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appalti gruda narcomafie.it
“Nell’indagine Aemilia si assiste alla rottura degli argini” da parte della criminalità calabrese in Emilia, dove “la congrega è vista entrare in contatto con il ceto artigianale e imprenditoriale reggiano, secondo una strategia di infiltrazione che muove spesso dall’attività di recupero di crediti inesigibili per arrivare a vere e proprie attività predatorie di complessi produttivi fino a cercare punti di contatto e di rappresentanza mediatico-istituzionale”.
E’ questo, secondo il Gup Francesca Zavaglia, il salto di qualità dell’inchiesta sulla ‘Ndrangheta della Dda di Bologna. Lo si legge in uno dei passaggi chiave delle 1.390 pagine della sentenza del processo concluso ad aprile con 58 condanne in abbreviato, 17 patteggiamenti, 12 assoluzioni e un proscioglimento per prescrizione. Dato caratterizzante è proprio “la fuoriuscita dai confini di una microsocietà calabrese insediata in Emilia, all’interno della quale si giocava quasi del tutto la partita, sia quanto agli oppressori che alle vittime”.

Esemplare la vicenda dell’azienda svenduta al prezzo di un caffè. Si tratta della “Naturalmente srl”, che a Campagnola Emilia gestiva un parco adibito per ospitare matrimoni. Indebitata con le banche, ma nel mirino delle cosche che se ne volevano appropriare “o con le buone, o con le cattive”. Un vero incubo quello vissuto dall’imprenditore reggiano Pietro Ferrari che, dopo mesi di minacce,nel 2009 ha ceduto la proprietà delle sue quote del valore di 9500 euro circa per un simbolico euro. Il prezzo di un caffè.

A raccontarlo lo stesso imprenditore sentito oggi come testimone nell’udienza del processo Aemilia contro la ‘ndrangheta, in corso nel tribunale reggiano. Ferrari ha puntato il dito contro i suoi aguzzini: Antonio Valerio, considerato il braccio destro del capo bastone locale a Reggio Emilia, Nicolino Sarcone e Roberto Turra.
“Non si viveva più – racconta l’imprenditore – venivano tutti i giorni, durante i matrimoni, le quote le ho dovute cedere. E neanche l’euro mi hanno dato”. Ai lavori dell’aula era presente con la fascia tricolore anche il sindaco di Castelnovo Monti Enrico Bini, che proprio nei giorni scorsi ha auspicato una maggiore presenza in aula degli amministratori pubblici per sostenere i testimoni che denunciano.
Gli imputati del processo sono 147, 34 accusati di associazione di stampo mafioso. Alla sbarra – decine nelle gabbie, due al 41 bis, altri liberi e altri ancora ai domiciliari – gli imprenditori edili cutresi accusati di aver fatto false fatture, estorsioni, incendi; i capi clan che li avrebbero comandati; qualche colletto bianco emiliano finito nella rete e membri delle forze dell’ordine forse conniventi.

Tratto da: narcomafie.it

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