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faldoni-bigdi Nicola Biondo - 15 marzo 2012
La Cassazione ha chiesto ufficialmente alla Procura nissena le carte sull’inchiesta riguardante la trattativa Stato-mafia. L’iniziativa è stata presa dall’ufficio del Pg della suprema corte titolare dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati. Una richiesta che potrebbe far definitivamente deflagrare, dopo la sentenza Dell’Utri e le polemiche che ne sono seguite, una vera e propria guerra nel mondo politico e all’interno delle stesse toghe.

Dietro la mossa senza precedenti della Cassazione si intravedono due possibili letture: o una sorta di “volontà ispettiva” sull’ultima inchiesta riguardante la strage di via D’Amelio all’interno della quale la Procura nissena ha affrontato la questione della trattativa. O un raffronto tra le posizioni della Procura diretta da Sergio Lari e quella di Palermo che sulla trattativa ha già iscritto nel registro degli indagati uomini di stato e ha messo sotto processo il generale dei Carabinieri Mario Mori.   Sarebbe proprio il file sulla trattativa che interessa maggiormente l’ufficio del Procuratore Generale.
E’ in un capitolo della richiesta di misura cautelari per cinque nuovi indagati per l’uccisione del giudice Paolo Borsellino che i magistrati di Caltanissetta mettono nero su bianco una serie di giudizi molto duri nei confronti di alcuni esponenti politici e dell’amministrazione dello Stato.
“Un’ingloriosa stagione dello stato italiano” così la Procura nissena definisce il periodo in cui si è svolta la trattativa Stato-mafia, dalla strage di Capaci alle bombe di Milano, Firenze e Roma dell’estate 1993. Tra i protagonisti di quella stagione i magistrati annoverano l’allora ministro dell’Interno Nicola Mancino e quelli della Giustizia Giovanni Conso e Claudio Martelli, insieme all’ufficiale dei Carabinieri Mario Mori e al capo della Polizia Roberto Parisi, i massimi dirigenti dell’amministrazione penitenziaria fino ad un Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Secondo l’inchiesta nissena già dopo l’estate del 1992 “il governo – era quello di Giuliano Amato con i voti democristiani e socialisti - aveva elementi di conoscenza da cui desumere che le stragi sarebbero continuate, e che non sarebbero avvenute in Sicilia. Così come era a conoscenza, in alcuni suoi esponenti, di una “trattativa divenuta poi un ricatto alle istituzioni”. Come per il rapimento di Aldo Moro, sostengono i magistrati – vi fu un partito della fermezza e uno della trattativa, sia nel governo Amato che in quello seguente di Carlo Azeglio Ciampi. Vinsero i trattativisti e “senza clamore” venne tolto per oltre 400 mafiosi il 41bis: Ecco il “motivo – accusa la Procura nissena - di tante amnesie da parte di uomini di stato” nella piena ricostruzione di quei tragici mesi.
“Il cedimento venne attuato e sostenuto proprio da quella parte dello Stato che più diceva di voler combattere “Cosa Nostra”: il volto migliore dello Stato, quello di una persona perbene e di un grande studioso, quale indubbiamente è il Ministro CONSO… Il proposito era, forse, quello di non cedere su tutta la linea, ma “salvare il salvabile”.
Ma – aggiungono  i magistrati - quella strategia,“ non fece i conti con un fatto che, comunque, poteva essere ben previsto anche allora: Cosa Nostra, di fronte ai cedimenti dello Stato, avrebbe chiaramente pensato che la linea delle stragi era “pagante”.
Giudizi “politici”, stilati sulla base di un’imponente raccolta di fonti e documenti, e che pur non avendo avuto ripercussioni penali per i protagonisti citati nell’inchiesta nissena, oggi sono finiti sotto la lente di in gradimento della Cassazione. Con quali risultati è presto per dirlo, anche se sull’ “indagine” della Suprema Corte è facile immaginare che si possa innescare un nuovo e durissimo scontro politico giudiziario.

Tratto da: l'Unità

Per gentile concessione dell'autore

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