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dambrosio-loris-lrep-bigdi Monica Centofante - 22 giugno 2012
Galeotta fu la telefonata. Della quale il consigliere giuridico della Repubblica Loris D’Ambrosio ha dovuto rendere conto ai pm di Palermo che indagano sulla trattativa tra Stato e mafia.
Il consigliere, l’uomo che raccoglieva sfoghi e richieste dell’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, al telefono ha parlato troppo e in una delle conversazioni intercettate dalla Dia ha riferito particolari mai rivelati ai magistrati che il 20 marzo scorso lo avevano interrogato come persona informata sui fatti. Perché lui, D’Ambrosio, fu tra i più stretti collaboratori di Giovanni Falcone.
Per questo motivo il 16 maggio, il sostituto procuratore Nino Di Matteo ha chiesto di risentirlo, sempre “come persona informata sui fatti”, si apprende oggi dal verbale, ma questa volta per fargli spiegare i contenuti di quella telefonata legata ad uno dei misteri della trattativa. Quello che ruota attorno alla figura di Francesco Di Maggio (scomparso nel ’96), vice dell’amministrazione penitenziaria che nel 1993, dopo le bombe, trasferì in regime di “normalità” carceraria 441 mafiosi rinchiusi al 41bis. In esecuzione di un ordine che non si sa da chi sia arrivato.

Certo è invece che D’Ambrosio, interrogato dai magistrati, aveva negato di essere in possesso di informazioni utili alle indagini, mentre a Mancino rivelava di essere stato testimone dei retroscena della nomina di Di Maggio. La conversazione è quella del 25 novembre 2011 quando al suo interlocutore il consigliere dichiara: “Uno dei punti centrali di questa vicenda comincia a diventare la nomina di Di Maggio”, per sentirsi rispondere: “E certo, non aveva i titoli”, prima di replicare: “Ecco, e diventa dirigente generale attraverso un decreto del presidente della Repubblica no? Ora io ho assistito personalmente a questa vicenda (…) Io ricordo chiaramente il decreto scritto, il Dpr scritto nella stanza della Ferraro (all’epoca direttore degli affari penali del Ministero, ndr.), il Dpr che lo faceva vice capo del Dap”.
Ma perché D’Ambrosio non riferisce tali circostanze ai pm?

