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borsellino-paolo-web0di Lorenzo Baldo - 1 giugno 2012
Palermo. “Dopo la morte del dott. Falcone incontrai il dott. De Gennaro al quale ribadii la mia volontà di collaborare a maggior ragione dopo l’uccisione del giudice Falcone. Al dott. De Gennaro comunicai però che era mia ferma convinzione – scomparso il dott. Falcone – collaborare con il dott. Borsellino, magistrato che già conoscevo e nei confronti del quale nutrivo stima e rispetto ritenendolo conoscitore della mafia e dei suoi meccanismi”.

Il verbale di interrogatorio di Gaspare Mutolo reso agli inquirenti di Caltanissetta nel 2010 viene ripreso nell’udienza odierna del processo Mori-Obinu. Questa volta però l’immagine di spalle del collaboratore di giustizia viene proiettata su uno schermo posto al centro dell’aula di giustizia. Dopo una lunga attesa dovuta a problemi tecnici degni di un qualsiasi Paese sottosviluppato il pm Nino Di Matteo ripercorre i passaggi salienti degli interrogatori di Mutolo del 5 novembre 2009 e del 23 marzo 2010. Il collaboratore ribadisce quanto dichiarato, a volte con qualche iniziale titubanza, ma senza contraddizioni evidenti. Di Matteo affronta immediatamente il nodo della questione legato agli interrogatori di Mutolo fatti da Paolo Borsellino riprendendo un successivo passaggio del verbale del 2010. Il collaboratore di giustizia conferma quanto dichiarato in precedenza: “Ribadisco che il dott. Borsellino affrontò davanti a me, e con personale della Dia, il tema della dissociazione di alcuni mafiosi da Cosa Nostra, prendendo le distanze in maniera netta da chi la riteneva un fatto positivo. Ricordo che osservai che Cosa Nostra ha fatto sempre trattative con lo Stato, semmai potevano cambiare gli interlocutori. Il dott. Borsellino, in quella occasione, era assolutamente disgustato che qualcuno delle istituzioni potesse condividere tali iniziative”. Nel menzionare il ruolo del personale della Dia riaffiorano quindi i nomi dei principali protagonisti dell’epoca: Gianni De Gennaro, Domenico Di Petrillo, Francesco Gratteri ed altri meno noti. Nello stesso verbale Mutolo approfondisce ulteriormente il tema della dissociazione. “Ricordo che Borsellino disse, intervenendo nella discussione in occasione della pausa durante la quale stavano trattando l’argomento in questione, che chi voleva la dissociazione era pazzo; aggiungo che Borsellino non era assolutamente d’accordo anche perché avevano già ucciso Falcone. Dai discorsi fatti capii che gli interlocutori facevano riferimento alla circostanza che l’allora Colonnello (poi divenuto Generale) Mori – che non venne espressamente indicato, ma che era facilmente individuabile dai riferimenti fatti dai funzionari della Dia di cui non ricordo però i nomi – scendeva spesso a Palermo e aveva contatti all’interno di Cosa Nostra per trattare. L’argomento ricordo che venne discusso a margine di uno dei tre interrogatori in cui era presente il dott. Borsellino”. In aula Mutolo sottolinea, con riferimento ai suoi interrogatori, di ricordarsi (oltre alla data del primo di luglio) anche le date del 15,16 e 17 luglio ’92. Il collaborante ripercorre ulteriormente l’episodio del suo interrogatorio del primo luglio 1992 quando Borsellino, dopo aver ricevuto una telefonata, interrompe l’atto istruttorio e si reca al ministero dell’Interno dove si incontra con il neo ministro Nicola Mancino (che continua a negare l’incontro), l’ex capo della polizia Vincenzo Parisi e l’ex numero 3 del Sisde Bruno Contrada, condannato a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. “Tornato dal Ministero dove si recò con il dottor Aliquò (Vittorio, ex procuratore aggiunto di Palermo, ndr) – spiega il collaboratore di giustizia – il dottor Borsellino era turbato e nervoso, era una persona sensibile ed emotiva. A un certo punto mi misi a ridere perché stava fumando contemporaneamente due sigarette, una la teneva in bocca e l'altra in mano e quando glielo dissi si mise a ridere. Dopo ho capito che al ministero aveva fatto un incontro non gradito con il dottor Bruno Contrada”. “Borsellino mi disse che Contrada gli aveva detto: ‘dica a Mutolo che se ha bisogno di chiarimenti sono a disposizione’. A quel punto ho capito che il mio interrogatorio che doveva restare segreto era il segreto di Pulcinella”. I timori che talpe e traditori si annidassero all’interno delle istituzioni riemerge nuovamente nelle successive dichiarazioni di Mutolo: “Ricordo che i ragazzi della Dia che mi trasportavano erano, con mia sorpresa, più preoccupati di essere seguiti da persone dei Servizi che da appartenenti alla criminalità organizzata”. Alla domanda del pm sul motivo per il quale prima del 2009 non avesse parlato di queste delicate questioni Mutolo risponde così come aveva verbalizzato tre anni fa e cioè di non averlo fatto in quanto “nessuno mi aveva