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beati paoli rappresentazioneAl processo Grande Passo 3 le intercettazioni della mafia di Corleone
di Aaron Pettinari
Tornare all’antico. È questa, secondo i boss la via da seguire per continuare a fare affari senza entrare nel mirino degli inquirenti. Le continue operazioni, gli arresti, i sequestri, i processi hanno messo a dura prova le famiglie mafiose così a Corleone e a Chiusa Sclafani stavano pensando di riorganizzarsi.
Da una parte l’idea di “fare come i Beati Paoli”. Dall’altra la possibilità di compiere anche un gesto eclatante, per accreditarsi ed affermare il proprio potere. Un’azione simile a quella compiuta dagli stiddari, nel 1990, capaci di uccidere il giudice Rosario Livatino.
Di queste cose parlavano Vincenzo Pellitteri e Pietro Paolo Masaracchia, ignari di essere intercettati il 6 settembre 2014 mentre si trovavano a bordo della Chevrolet Matiz del primo. I boss sono stati arrestati nell’operazione Grande Passo 3, coordinata dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dai sostituti Sergio Demontis, Caterina Malagoli e Gaspare Spedale e presto prenderà il via il processo con il rito abbreviato. Queste intercettazioni dimostrano, di fatto, le ambizioni della cosca e la volontà di crescere.
“Si deve cambiare metodo - suggeriva Pellitteri - queste bottiglie, queste mischiate, queste cose…”. E poi ancora: “Dobbiamo trovare un metodo nuovo, un metodo giusto se mi devono fottere, mi devono fottere in una certa maniera… così alla buona no”. Per sfuggire in qualche maniera alle indagini c’era l’idea di “organizzare qualcosa per non farci riconoscere, come si può fare? Andarci e non farti riconoscere, mi segui?”. E l’idea viene subito colta da Pietro Masaracchia, che suggeriva di tornare ai Beati Paoli: “Tu ti metti un cappuccio in testa… se queste persone non ti vedono in faccia, sanno chi sei tu? Anticamente quando c’erano le riunioni… si mettevano tutti il cappuccio e si cambiavano di posto… tutti lo stesso colore, tutti gli stessi e con la candela accesa… quindi era difficile sapere chi è che diceva le cose… che parlava”. Ma il problema non erano solo le riunioni ma anche la riscossione del pizzo. C’era la necessità di “un sistema nuovo”, con segnali convenzionali da lasciare al posto delle bottiglie incendiarie (“Invece di lasciare una bottiglia gli lasci un segnale dove gli dici: questo corrisponderà con la persona che verrà, punto. Non hai neanche bisogno di dirglielo in faccia”). Oppure di scambiarsi messaggi e pizzini scritti con “la mano manca”, la sinistra, per non farsi riconoscere.
“Io vedi che mi sono allenato - diceva Pillitteri - e te lo volevo dire, mi sono allenato a scrivere con la mano manca… che io sono fituso vedi… con la mano manca è difficile identificarti”. L’altro invece suggeriva l’utilizzo del normografo per lasciare messaggi di minaccia.

Verso il futuro
I nuovi boss sembrano dunque in crisi ma resta la loro pericolosità. Attendono con ansia la scarcerazione di Giovanni Grizzaffi, il nipote del boss Salvatore Riina, e già annunciano nuove manovre. “Tutti gli accordi che c’erano non ci sono più… che le persone sono morte tutte… quelli che avevano certe cose… ora… ora è così… chi si sente fuochi (prende in mano la situazione traducono i carabinieri). Diceva Masaracchia. E Pellitteri ribattiva: “Ma sono convinto, fratè, una volta da questa parte, una volta da quella parte, nel raggio di qualche annetto… devono succedere cose grosse… che qualcuno deve cadere in qualche cantoniera… (finisce fuori strada - traducono ancora i militari) Così si allinea... si allinea tutto in una volta…”. Ma è il passaggio che segue che diventa ancora più esplicito ed inquietante, ovvero quello in cui si cita l’azione della Stidda e l’omicidio di Livatino: “Bisogna ragionare con la testa degli altri... non con la testa mia… sminchiando a questo, non puoi sapere tu… quanto cresci… tu non te lo puoi immaginare… Perché quando quelli “sticdiatura (quelli della Stidda) sminchiarono a quello… a Levatino (Livatino, ndr) là… minchia se ne sono saliti”. Quindi se la prendevano anche con i pentiti, evidenziando il grande numero di collaboratori di giustizia presente a Palermo. “A Palermo quanti pentiti ci sono, a Palermo? Minchia tutti i pentiti sono a Palermo…” commentava Masaracchia. E Pellitteri rilanciava: “Palermo, Palermo è il territorio più tinto che ci può essere”.

Info foto: un’immagine simbolica dei Beati Paoli (www.siciliafan.it)

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