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graviano filippo giuseppedi Miriam Cuccu - 24 luglio 2014
Sono tre i verbali depositati oggi a Milano nel processo che riguarda Marcello Tutino, imputato per essere stato esecutore materiale della strage di via Palestro il 27 luglio '93. Nei mesi giugno e luglio del 2009 il procuratore aggiunto Ilda Boccassini interrogava il pentito Gaspare Spatuzza, che si è autoaccusato di aver procurato la 126 imbottita di tritolo per la strage di via D'Amelio. Le sue dichiarazioni avevano impresso una svolta al processo sull'uccisione del giudice Borsellino, che fino a quel momento si era fondato sulla testimonianza di falsi collaboratori di giustizia.

Questa volta, però, il pm Boccassini chiede a Spatuzza dei boss di Brancaccio Giuseppe e Filippo Graviano, fedelissimi di Totò Riina e coinvolti nella strategia stragista dei primissimi anni Novanta. Nello specifico cosa facevano a Milano e da quanto tempo si trovavano nella città in cui vengono poi arrestati il 27 gennaio '94 in un ristorante. Arresto secondo Spatuzza “anomalissimo”, già da lui definito in questi termini deponendo al processo trattativa Stato-mafia, quando diceva: “C’era il sospetto che i fratelli Graviano fossero stati venduti”.
Parlando dei suoi incontri con Giuseppe Graviano al carcere di Tolmezzo, nell'udinese, il collaboratore ricorda che il boss “mi confida che è stato venduto da qualcuno; da qualcuno di Milano che sapeva della loro permanenza in città, la sua è quasi una certezza”. Graviano, continua Spatuzza nel verbale “sta cercando di capire, quindi sta conducendo un’indagine lui per capire chi è che se l’è venduto”. Anche se Spatuzza sostiene di non saper fare nomi. “Mi hanno detto cosa sapevo in più in merito al suo arresto, gli dissi quello che io sapevo del Cannella che per noi era responsabile e lui mi dice che non c’entra niente il Cannella”. Fifetto Cannella era affiliato alla famiglia mafiosa di Brancaccio e partecipò alla pianificazione della strage di Capaci, oltre ad essere stato condannato per le stragi del Continente. Ma Graviano ribadisce che “Cannella è da scartare”. Sempre nel carcere di Tolmezzo, riferisce Spatuzza alla Boccassini, Filippo Graviano “mi disse che si incontrava con persone su Milano”, e che “Questi incontri avvenivano a Gardaland”. Ma precisa: “Non so se le personalità che incontravano erano gli stessi soggetti che mi aveva menzionato il fratello; questo lo posso supporre io”. Per il resto, Spatuzza non sa dire chi proteggeva la latitanza dei Graviano o con chi questi si incontravano.
Parlando invece del patrimonio dei capimafia: “Per muoversi su Milano in particolare, nulla mi fa escludere che loro abbiano interessi economici” risponde Spatuzza, e alla domanda se i Graviano fossero proprietari di immobili in città: “Se tutto quello che riguarda Cosa nostra è uscito tutto fuori, sul quartiere di Brancaccio, quindi dove li hanno portati questi soldi?”. Il capitale posseduto ancora dai boss di Brancaccio è emerso solo in parte negli ultimi anni, come è il caso della “Benzina dei boss”, indagine che ha svelato il controllo di alcune stazioni di benzina a Palermo grazie alle quali i Graviano – da vent'anni al 41bis – gestivano la contabilità e gli stipendi di famiglia, oltre a fungere da luogo in cui partivano e arrivavano pizzini.
Ma perchè scegliere Milano per “buttarsi latitanti”? “Sicuramente non per la latitanza – replica Spatuzza – la storia ce lo insegna, tutti sotto casa sono stati e quindi per mettersi a rischio a monte c’è qualche cosa che è ancora di molto ma molto più grave”. E ancora: “Se si spingono così tanto a sconfinare, significa che in quel territorio possono godere di qualche protezione”. Protezioni che Spatuzza esclude possano provenire da Cosa nostra, perchè “Cosa nostra non sapeva che i Graviano fossero a Milano”. Qualcuno che, evidentemente, a un certo punto ha lasciato i due boss allo scoperto, arrestati dopo poco più di un mese di permanenza in città.

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