rivolto una domanda specifica, o comunque aveva affrontato con me il tema della dissociazione o della trattativa”. Ed è proprio il nodo cruciale della trattativa a stringersi sempre di più attorno al capo di imputazione iniziale che pesa sugli imputati relativo alla mancata cattura di Provenzano a Mezzojuso. L’ex comandante del Ros, Antonio Subranni, prende la parola al termine dell’esame di Mutolo. Si tratta di un teste chiamato dalla procura e prima ancora di comunicare la sua intenzione di avvalersi della facoltà di non rispondere l’ex gen. Subranni si lancia in una sorta di autoassoluzione mirata a focalizzare l’attenzione mediatica sulle sue archiviazioni. Ma il pm Di Matteo frena immediatamente quel facile entusiasmo sottolineando che l’ex comandate del Ros è a tutt’oggi indagato in un procedimento connesso. Pur senza nominarlo è il delicatissimo fascicolo sulla trattativa Stato-mafia quello a cui fa riferimento Di Matteo (art. 338 del codice penale, ovvero violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato). Subranni risulta infatti indagato insieme allo stesso Mori, ai boss Riina e Provenzano, all’ex medico di Riina Antonino Cinà, al senatore Dell’Utri e all’ex ministro Mannino all’interno di un’inchiesta che si prospetta ancora più incisiva e determinante per poter riscrivere la storia dei patti scellerati che hanno insanguinato il nostro Paese. Il silenzio dell’ex gen. Subranni diviene quindi più eloquente di quell’ultimo suo monologo recitato ad arte davanti alla commissione parlamentare antimafia lo scorso mese di marzo. Su di lui la macchina investigativa è tutt’altro che ferma. In merito alla questione della dissociazione è infine l’ex funzionario Dia, Domenico Di Petrillo, a rispondere alle domande del pm ripercorrendo le sue dichiarazioni rilasciate a verbale il 19 aprile 2010. Di Petrillo ripassa quindi i momenti salienti della sua carriera a partire dal suo incarico alla Dia dal ’92 al ’95 quando si occupò tra l’altro della gestione del pentito Gaspare Mutolo. I ricordi di Di Petrillo restano però circoscritti nell’ambito di alcuni “non ricordo”, o comunque imbastiti in termini generali così come riportato nel verbale di due anni fa. “Ricordo che si parlò di dissociazione in termini molto generici e me lo ricordo perché era un fenomeno che ho recepito poiché in materia affine a quella dell’antiterrorismo. Ne ho ricordo come un discorso fatto nel periodo della collaborazione di Mutolo o, comunque, nel periodo iniziale del mi incarico alla Dia, ma non ricordo da chi provenne tale discorso ne ricordo i termini precisi. Desumo che tale discorso venne affrontato in occasione di uno degli interrogatori di Mutolo”. Nino Di Matteo riprende uno stralcio del verbale del 2010 nel quale Di Petrillo si lascia andare a considerazioni decisamente molto poco generiche. “Ho lasciato l’Arma dei Carabinieri poiché non mi identificavo più nella struttura, avendo sommato una serie di delusioni ed essendo rimasto profondamente colpito dalle parole che Gaetano Badalamenti, in una pausa di un interrogatorio svoltosi a Philadelphia, ebbe a dirmi. In particolare, per ben due volte egli mi disse: ‘colonnello stavamo dalla stessa parte’. Si trattava di una rogatoria svolta nell’ambito delle indagini per l’omicidio Pecorelli e nei confronti del senatore Andreotti ed alla stessa erano presenti il dott. Cardella, il dott. Natoli, il dott. Fiorelli, il magg. Obinu e il M.llo Lombardo”. Messo di fronte alle sue stesse dichiarazioni Di Petrillo cerca di sminuire la forza di quelle sue affermazioni dichiarando che i motivi del suo abbandono dell’Arma rientrano in una sfera meramente “privata”. Fine dell’esame. Prima della conclusione dell’udienza Di Matteo chiede di depositare una nota del funzionario Dia Salvatore Bonferraro nella quale vi è trascritta la conversazione captata da Bonferraro il 18 maggio scorso nell’androne del tribunale tra il teste Riccardo Guazzelli (che sarebbe stato ascoltato all’udienza del processo Mori quella stessa mattina) e il maresciallo Giuseppe Scibilia. Lo stesso Scibilia avrebbe sussurrato al figlio del maresciallo ucciso dalla mafia “…mi raccomando…” ricevendo per tutta risposta una replica alquanto rassicurante “stia tranquillo”. Contestualmente la Corte ha ammesso l’acquisizione dei verbali di Agnese Borsellino relativi alle confidenze di suo marito relative ad Antonio Subranni. Su quelle stesse dichiarazioni il prossimo 22 giugno verrà sentito in aula il magistrato e amico di Borsellino Diego Cavaliero che in un verbale del 2001 davanti ai magistrati di Caltanissetta ha affermato di avere saputo diversi anni fa dalla signora Agnese quelle frasi di Borsellino confidate alla moglie. Il 22 giugno, oltre a Cavaliero, verranno sentiti Carmelo Canale, Francesco Gratteri, Giuseppe Scibilia e Salvatore Bonferraro.

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