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carcere-corridoio-webdi Nicola Biondo - 22 maggio 2012
Diciassette pagine di nomi e date, un elenco fitto che racconta chi nel 1993 uscì dal 41bis. E’ il registro del carcere duro dal quale vennero “espulsi” centinaia di mafiosi su richiesta dell’allora ministro Giovanni Conso con l’avallo dei vertici delle carceri italiane. Dati - che l’Unità pubblica in esclusiva – forniti nel 2011 dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria diretto da Franco Ionta ai magistrati di Palermo che indagano sulla trattativa Stato-mafia.

E a scorrere l’elenco le sorprese  non mancano. A partire proprio da uno dei principali protagonisti di quel dialogo tra pezzi dello Stato e la Cupola, Vito Ciancimino. Il primo ad uscire dai circuiti speciali fu proprio don Vito, il portavoce di Bernardo Provenzano. Per lui il 41bis, firmato dall’allora ministro Claudio Martelli, durò “solo” 58 giorni. Questo “diario di bordo” sul carcere duro è entrato nel gigantesco file di migliaia di pagine che compone l’inchiesta palermitana sulla trattativa. Inchiesta di cui si aspetta l’imminente chiusura e sui cui vige ancora il riserbo più totale circa l’esito: archiviazione, richiesta di rinvio o proroga delle indagini.
“Che ci fu una trattativa è certo – sostiene il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia – bisogna capire se fu gestita a fini eversivi da un sistema criminale a cui partecipavano anche le mafie italiane e quali erano gli scopi finali”.
Tra gli indagati ci sono i vertici della Cupola, Provenzano e Riina, gli ufficiali dei Carabinieri Mario Mori e Giuseppe De Donno, Massimo Ciancimino, il senatore PDL Marcello Dell’Utri e l’ex-ministro democristiano Calogero Mannino. Il documento acquisito agli atti dell’inchiesta chiarisce chi beneficiò della decisione del ministro Conso: secondo le indagini quella la scelta – tutta politica – di togliere il 41bis a centinaia di uomini d’onore sarebbe stata una delle cambiali che lo Stato pagò ai boss in cambio della fine delle stragi. Una tranche di trattativa che insieme ad altre furono messe in campo in quei mesi tra le bombe di mafia, il deflagrare di Tangentopoli e una crisi economica simile a quella odierna.

I boss fuori dal 41bis
L’anno più importante è il ’93: il carcere duro viene revocato a maggio per 127 detenuti. Solo tre di questi però successivamente rientreranno nei circuiti speciali: per tutti gli altri le indagini dimostreranno la loro estraneità alle organizzazioni mafiose o una bassa “pericolosità”. Furono 334 invece le mancate proroghe per altrettanti detenuti al 41bis decise da Conso nel 1993. Tra questi alcuni pezzi da novanta di Cosa nostra, Camorra e ‘Ndrangheta. Boss del calibro di Giuseppe Farinella e Giovanni Prestifilippo, rispettivamente capo mandamento e membro della Cupola palermitana, Vito Vitale capo mafia a Partinico e il giovane Francesco Spadaro “figlio d’arte” del narcotrafficante Masino. E ancora alcuni futuri boss casalesi come Antonio Letizia e Domenico Belforte e i vertici dei clan baresi Capriati e Diomede. E infine Robert Venetucci, il killer dell’avvocato Ambrosoli ucciso su mandato del finanziere mafioso Michele Sindona. Tra coloro che uscirono dai circuiti speciali ben 52 ci sono ritornati e 18 di questi sono ancora detenuti al 41bis. Chi predispose gli elenchi sui quali poi Conso fece la sua scelta, oggi sotto la luce dei riflettori delle inchieste? Mistero. Di certo quella decisione fu un segnale chiarissimo al popolo di Cosa nostra e ai boss che trattavano con pezzi delle istituzioni.

La missione di Ciancimino
E anche in questo contesto fa capolino uno degli ambasciatori principali di Cosa nostra nel biennio delle bombe: Vito Ciancimino. E’ lui il primo politico accusato di mafia a finire al 41bis, ma è anche il primo detenuto ad uscirne. Per 58 giorni, dal 7 gennaio al 9 marzo ’93, don Vito si trova in isolamento e dalla sua cella al 41bis racconta ai vertici della Procura palermitana dei suoi incontri con i carabinieri, Mori e De Donno, e gli emissari della Cupola. Sostiene che avvennero dopo le strage di Via D’Amelio del 19 luglio 1992. Una bugia – come ormai è accertato dalle indagini. Ma anche se la “collaborazione” di Ciancimino zoppica vistosamente, gli consente di uscire dal carcere duro. La sua “missione” di ambasciatore continua, questa volta dentro le carceri. A raccontarlo molti anni dopo sarà il pentito Salvatore Cancemi. “Provenzano mi disse che sui detenuti ci stavamo muovendo e che Ciancimino era in missione”. Missione che coincide temporalmente con la sua detenzione. “In ciascuna di queste fasi – rilevano gli investigatori nisseni – è costante la presenza dell’allora colonnello Mori”: nei colloqui con Ciancimino del ‘92, nelle parziali ammissioni ai magistrati dell’ex-sindaco di Palermo a cui lo stesso ufficiale partecipa, nella gestione del pentito Cancemi, nei fitti colloqui intessuti con il vertice dell’amministrazione penitenziaria che si preparava alla grande fuga dal 41bis. Una trama a cui però – secondo gli inquirenti – mancano ancora gli attori principali, “i pupari” di quella trattativa. A partire da chi guidò la decisione del ministro Conso di smantellare il 41bis nel silenzio, ad un anno appena dalle stragi Falcone e Borsellino.

La fuga dal 41bis
In pochi mesi, all’indomani della stragi di Capaci e Via D’Amelio finirono al 41bis 1041 mafiosi, affiliati a Cosa nostra, ‘Ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita. Ma già l’anno dopo il numero si era ridotto di oltre il 50%, erano 482 per scendere ancora nel 1994 a 445. Dall’anno dopo non si verificherà più un tale esodo; saranno infatti solo 9 i 41bis non rinnovati alla scadenza e 2 nel 1995.
Altri diciannove 41bis vengono annullati dal Tribunale di sorveglianza e solo per due persone verrà successivamente riapplicato il carcere duro, come nel caso di Giovanni Farina condannato per il sequestro Soffiantini. Dati che dimostrano il carattere unico e straordinario della decisione di Conso che dimezzerà il numero dei detenuti sottoposti al 41bis.
“Ho preso quella decisione in totale autonomia – ha detto l’ex-ministro l’11 novembre 2010 alla Commissione Antimafia – per fermare la minaccia di altre stragi e non ci fu nessuna trattativa”.
Di segno opposto le risultanze delle indagini compiute dalla Procura di Caltanissetta. “Il cedimento venne attuato e sostenuto proprio da quella parte dello Stato che più diceva di voler combattere “Cosa Nostra”: il volto migliore dello Stato, quello di una persona perbene e di un grande studioso, quale indubbiamente è il Ministro CONSO…non si fecero i conti con un fatto che, comunque, poteva essere ben previsto anche allora: Cosa Nostra, di fronte ai cedimenti dello Stato, avrebbe chiaramente pensato che la linea delle stragi era “pagante”.

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Tratto da: l’Unità

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