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mori-mario-bigdi Giorgio Bongiovanni - 19 dicembre 2011
“Probabilmente le trattative ci sono state, ma queste non potevano essere gestite da un colonnello dei carabinieri: sono ad alto e a maggiore livello, e forse un giorno salteranno fuori”. Parole del generale Mario Mori intervistato da Antonello Piroso domenica scorsa nel programma di La7 ‘Ma anche no’. La domanda del giornalista riguardava la trattativa Stato-mafia e Mori dal canto suo non ha disdegnato di ripetere - riferendosi al suo rapporto con Vito Ciancimino - che la sua “non è stata una trattativa, ma un rapporto tra un Pg e una fonte”.

Il messaggio obliquo che è passato attraverso il tubo catodico proviene da uno dei principali protagonisti di una stagione criminale nella quale è stato sancito l’accordo tra uno Stato Bifronte e l’organizzazione criminale più potente al mondo. Il generale Mori è arrivato al punto di ipotizzare la possibile attuazione di trattative tra Stato e mafia rimarcando comunque il fatto di non poter essere stato colui che le avrebbe gestite in quanto di livello inferiore agli effettivi terminali. Ma a chi si è rivolto il generale Mori? Al suo superiore dell’epoca Antonio Subranni? O ha alzato il tiro nei confronti di esponenti delle istituzioni di livello superiore? L’ex comandante del Ros ha lanciato forse un messaggio trasversale ad ex presidenti del Consiglio e ad ex ministri che sul sangue di Falcone e Borsellino si sono salvati la pelle? Non sappiamo quanto possano avere sobbalzato sulla sedia personaggi come Giulio Andreotti, Nicola Mancino, Calogero Mannino ed altri ascoltando le dichiarazioni dell’ufficiale dei carabinieri attualmente sotto processo per la mancata cattura di Provenzano. Sta di fatto che simili affermazioni non sono state rilasciate “a caso” da chi è ben consapevole del peso delle proprie parole. Soprattutto in questo particolare momento storico nel quale pezzo dopo pezzo si comincia a fare luce sul biennio stragista ‘92/’93. Parafrasando quella che lo stesso Mori (riferendosi ai suoi colloqui con Vito Ciancimino) ha definito “una tecnica investigativa”, Giovanna Maggiani Chelli ha chiesto al generale se avesse valutato tutto il peso che poteva aver comportato quella tecnica investigativa, sottolineando come dopo quei “colloqui” fossero scoppiate le bombe a Roma, Firenze e Milano. “Noi purtroppo – ha ricordato amaramente la Chelli – non possiamo non temere che la controparte, Cosa nostra, possa aver letto quei colloqui non come normali episodi investigativi, ma come una apertura a ‘trattare’ e crediamo quindi sia un nostro diritto capire se vi è stata una forte responsabilità morale per la sorte toccata ai nostri figli da parte dello Stato”. Di fronte all’appello di chi ha perso figli e parenti in quelle che gli storici definiranno “stragi di Stato” il messaggio del generale Mori ha assunto un’ulteriore importanza in tutta la sua gravità. Molto probabilmente dall’altra parte dello schermo televisivo qualcuno ha preso atto delle osservazioni dell’ufficiale dei Carabinieri. Non sappiamo quanto tempo ci vorrà prima che le verità su queste trattative “saltino fuori”. O tanto meno se la reazione a catena innescata da determinate dichiarazioni potrà sortire o meno l’effetto di provocare ulteriori risultati a carattere investigativo. Sta di fatto che gli stessi interpreti principali di questa tragedia del nostro più recente passato manifestano evidenti segni di insofferenza quasi a dire ‘perchè devo pagare solo io quando c’è stato chi ha impartito gli ordini?’. E questa “caduta libera” potrà solo aumentare giorno dopo giorno. Travolgendo tutti coloro che a un livello basso o alto che sia hanno avuto un ruolo all’interno di questo patto criminale.

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