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fragaladi AMDuemila
Tra i membri del commando che ha messo in atto la spedizione punitiva nei confronti dell'avvocato palermitano Enzo Fragalà vi sarebbe anche un insospettabile. A darne notizia è livesicilia.it che ricostruisce le varie fasi dell'inchiesta sulla morte del penalista palermitano.
Sarebbe un picciotto di Cosa nostra che fino a questo momento era rimasto nell'ombra, senza entrare in questioni di spessore.
Nell'inchiesta condotta dalla Procura di Palermo in questi mesi si è andati avanti sulle indagini prima grazie alle dichiarazioni del pentito del Borgo Vecchio, Francesco Chiarello, il quale aveva raccontato di una riunione tra i boss in cui si decise che Fragalà doveva essere punito, poi con le rivelazioni della collaboratrice di giustizia Monica Vitale, che aveva sempre dato delle indicazioni sul movente del delitto, ovvero che il penalista non si era comportato bene con la moglie di un cliente, e pertanto era stato chiesto ai mafiosi di dare una lezione allo stesso Fragalà.
Una tesi, quest'ultima, che non aveva mai convinto troppo gli inquirenti nonostante in un primo momento il gip, che definì “sostenibile” la tesi, mandò in carcere Francesco Arcuri, Antonino Siragusa e Salvatore Ingrassia. Le accuse nei confronti dei tre però si sgretolarono totalmente ma non l'inchiesta sulla morte del penalista che ha ora raccolto altri elementi. 

Le nuove indagini sul delitto si concentrano sempre sul rione Borgo Vecchio. Alcuni giorni fa, a Mondello, Francesco Arcuri, che era uscito di carcere il 18 agosto, si è incontrato con Gregorio Di Giovanni, ritenuto reggente del mandamento di Porta Nuova. La legge obbliga un sorvegliato speciale a stare alla larga dai pregiudicati eppure i due si sono voluti incontrare ugualmente ed ora, per entrambi, è stato inflitto l'obbligo di presentazione in caserma.
Ma cosa c'entra questo con il delitto Fraglà?
Riprendendo alcune intercettazioni che non erano state incluse nel vecchio fascicolo d'indagine vi è quella del 19 luglio 2013 in cui Giovanni Di Giacomo chiedeva al fratello Giuseppe. “... ma non è che sono stati quelli del Borgo?” ricevendo una risposta affermativa. La conversazione avveniva una settimana dopo che Arcuri, Ingrassia e Siragusa erano finiti in carcere nell'ambito dell'inchiesta poi culminata nell'archiviazione.
Il fratello si chiedeva anche se “Spitino” (era il soprannome di Gregorio Di Giovanni) non sapesse niente, ma per Giuseppe Di Giacomo dare una risposta era impossibile anche perché il giorno del delitto Fraglà (il 26 febbraio 2010) era detenuto al Pagliarelli.
A queste registrazioni si aggiungono quelle del gennaio 2014, nel carcere di Parma, dove Giovanni Di Giacomo, stavolta a colloquio non solo con Giuseppe ma anche con l'altro fratello Marcello, tornava a chiedere notizie dei tre arrestati: “... questi picciutteddi che fino hanno fatto?”. Solo che nel passaggio successivo sembrerebbe citare qualcun altro: “Ma con gli altri picciutteddi?”. “A posto, a posto”, tagliava corto Giuseppe, mentre Marcello diceva: “Niente, niente”. Giovanni rilanciava: “... ma pure... ma pure sono immischiati?”. “... no... pure (annuisce col capo, annotano i carabinieri)... lo vedi... non senti niente... belli tranquilli”.
Piccoli tasselli che gli inquirenti cercano di ricostruire seguendo l'ipotesi che Fragalà sia stato punito dalla mafia.

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