risultano infiltrazioni criminali nella pubblica amministrazione, né segnalazioni di dirigenti pubblici coinvolti in storie di corruzione o concussione”. Parole che hanno suscitato non poche polemiche tra cui quella del procuratore generale facente funzione Enrico Gebbia, ricordate dal giornalista di ANTIMAFIADuemila: "Non è significativo il dato statistico di omessa segnalazione di reati di stampo mafioso, vista la presenza sul territorio di personaggi legati per parentela e biografia ad associazioni di tipo mafioso". Non finisce qui, a confutare definitivamente la dichiarazione di Pizzi non sono solo le 293 intercettazioni disposte per monitorare vicende in odore di mafia o i 58 beni immobili confiscati alle cosche nelle Marche. Ma addirittura la relazione della Dna del 2015 che parla di "massicce presenze 'ndranghetiste nel territorio marchigiano". pettinari bondi pubblicoPer quanto riguarda l'Emilia Romagna invece la cosa è al quanto più seria, è sufficiente citare il processo Aemilia con 147 imputati e le inchieste Kyterion e Pesci per rendersi conto di quanto la mafia, o più precisamente la ‘Ndrangheta, non solo è presente ma addirittura parte della vita politico-economica della regione. Per l'Emilia Romagna "non si può più parlare di infiltrazione mafiosa ma di radicamento perché il rapporto con l'imprenditoria e con l'amministrazione pubblica diventa stabile, fa parte di noi e non fa clamore" ha detto il professor Bondi. In base alla sue esperienza di ex vice sindaco di Cattolica, ha spiegato come certi processi, accaduti in passato in Emilia Romagna, possono anche ripetersi oggi nelle Marche. Bondi ha così evidenziato quello che è stato il modus operandi delle cosche nella sua regione. Ossia, in primo luogo, fungere da “banca” prestando denaro. In secondo luogo diventare imprenditori in prima persona, inserendosi all'interno del consiglio di amministrazione come soci di minoranza, per poi avanzare richieste (dallo svolgere attività illecite alla restituzione del denaro a tassi usurai) fino a costringere gli impresari a cedere l’attività.
Una pratica che si sta espandendo a macchia d'olio in tutta Italia e che, potenzialmente, potrebbe realizzarsi anche nelle Marche. La domanda allora viene da se: per quale motivo le mafie sono interessate a questa regione? Senza dubbio le Marche offrono un habitat favorevole allo sviluppo di attività illecite e ciò è dovuto anche dall'avvento della crisi nei vari settori del territorio (quello calzaturiero su tutti), ma anche dalla costruzione di grandi opere come la Terza Corsia dell'A14, la Quadrilatero ed oggi la ricostruzione post-terremoto. Naturalmente sono presenti anche i soliti esercizi delle cosche. Dal racket della prostituzione, agli interessi nella gestione di locali notturni, fino ad impieghi nettamente più gravi come lo spaccio di droga o l'estorsione. "La stragrande maggioranza di sequestri di stupefacenti effettuati nel marchigiano vedono la presenza di almeno un elemento vicino a pettinari bondi 2soggetti affiliati ai clan - ha affermato Pettinari - lo scorso marzo ad esempio la Dda di Ancona ha smantellato un’organizzazione criminale che smerciava droghe in tutta Italia e utilizzava metodi mafiosi". Dulcis in fundo vi sono gli incendi dolosi appiccati nelle Marche meridionali, o addirittura la latitanza del killer Pietro Pernagallo, (della famiglia mafiosa dei Madonia di Caltanissetta) catturato a Montegranaro nel 2010. Insomma, che l’isola felice sia scomparsa non lo dicono solo i fatti ma anche i numeri (crescita di usura al +74% ed estorsioni al +18%), valori che contribuiscono a finanziare quel ramo commerciale della criminalità organizzata che rappresenta quasi il 10% del Pil nazionale. La crisi finanziaria è stata una “benedizione” per il business delle mafie e una “maledizione” per le imprese italiane (marchigiane incluse). Il rischio, secondo Pettinari, è che accanto allo sviluppo della criminalità organizzata si possa verificare anche una maggior azione di quei reati propri dei cosiddetti colletti bianchi. Entrambi i relatori infine hanno spiegato come ogni cittadino può fare la sua parte in questa lotta: “Se davvero si vuole aiutare in qualche modo le forze dell'ordine bisognerebbe testimoniare (ove ce ne fossero) quelle che sono le attività illecite o di stampo mafioso agli organi competenti". Sarebbe giusto quindi soffermarsi a pensare a certi fenomeni ed avere "la responsabilità di indignarci sempre", perché la Mafia c'è ovunque e Marche ed Emilia Romagna non sono altro che isole di questa 'penisola infelice'.

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