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lo-voi-insediamento-ppIl procuratore capo Lo Voi: “Non arretreremo davanti a minacce”
di Aaron Pettinari - 24 gennaio 2015
A Palermo si è aperto l'anno giudiziario. Tra riforma della giustizia, legge anticorruzione, inchieste e processi quello che verrà sarà davvero un anno delicato. E il clima all'interno del palazzo del Capoluogo siciliano si fa teso quando il presidente vicario della Corte d'appello Vito Ivan Marino si è quasi “sentito in dovere” di porre l’accento sul rischio di una sovraesposizione personale dei giudici, quasi del tutto sprovvisti di tutela, a fronte delle misure eccezionali, garantite ai magistrati inquirenti. Immediatamente diversi organi di informazione hanno tenuto ad evidenziare l'assenza dei pm del pool che indaga sulla trattativa Stato-mafia anche se questa mattina erano diversi i magistrati “non presenti” al momento della lettura della relazione. E così, forse anche per placare eventuali polemiche, ad intervenire è il procuratore capo Francesco Lo Voi (in foto), in quello che è uno dei primi discorsi ufficiali dall'insediamento. “Ci sono stati notevoli risultati positivi nell'azione della Procura di Palermo – ha detto - e una serie di segnali incoraggianti, mentre ci sono stati altri segnali, meno incoraggianti, che hanno suscitato preoccupazione e che continuano a suscitarla. Nonostante questo, però, la Procura di Palermo non arretrerà di un millimetro. Si sappia che noi non arretreremo mai, non rallenteremo la nostra azione. Chi lancia questi segnali farebbe meglio a cambiare prospettive”. Quindi, concludendo il suo intervento Lo Voi, citando le parole del giurista Glauco Giostra, ha auspicato che i magistrati lavorino con umile orgoglio e composta e modesta determinazione e ha ribadito l'unità della Procura di Palermo.
Prima di lui vi erano già stati gli interventi del Procuratore generale Roberto Scarpinato e prima ancora quello del componente del Csm, Piergiorgio Morosini.

“Si approvi una riforma sulla prescrizione”
L'ex Gip del processo trattativa Stato-mafia nel suo intervento ha auspicato che “Le spinte riformatrici devono soprattutto combattere gli 'sfregi' della giustizia che si consumano nei processi per corruzione, frode fiscale, criminalità economica. Più che i proclami dopo qualche eclatante assoluzione, occorre approvare oggi una riforma credibile della prescrizione. “Dopo la sentenza di primo grado il reato non si deve più prescrivere. Perché in un paese civile è intollerabile che un processo per furto al supermercato si definisce in otto mesi mentre si prescrive una corruzione in atti giudiziari, magari gettando alle ortiche anni di duro impegno di magistrati e polizia giudiziaria. E tutti sappiamo che le vigenti norme sulla prescrizione sono un invito a condotte meramente dilatorie per non pervenire a una decisione nel merito”.
Il confronto tra la magistratura e la politica è un tema caldo all'interno del Consiglio superiore della magistratura ma non solo. “Sul versante della giustizia civile vanno apprezzate le iniziative legislative del Ministero tendenti a risolvere il problema dell'arretrato civile, vero e proprio 'piombo nelle ali' per il funzionamento del servizio – ha aggiunto Morosini - E' incoraggiante l'idea di 'sperimentare' mezzi alternativi al processo quali ad esempio la 'negoziazione assistita obbligatoria', purché non se ne abusi. In tempi di crisi economica e di evidenti diseguaglianze sociali i 'lodi privati' espongono moltissimi soggetti deboli delle controversie, ad esempio i lavoratori. Va scongiurato il pericolo di una giurisdizione inghiottita da logiche di mercato che premierebbe sempre e solo le parti più 'forti'”. Ed infine ha pronunciato una sorta di monito. “Mi preoccupa molto la nuova grammatica del dibattito pubblico sulla giustizia, molto concentrata su espressioni come 'controllo dei costi', 'indicatori di rendimento', 'smaltimento flussi', 'produttività'. Con il corollario di soluzioni su ferie, pensionamento, stipendi dei magistrati. Sia chiaro, sono cose importanti. Attengono alle attese dei cittadini, ai bilanci dello Stato. Ma questi non può tradursi nel fatto che la giurisdizione venga trattata come un'azienda”. “Non vorremmo che una certa grammatica ci abituasse a un modello di giudice conformista 'tutto statistiche' e 'combinato disposto' intellettualmente disimpegnato e senza anima. Sarebbe la fine della giustizia, perché dietro ogni processo c'è il destino di uomini e donne in carne e ossa - dice ancora - e questo non può essere mai dimenticato da tutti coloro a cui, da diverse postazioni istituzionali, è affidato il funzionamento di un sistema che ha come finalità la tutela dei beni fondamentali per i singoli e per la collettività”.

Il cavallo di troia
Di vero e proprio “cavallo di Troia” per gli equilibri costituzionali ha invece parlato il Procuratore generale Roberto Scarpinato evidenziando il rischio che si corre con la riforma sulla responsabilità civile dei magistrati. “Resta forte il pericolo che la riforma – ha detto durante la sua relazione nell'aula magna del Palazzo di Giustizia - sulla responsabilità civile dei giudici possa divenire un occulto cavallo di Troia per ridisegnare gli equilibri costituzionali mediante la costruzione di una trama normativa che nelle pieghe di sofisticate tecnicalità giuridiche incomprensibili alla pubblica opinione, metta nelle mani dei poteri forti, tra i quali anche quelli criminali, obliqui strumenti di condizionamento della indipendenza e autonomia dei magistrati”. E poi ha aggiunto: “Compromettere oggi l'indipendenza e l'autonomia dell'ordine giudiziario rivelatosi alla luce della lezione di storia come il più efficace, se non l'unico anticorpo, contro il dilagare pervasivo dell'illegalità, dell'uso distorto del potere pubblico, come ultima spiaggia per la difesa dei diritti, non sarebbe solo un vulnus inferto allo Stato di diritto, ma una ferita forse mortale inferta nel corpo vivo della nazione”.

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