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zucchetto-calogero0di AMDuemila - 18 novembre 2013
Sutera (CL). C’è un’immagine impressa nei ricordi che continuano a turbare l’animo della fotografa palermitana Letizia Battaglia. In quei flash si vedono agenti di polizia che per la rabbia e la disperazione per l’omicidio del loro collega Calogero “Lillo” Zucchetto prendono a calci le proprie auto piangendo e imprecando. Era il 14 novembre 1982 e quell’omicidio serviva a dare una lezione ad un poliziotto di razza che dava particolarmente fastidio alla mafia. Quel poliziotto di 27 anni, massacrato da 5 proiettili sparati alla testa, era di Sutera, un piccolo paese in provincia di Caltanissetta. Cosa Nostra non gli aveva perdonato l’arresto del capomafia di Villabate, Salvatore Montalto, né tanto meno di aver collaborato con il commissario Ninni Cassarà alla stesura del famoso “rapporto Greco + 161”, un preziosissimo dossier sulle famiglie mafiose di quegli anni, al quale aveva lavorato ugualmente il commissario Beppe Montana. Anche loro sarebbero stati falciati dalla vendetta mafiosa a distanza di poco tempo. Dopo 31 anni è la sorella di Lillo Zucchetto, Santina, ad accogliere nella piazzetta dedicata a suo fratello la piccola delegazione di relatori venuti a ricordare un giovane poliziotto, ma anche per fare il punto su un tema sociale alquanto spinoso. “Siamo vittime di serie B. Sulla diversità di trattamento dei Familiari Vittime di Mafia: storie di vita”, recita il titolo del convegno.

