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fori-aletta-webdi Aaron Pettinari - 3 maggio 2012
Era la sera del 5 maggio 1972 quando un Dc 8 classe 43 Antonio Pigafetta, costruito nel '61, in servizio con i colori Alitalia, sigla IDiwb, impegnato sul volo AZ 112 si schianta sul crinale della Montagna di Carini.
Un disastro aereo che ha portato alla morte di 115 persone e che da sempre è rimasto avvolto nel mistero.

Oggi, alla vigilia del 40esimo anniversario del disastro, secondo quanto si legge sull'edizione locale de 'La Repubblica', a dare lo spunto per riaprire il giallo è una fotografia che "ritrae un pezzo di ala del Dc 8". Dalle immagini, secondo il quotidiano, "si distinguono chiaramente tre fori d'entrata, come quelli prodotti da proiettili di grosso calibro". Quella foto fu scattata il giorno dopo l'incidente e a quanto pare ha sempre fatto parte degli atti dell’inchiesta, assieme a 300 altri scatti che compongono il fascicolo fotografico redatto dal nucleo Investigativo dei carabinieri di Palermo. A scoprirla è stata la nipote di una delle vittime del disastro, Erminia Borzì, che di recente ha riesaminato tutti gli atti dell’inchiesta assieme allo storico Giuseppe Casarrubea e all’avvocato Ernesto Pino. Da questa ricerca è nata una richiesta di riapertura dell’indagine, presentata alla Procura di Catania. Secondo lo storico Casarrubea “Quel pomeriggio, c’era un’esercitazione della Nato sui cieli siciliani", un aspetto che sarebbe scritto anche in un altro atto inserito nel fascicolo dell'inchiesta ma che non sarebbe mai stato realmente preso in considerazione. Altra ipotesi è che i proiettili sarebbero arrivati da terra. Peppino Impastato, nel '73, aveva scoperto che sopra a Cinisi c’era una campo paramilitare gestito da alcuni esponenti della destra eversiva.
La prima inchiesta, a meno di un mese dal disastro, la guidò il generale Francesco Lino, nominato dal ministro dei Trasporti Oscar Luigi Scalfaro. In tempi record per una vicenda come questa, l’inchiesta fu chiusa e si stabilì che il disastro era stato causato da un errore umano del comandante e dall’inadeguatezza infrastrutturale dell’aeroporto di Punta Raisi.
Escluse due autopsie non furono realizzate analisi sui corpi per individuare eventuali tracce di eplosivo. Né furono esaminati dettagli importanti come il fatto che i passeggeri non avessero le scarpe, indizio di una probabile avvertenza di ammaraggio. inoltre non vennero effettuate le perizie sugli strumenti di bordo, necessarie per l'individuazione dell'ora del disastro.
L'inchiesta, che iniziò a Palermo, venne trasmessa a Catania in quanto tra le vittime c'era Ignazio Alcamo, sostituto procuratore generale presso la Corte d’Appello del capoluogo. Durò dieci anni il processo, che si concluse con l’assoluzione degli imputati, il direttore dell’aeroporto ed i due tecnici dell’ente per l’aviazione.
Anche in questo caso non mancarono interrogativi rimasti aperti, omissioni, depistaggi ed insabbiamenti. A mettere in discussione l'inchiesta fu il funzionario della Polizia di Stato, il vicequestore di Trapani Giuseppe Peri. Questi avviò una “controinchiesta” ed elaborò, nel 1976, uno scottante dossier, dove ipotizzava che il procuratore generale di Genova Francesco Coco fosse stato ucciso dai terroristi neri (e non dalle Brigate Rosse) e che la strage di Montagna Longa fosse uno dei tasselli del mosaico della cosiddetta “strategia della tensione”. Secondo il vicequestore, infatti, non si sarebbe trattato di un incidente casuale, ma di un attentato di matrice “neo-fascista”, inquadrato in un inquietante contesto di inconfessabili rapporti tra mafia, eversione nera, servizi segreti deviati e poteri occulti. Per tanti anni, l’opinione pubblica ignorò l’esistenza di quel dossier, riscoperto, negli ultimi tempi, dai familiari della strage di Montagna Longa, grazie alla caparbietà della sorella di una delle vittime del disastro (Angela Fais), Maria Eleonora Fais.
Sulla base di questi elementi si riaprirono nel 2006 le indagini che furono di lì a poco chiuse. Furono nuovamente riaperte qualche anno dopo, in virtù di un filmato inedito girato a Montagna Longa, a distanza di pochissimo tempo dal disastro, nel quale si vedevano chiaramente alcuni corpi integri ed altri no, probabile indizio della presenza di una bomba in una parte dell’aeromobile. Anche in questo caso l’inchiesta si arrestò.
Oggi il caso si arricchisce di un nuovo capitolo. Per l'avvocato Ernesto Pino "scenari a parte, abbiamo proposto alla magistratura degli elementi di fatto, peraltro già contenuti nella vecchia indagine, che evidentemente non erano stati mai esaminati. Il perché di questa disattenzione non saprei dirlo. Di certo, uno sguardo sereno e non preconcetto avrebbe visto quello che ho visto io. Vi assicuro che non abbiamo fatto grandi sforzi per trovare questi nuovi elementi".

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