Il verbale
D’Ambrosio (D): Io questa cosa l’ho detta a Mancino ma io questo Dpr non l’ho (…). Come fa ad essere scritto un Dpr dalla Ferraro, dentro la… Ferraro? Cioè io quello che sostengo è che può anche essere stata una bozza predisposta lì (…) questo può anche essere, cioè se io l’ho detto, è così! Però io il Dpr vero e proprio non l’ho visto dove è stato composto.
Nino Di Matte (Pm2): Eh, perché lei al Senatore Mancino parla di un decreto scritto nella stanza della Ferraro!
D: Io ricordo che Di Maggio frequentava la Ferraro, frequentava la Pomodoro in quel periodo, ma non ho mai visto materialmente il decreto, cioè questo è quello che… voglio dire, l’ho detto nel senso che l’ho detto… a chi l’avrei detto?
Francesco Messineo (Pm): Vorremmo capire qual è il significato di queste espressioni.
D: Cioè il ragionamento è questo: [Di Maggio] doveva andare alla Direzione degli Affari penali, va al Dap, a questo punto io ho fatto cenno anche nell’altro interrogatorio che la Ferraro e la Pomodoro probabilmente saranno state loro che hanno organizzato qualche cosa, data la loro vicinanza con Di Maggio. La materiale scrittura del decreto io non l’ho… dico, l’ho visto nel senso che probabilmente ne avrò sentito parlare, l’avranno detto loro… (…) questo voglio dire, non è il Dpr, l’idea del Dpr, quello volevo dire, forse l’ho detto male, qualcosa.. Ma io non ho mai visto dove è nato questo Dpr (...).
Pm: Sembrerebbe però che lei abbia visto nell’ufficio della Ferraro qualche cosa...
D: Guardi, onestamente, io posso aver visto una… non so neanche una bozza, non so dire, una bozza no, cioè una proposta, una idea di proposta...
Pm: Sì, però lei aveva detto di non avere mai parlato con la Ferraro né con la Pomodoro di questo argomento. D: Ma io non l’ho visionata la bozza, io non ho visionato la bozza, io ho assistito alla parte in cui loro potevano aver ideato il provvedimento, cioè l’ideazione.
Pm2: Però adesso ricorda di avere visto...
D: Io un qualcosa che... cioè che stavano preparando la nomina, sì, ma io un foglio di carta decreto, per dire, che si chiama decreto, no.
Pm: Le chiederei uno sforzo di memoria.
D: Io ricordo (…), parlato con Franco Di Maggio, ho detto: ma che cosa vai facendo (…), e lui disse: no, no, ho deciso di fare in questo modo. Mi pare, cioè ricordo proprio davanti a me, che cominciarono a scrivere qualche cosa nella stanza accanto, che era poi la stanza di Falcone, la segreteria di Falcone, e ritengo che abbiano fatto questa parte del Dpr, però non ho mai letto nulla.
Pm2: Lei lo ha detto tre volte: il decreto scritto, il Dpr scritto, il Dpr che lo faceva vice capo del Dap.
D: Ma l’idea… cioè io voglio dire... la mia idea non era il Dpr, era come la base del Dpr, cioè non c’era il visto, visto, visto, non so se mi sono spiegato. (…) Cioè io credo che tutto questo sia nato tra Pomodoro-Ferraro-Di Maggio.
Pm: Mi stranizza la possibilità che un magistrato vada al Ministero e dica: perché non mi nominate vice capo del Dap? Ma lei non chiese alla Ferraro spiegazioni?
D: E no perché la Ferraro era il mio direttore generale...
Pm2: Ma perché, perché la Ferraro? (…) Cosa c’entrava?
D: Ma probabilmente c’era un discorso di come redigerlo, adesso io non lo so... questo decreto non l’hanno fatto evidentemente alla Presidenza del Consiglio, l’avranno fatto probabilmente anche al Ministero della Giustizia (…) o almeno avranno scritto il pezzo del collocamento fuori ruolo, questo non lo so.
Pm: Sì, ci saremmo aspettati, la volta scorsa, che a questo punto si dicesse: non ne ho mai parlato, tuttavia ricordo che sono avvenute queste cose.
D: Ma io... cioè non lo ritenni significativo.
Pm2: Nella conversazione con Mancino lei lo cita come molto significativo! Lei dice: …questo è il problema, ricordo chiaramente il Dpr scritto nella stanza della Ferraro.
D: No, cioè io quando parlo di Dpr non parlo di Dpr che lei ha davanti, perché quello non l’ho mai visto (…), va bene questo pezzettino qui io non l’ho detto, ma (…) mi sembrava non particolarmente significativo.

Pm2: E allora perché lei ha parlato di decreto?
D: Ma perché, perché il decreto era l’effetto, non so se mi sono spiegato, era l’effetto. (…) Io vorrei dire che il presidente Mancino telefona tutti i santi giorni su questa... perché lui si sente costantemente sotto pressione...
Pm: Parliamo per ora di ciò che...
Pm2: Lei dice che “Di Maggio fosse favorevole all’alleggerimento del 41 bis lo escluderei”, nei confronti di soggetti che in qualche modo collaboravano ma non formalmente ma come confidenti, invece sembrerebbe dire di sì. E poi lei dice: “Questo era un discorso che riguardava nella parte 41 bis Mori, Parisi, Scalfaro e compagnia; per la parte di colloqui investigativi... un po’ sconsiderati oppure almeno un po’ facili, Di Maggio, Mori e compagnia.
D: Di Maggio per me è sempre stato contrario all’alleggerimento del 41 bis. Poteva essere, viceversa, nell’ottica della trattativa, che lui volesse agevolare i colloqui investigativi dei carabinieri, per avere confidenze dall’interno del carcere.
Pm2: Perché solo ai carabinieri?
D: Ma perché, nell’ottica di Di Maggio c’era una vicinanza maggiore ai carabinieri. La mia idea (…) è che Di Maggio aveva piacere ad utilizzare il colloquio investigativo.

I magistrati, ancora, hanno interrogato D’Ambrosio sulla morte di Nino Gioè, uno degli assassini di Falcone, morto suicida in carcere. Suicidio sul quale il consigliere nutre sospetti, riferiti sia a Mancino che ai pm: “Non mi suona bene, secondo me è il punto cruciale… non so che indagine avete fatto voi… questo suicidio così è strano, mi turbò allora e mi turba tuttora. Ma sono valutazioni, considerazioni, non ho nessuna certezza”.

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