Quest’anno l’ASD Soter, in collaborazione con il Comune di Sutera, altre ad aver organizzato il concorso “Premio di Poesia: Calogero Zucchetto”, ha predisposto una serie di appuntamenti iniziati il 14 e conclusi il 17 novembre in memoria del proprio concittadino. Dopo il saluto del sindaco di Sutera, Giuseppe Grizzanti, che sottolinea come l’omicidio di Zucchetto abbia rappresentato “un attacco allo Stato e un attacco a Dio”, è la volta di Michelangelo Landro, giovane presidente dell’A.S.D. Soter, che introduce l’incontro dando la parola al moderatore, Gero Difrancesco. L’ex sindaco di Sutera, nonché scrittore, esordisce sottolineando che in questa terra di Sicilia “siamo un po’ tutti vittime di mafia, anche se ci sono coloro che hanno sofferto in maniera più forte”, per poi dare spazio alla musica e alle parole del cantastorie e cantautore suterese Nonò Salamone. Voce e chitarra per gridare forte contro Cosa Nostra, ma anche per denunciare le connivenze tra Stato e mafia. In collegamento skype dalla Francia c’è anche il presidente dell’associazione “Free”, Gian Joseph Morici. L’agente di polizia Fabio Fabiano, presidente dell’associazione “Emanuela Loi” (autore del libro “46909” sulla tragedia di Lampedusa), introduce il documentario dedicato alla strage di San Giovanni Gemini (Ag), nella quale furono uccisi Michele Ciminnisi e Vincenzo Romano. Un video toccante (di cui è stata proiettata solamente una parte), che racchiude varie testimonianze tra cui quella di Giuseppe Ciminnisi, figlio di una delle due vittime. Sullo schermo Ciminnisi racconta il calvario vissuto da un ragazzo di 14 anni (e da tutta la sua famiglia) a cui viene ucciso il padre la cui unica colpa è quella di trovarsi nel posto sbagliato, al momento sbagliato, durante una faida di mafia. Nel documentario il figlio di Michele Ciminnisi racconta della caparbietà di un ragazzino che voleva a tutti i costi incontrare Giovanni Falcone per chiedergli giustizia, e che, dopo essere riuscito ad incontrarlo nel suo ufficio, aveva ricevuto una carezza ed un incoraggiamento ad andare avanti da quel giudice tutto di un pezzo. Al termine del video Giuseppe Ciminnisi esorta i giovani a “fare antimafia tutti i giorni” sottolineando come la mafia abbia “paura della cultura”, per poi dedicare quella che definisce una vera e propria “vittoria” in memoria di suo padre a tutti coloro che ancora non hanno potuto vincere questa battaglia di giustizia. “Ho imparato che l’amore, non il tempo guarisce le ferite”, i versi della poesia di Paulo Coelho vengono citati successivamente da Lorenzo Baldo e sono tratti da uno scritto di Pippo Giordano, ex ispettore della Dia, che ha lavorato accanto a Lillo Zucchetto. Nelle parole di Pippo Giordano è racchiuso tutto il dolore, la rabbia e la sete di giustizia di chi intende ricordare “un grande ragazzo, un grande Uomo, Lillo Zucchetto”. “Per amore intendo 'verità' – prosegue il vicedirettore di Antimafia Duemila leggendo lo scritto di Giordano – e non verità soggiogata, verità negata, verità nascosta da parte di uno Stato che non ha fatto nulla per difendere i propri figli. Alcuni che rappresentavano lo Stato erano impegnati a mantenere rapporti sodali coi mafiosi e ordunque non avevano né tempo né voglia di difenderli. La mia ferita sanguina ancora oggi, anche se sono trascorsi 31 anni dalla violenta morte dell'agente di polizia Calogero ‘Lillo’ Zucchetto. Dal quel giorno, 14 novembre 1982 non ho assolto e non assolvo chi esercitando il potere, ha permesso il sistematico eccidio di poliziotti, carabinieri, zucchetto-c-samuele-firrarellomagistrati e onesti cittadini. E quando urlo con tutte le mie forze che lo Stato ha la responsabilità oggettiva di tutti i martiri di mafia, compreso le stragi del 92/93, lo dico col cuore gonfio d’amarezza e con disarmante constatazione”. Ed è partendo dalla denuncia di chi ha vissuto sulla propria pelle l’oppressione di uno Stato dall’apparenza di un Giano Bifronte che Baldo sottolinea come in un Paese civile non si dovrebbe nemmeno discutere di una cosa talmente ovvia quale l’equiparazione tra le vittime innocenti della mafia e del terrorismo. In un altro Paese lo Stato sarebbe accanto – sotto ogni punto di vista – a tutti i familiari delle vittime. Ma non in Italia, dove si celebra un processo sulla trattativa Stato-mafia. Di seguito è la volta dell’ispettore capo della Polizia di Stato in congedo, Angelo Cellura (insignito della Medaglia D’oro al merito per gli appartenenti alla Polizia di Stato in qualità di “Vittima del dovere”), nonché vicepresidente dell’associazione “Fervicredo – Feriti e vittime criminalità e dovere”. Senza mezzi termini Cellura chiede al presidente della Commissione regionale antimafia, Nello Musumeci, di farsi immediatamente carico della richiesta di equiparazione tra le diverse tipologie di vittime innocenti della criminalità. Il giornalista Roberto Mistretta ricorda come la Sicilia sia una terra che “vive di segnali” sottolineando l’importanza di una cultura antimafia costante, ricca di segnali che “non possono limitarsi solo ai convegni”. Per l’autore del libro “Il miracolo di Don Puglisi”, pur auspicando l’equità richiesta da chi ha sofferto per mano criminale, non ci sarà nessuna legge che “potrà colmare l’assenza che si legge negli occhi dei familiari delle vittime innocenti”. E’ la volta delle testimonianze di alcuni familiari. Il primo a parlare è Nico Miraglia, figlio del sindacalista ucciso nel 1947 dalla mafia, Accursio Miraglia, e portavoce dei familiari di vittime di mafia all’interno dell’associazione Libera. La passione civile e la rabbia del presidente della “Fondazione Miraglia” (nonché vicepresidente dell’associazione “Non solo Portella” diretta dallo storico Giuseppe Casarrubea) si stempera nell’aria. La sua sete di giustizia riflette la consapevolezza (formata anche attraverso lo studio di oltre 30.000 documenti appartenenti ai Servizi ed ora nella disponibilità dell’associazione “Non solo Portella”) che lo Stato-mafia ha iniziato ad operare fin dalla strage di Portella della Ginestra con l’utilizzo di uomini dei Servizi pronti a sparare – insieme a Salvatore Giuliano – su inermi cittadini. La rabbia di quest’uomo per non avere avuto nemmeno un processo per l’omicidio di suo padre (le due relative istruttorie sono state chiuse senza alcun esito) è incontenibile. E del tutto giustificata. “Io voglio essere equiparato ad un cittadino che ha un Governo onesto, uno Stato democratico!”, conclude con forza. Ancora dolore, rabbia e tanta determinazione nel pretendere ciò che spetta di diritto risuonano nelle parole di Angela Ogliastro, sorella di Serafino Ogliastro, ex agente di Polizia, ucciso a Palermo il 12 ottobre del 1992 da Salvatore Grigoli con il metodo della lupara bianca. Ad Angela e alla sua famiglia non è mai stato concesso di avere una tomba su cui posare un fiore. La sorella di Serafino Ogliastro porta sul suo corpo i segni di un dolore costante, un tumore al cervello ha contrassegnato la sua vita. Ma nonostante ciò questa donna non si è mai arresa. Di fronte alla provocazione del killer di suo fratello (divenuto collaboratore di giustizia), che in un’intervista è arrivato a dirle di “smetterla di andarmi sempre contro dicendo che io non voglio fare trovare il cadavere: io ho partecipato all’omicidio, ma altra gente si è preoccupata di seppellirlo. Non era nelle nostre abitudini chiedere le cose che fanno gli altri”, la signora Ogliastro ha opposto altrettanta pretesa di verità. Che si scontra però con un silenzio tombale. Ed è esattamente contro quel silenzio che la sorella di Serafino Ogliastro continua a battersi. Le conclusioni del convegno sono affidate a Nello Musumeci. Il presidente della Commissione antimafia regionale anticipa che mercoledì verranno discusse in Commissione diverse richieste legate alle questioni sollevate. “Quello che abbiamo avuto fino ad oggi è espressione di una volontà popolare”, afferma con forza per ribadire la responsabilità del popolo nella scelta di una classe politica. Musumeci si impegna inoltre ad aprire un’istruttoria sull’omicidio Miraglia, per poi sottolineare che farà propria la battaglia per l’equiparazione dello status di vittime innocenti di mafia e terrorismo portando entro un mese una proposta di legge ad hoc al presidente del Senato, Piero Grasso. Nella sala ci sono anche Tiziana Ficalora, i familiari di Giuseppe Montalto, Lucia Calì e suo marito Salvatore La Porta. Nei loro occhi si intravede la necessità di vedere restituita quella dignità troppo spesso calpestata dall’ingiustizia, dall’indifferenza e da una burocrazia del tutto mafiosa. Ma soprattutto si legge quella pretesa di giustizia che nessun discorso politico – se non supportato da fatti oggettivi – potrà mai esaudire.

Foto (destra) © Samuele Firrarello

Per approfondimenti
Associazione FERVICREDO Feriti e vittime criminalità e dovere

Associazione nazionale familiari vittime di mafia

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