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lo forte guido 1“La mafia rialza la testa”
di AMDuemila
La "terza mafia" della provincia di Messina, quella dei Nebrodi, "sta rialzando la testa". E’ questo l’allarme lanciato dal procuratore di Messina, Guido Lo Forte (in foto) che non si sbilancia troppo sulle indagini per scoprire autori e movente dell'agguato di ieri notte a Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi, pur manifestando un cauto ottimismo.
“Diciamo che l’attentato di ieri è un fatto molto grave, molto preoccupante - dice il magistrato - Può sembrare sorprendente soltanto a chi non aveva, o non ha, una consapevolezza concreta del fenomeno mafioso  e del suo radicamento nella provincia di Messina e delle sue evoluzioni. Purtroppo non ha sorpreso questo ufficio poiché da tempo, da più di un anno, in base a un’analisi ricavata da un contesto globale di investigazioni sul territorio, era facile prevedere che dopo un decennio di incontrastata egemonia esercitata dalla mafia barcellonese, essendosi incrinata tale egemonia non soltanto dal punto di vista quantitativo ma anche e soprattutto qualitativo”. “Basti pensare - aggiunge - che tutti i cervelli dell’organizzazione barcellonese sono al ’41 bis’. Per questo era facile prevedere che le altre mafie radicate sul territorio, per prima la nebrodina, si proponesse per una riorganizzazione e un progetto di riemersione e riespansione. Non posso dire altro ma sicuramente, ci saranno presto sviluppi”.

Parlando della mafia dei Nebrodi Lo Forte sottolinea come sia “una delle organizzazioni criminali tra le più antiche e pericolose. Dopo che i clan di Barcellona Pozzo di Gotto e di Messina sono stati colpiti in maniera forte anche dalle operazioni antimafia, i 'Batanesi' e i 'Tortoriciani' stanno cercando di recuperare terreno e spazi". Le indagini si concentrano sulla cosiddetta "mafia dei pascoli", quella più antica. “La definizione ‘mafia dei pascoli’ è storicamente corretta ma da alcuni anni è anche fuorviante, perché è vero che è la più antica, già radicata negli anni Venti e negli anni Trenta. Ed è una mafia che indubbiamente a quell’epoca nasce e si sviluppa e le cui attività principali consistono nel controllo della principale risorsa economica allora esistente sul territorio, che era appunto quella della pastorizia. Usare questa repressione oggi, però, è ingannevole, perché evidentemente ciascuna mafia sfrutta di volta in volta le possibilità economiche che si presentano e così come in passato aveva partecipato allo sfruttamento delle occasioni fornite dalla realizzazione dell’autostrada Palermo-Messina, oggi sfrutta questo nuovo business costituito dai contributi comunitari. Quindi i pascoli non c’entrano più niente”.
Sulla lettura da dare all’attentato al presidente Antoci Lo Forte evidenzia come “nn ci sia dubbio che fra le motivazioni di base e immediate, ci sia quella di presumere di interrompere o di condizionare un processo di corretta amministrazione che ha determinato notevoli ‘danni’ per le organizzazioni mafiose. In tutto questo, naturalmente, la scelta delle modalità più o meno gravi della reazione, in questa misura, si può spiegare meglio attraverso una lettura di contesto”. Ovvero che la mafia nebordina, “nel tentativo di riorganizzarsi e acquisire predominanza ha deciso di agire”. Tra le ipotesi che sia anche un atto intimidatorio generalizzata, un messaggio per tutti e per far capire chi è ora che comanda. “Non posso dire altro sull'inchiesta in corso - conclude Lo Forte - ma sicuramente ci saranno presto degli sviluppi". Nelle indagini sono coinvolti anche altri reparti di alta specializzazione della polizia di Stato. "I sostituti Vito Di Giorgio, Angelo Cavallo e Fabrizio Monaco hanno subito raggiunto i luoghi interessati e si stanno impegnando al massimo per individuare i colpevoli", prosegue Lo Forte. Uno degli investigatori parla di "attacco da guerriglia civile", con scene da "terrorismo mafioso". Ma il 'commando' non avrebbe fatto i conti con la reazione del vicequestore Davide Manganaro e degli altri poliziotti. Secondo queste indiscrezioni, gli aggressori sarebbero "almeno tre", ma è "difficile dirlo con precisione". La ricostruzione si basa sulle testimonianze della vittime: "hanno visto il lampo procurato da ogni esplosione, ma non le persone che hanno sparato", dicono gli inquirenti.

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