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processo aemilia c ansa 2Presentata istanza affinché il dibattimento prosegua a “porte chiuse”
di Aaron Pettinari
Un bavaglio alla stampa, alle associazioni che hanno il coraggio di raccontare, una volontà precisa di impedire ai giovani di essere presenti ed ascoltare con le proprie orecchie, senza filtri, un processo che è già entrato nella storia.
Di fatto è questa la richiesta fatta dai 140 imputati in questo dibattimento scaturito in seguito all’operazione “Aemilia” che portò allo smantellamento di quella che, secondo gli inquirenti, è una vera e propria associazione ‘ndranghetista legata direttamente alla cosca calabrese di Cutro, Grande Aracri.
Un processo che è diviso in due tronconi. Il primo, in abbreviato, ha già visto ben 58 condanne molte delle quali proprio per il reato di associazione mafiosa. Il rito ordinario, invece si celebra da marzo 2016 e molto probabilmente andrà avanti per tutto il 2017. Ed è proprio qui che l’imputato Sergio Bolognino ha preso la parola da dietro le sbarre per leggere l’istanza comune rivolgendosi direttamente al presidente della Corte, Francesco Maria Caruso: “Signor presidente, i sottoscritti imputati detenuti chiedono di voler procedere affinché il processo si svolga a porte chiuse. Da quando è iniziato stiamo assistendo a un linciaggio mediatico. Il tribunale acquisisca e verifichi gli articoli del giorno dopo il dibattimento. E prenda dei provvedimenti. La libertà di stampa significa non distorcere i fatti”.
L’attacco degli imputati è chiaro ed è rivolto ai giornalisti della stampa locale (cita Telereggio, TG Reggio e la Gazzetta di Reggio) e ai volontari delle associazioni antimafia Agende Rosse di Modena e Bresciello che da quando è iniziato il maxi processo raccontano quanto avviene in aula. Sono soprattutto le associazioni a dare fastidio, colpevoli di aver realizzato una pagina Facebook in cui vengono riportate le parole di pm, avvocati, ed anche imputati, in ogni udienza. “Ogni articolo pubblicato - sostiene Bolognino - è sempre in chiave accusatoria anche quando esame e contro-esame hanno dato un quadro diverso. Ogni articolo pubblicato è sempre in chiave ‘ndranghetista, si fa riferimento alla cosca anche quando nel capo di imputazione non è prevista l’aggravante. Ci sono state numerose smentite sulla Gazzetta di Reggio e ci sono pendenti denunce nei confronti della Gazzetta per aver pubblicato notizie distorte”.
Poi ecco l’invettiva contro le Agende Rosse e le associazioni: “C’è un sito pubblico su Facebook, sempre comunque in chiave accusatoria. I pentiti che non dovrebbero conoscere leggono su Facebook quello che viene detto. Il processo penale è una cosa seria”.
Tra le critiche effettuate anche il permesso dato alle scolaresche di assistere alle udienze, un fatto che avviene anche in altri luoghi in Italia (ad esempio a Palermo durante le udienze del processo trattativa Stato-mafia) e che dovrebbe essere effettuato in ogni Regione. Secondo gli imputati ciò non va bene perché “le scolaresche e le associazioni partecipano, ma solo per ascoltare la parte accusatoria e vanno via quando c’è il contro-esame”. Secondo il documento letto in aula da Bolognino “allo stato attuale noi e le nostre famiglie siamo additate ogni giorno come colpevoli. C’è gente innocente totalmente e chi è colpevole ma non per questo fa parte di una cosca. La presunzione di colpevolezza sulla quale si basano questi media non è prevista dalle leggi dello Stato”. E' chiaro che che gli imputati vorrebbero che non si parlasse più di loro e, soprattutto, che si spegnessero i riflettori su un processo che sta permettendo a molti di aprire gli occhi su una realtà che fino a qualche tempo addietro era celata. Ovviamente durante l’udienza i cronisti hanno chiesto di poter avere il documento, ma la richiesta è stata respinta dagli stessi imputati.
Il pubblico ministero della Dda Marco Mescolini durante l’udienza ha replicato di non ritenere che ci siano gli estremi legali per chiudere le porte del processo ai mezzi d’informazione e si è rimesso alla decisione del tribunale’. Il presidente della corte, Francesco Maria Caruso, ha messo la richiesta agli atti e comunicherà la decisione nella prossima udienza.
Intanto, però, su quelle gravissime parole lette in aula, sono già scattati i primi interventi della politica. In particolare è il Movimento 5 Stelle, con una nota congiunta di Luigi Gaetti, senatore e vice presidente della Commissione antimafia, Giulia Sarti, capogruppo in Commissione antimafia e Maria Edera Spadoni, parlamentare di Reggio a chiedere addirittura che il processo sia mandato in onda on-line: ‘Leggiamo attoniti le richieste degli imputati di Aemilia che vorrebbero un processo a porte chiuse senza giornalisti, scolaresche e nessuna diffusione sui social. Alla loro arroganza rispondiamo con un ‘NO’ grande come una casa e rilanciamo la richiesta della diretta online di tutte le sedute. Informeremo inoltre il Ministro dell’Interno affinché sia garantita la massima protezione a tutti i giornalisti e blogger che si occupano di questo importantissimo processo”.

La redazione di ANTIMAFIADuemila non può che associarsi alla richiesta dei parlamentari Sarti, Gaetti e Spadoni. Il clima che si respira in Emilia Romagna è simile a quello che si percepiva in Sicilia anni addietro, quando la parola “mafia” era impronunciabile. Evidentemente fa paura lo squarcio del “velo di Maya” su una mafia che ha esteso le sue radici anche in quella terra. Ed è proprio per questo che un processo di questo tipo va raccontato e diffuso il più possibile. Noi abbiamo cercato di dare il nostro contributo grazie all’impegno costante di una nostra collaboratrice. Continueremo a farlo, ancor di più ora che la libertà di informazione viene minacciata da assurde richieste.

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