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napoli cittadi AMDuemila
La relazione semestrale, gennaio-giugno 2019, della Direzione Investigativa Antimafia sulla Camorra

Articolato, duttile e proiettato verso le nuove generazioni ma con le strategie criminali di quelle storiche. E’ così che si potrebbe riassumere il “sistema camorra” leggendo l’ultima relazione semestrale, Gennaio-Giugno 2019, della Direzione Investigativa Antimafia sulla criminalità organizzata campana. Gli addetti scrivono che le ultime indagini confermano l’esistenza “di clan connotati da assetti e strategie operative diversificate, caratteristiche che rendono complesso darne una definizione univoca”. Questo perché negli stessi territori del capoluogo campano e delle provincie coabitano “realtà criminali molto diverse. Sodalizi con radici consolidate quali il cartello noto come l’alleanza di Secondigliano (nata per iniziativa dei gruppi Licciardi, Contini e Mallardo), il clan Mazzarella, i gruppi Polverino, Nuvoletta/Orlando e aggregati criminali meno evoluti a livello organizzativo, che si caratterizzano per un uso sistematico della violenza e per gli scontri armati con omologhi clan”. Gli analisti parlano nella relazione di un “dualismo” della camorra. Da una parte si trova il ramo costituito dalle nuove leve, a composizione prevalentemente familiare e improntato verso un sistema di controllo del territorio di tipo violento. Dall’altra un ramo caratterizzato dai cartelli storici che adottano strategie di “sommersione”, rivelatesi più “insidiose” rispetto alle manifestazioni di violenza, “tese ad infiltrare l’economia e la politica e a stringere accordi con altre organizzazioni criminali di diversa matrice territoriale, italiane e straniere”. Sono specialmente questi gruppi criminali ad aver acquisito una particolare “duttilità nel modularsi secondo differenti contesti operativi e il ripudio della contrapposizione frontale con lo Stato ne ha agevolato i processi adattativi alle logiche di mercato, facilitandone l’espansione”.
Su questa linea, continuano gli addetti, “la loro propensione ad espandersi in territori appannaggio di altri gruppi, spesso tessendo alleanze con sodalizi locali, e a radicarsi anche in altre regioni, rende evanescente il tentativo di delinearne una precisa collocazione territoriale”. Mentre per quanto concerne i fini investigativi si è rivelato “più che mai necessario ricostruirne le relazioni, compito per il quale si sono spesso rivelate fondamentali le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Sulle dinamiche interne ed esterne ai clan è destinato ad avere ripercussioni importanti il ritorno sul territorio di personaggi di particolare caratura criminale, per effetto delle avvenute scarcerazioni”. Riguardo il carcere, poi, emerge dalla relazione della Dia che nonostante “lo stato di detenzione rappresenti anche un sistema per isolare i capi dai sodalizi, plurime indagini hanno dimostrato che non di rado i clan di riferimento riescono a ricevere dalle carceri le comunicazioni per le decisioni più importanti”.

caserta

L’infiltrazione nell’economia
Dalle pagine della relazione della Dia viene sottolineata la capacità delle organizzazioni camorristiche di infiltrarsi nei gangli dell’economia legale non solo in Campania ma in tutta la penisola, anche in quelle regioni storicamente non di mafia. “Il condizionamento del tessuto economico non riguarda più esclusivamente la Campania poiché - scrive la Dia - la necessità di investire capitali ha comportato la migrazione di “imprenditori” camorristi nelle regioni del Centro e Nord Italia dove, operando senza i vincoli imposti dalle regole di mercato, alterano la legittima concorrenza, contribuendo ad indebolire le imprese legali”. Mentre nei territori dove i clan camorristici sono fortemente radicati, “l’economia parallela generata dalle imprese mafiose è percepita dalla popolazione come unica fonte certa di reddito e la presenza del clan è avvertita come strumento di occasioni lavorative, che si traduce a sua volta in fonte di consenso”. Una capacità la loro di “sostituirsi allo Stato-apparato”. Di fatti i provvedimenti interdettivi antimafia emessi dalle Prefetture campane nel primo semestre del 2019 “confermano la patologica infiltrazione di imprese riconducibili alla camorra nel settore alberghiero, della ristorazione, delle pulizie, della gestione di stabilimenti balneari, nella raccolta e smaltimento dei rifiuti, nella realizzazione di lavori edili in generale, nei servizi cimiteriali e di onoranze funebri, di vigilanza, custodia e di trasporto”. È indifferente per i clan, si legge ancora sul punto, “la formale aggiudicazione degli appalti pubblici, ai quali, se del caso, partecipano, attraverso loro imprese sub appaltatrici. Alcune delle società interdette, collegate con i clan locali dove in passato si sono trasferiti elementi di spicco dei gruppi camorristici che hanno continuato a delinquere, hanno sede o operano in altre regioni come la Lombardia, Emilia Romagna, Molise e Liguria”. Ed è proprio in quest’ultima regione che, come annotano gli analisti della Dia, di recente le indagini hanno riscontrato un tentativo da parte delle organizzazioni di camorra di “infiltrarsi nell'economia legale in Liguria attraverso i lavori di demolizione del Ponte Morandi, anche se non annovera sodalizi strutturali nella provincia di Genova”.

Grande interesse nel traffico di droga
Per quanto riguarda il traffico di stupefacenti la Dia afferma che continua ad essere "un ambito criminale di grande interesse per le associazioni camorristiche". "Parte delle notevoli quantità di droga introdotta dalla camorra - si evidenzia - è destinata ad essere venduta in molte regioni d'Italia e prima fra tutte il Lazio, ma anche la Toscana e l'Abruzzo". Dalle indagini condotte emerge anche "la stretta collaborazione che si è instaurata con le organizzazioni criminali straniere con la camorra che si conferma quale principale gestore dei traffici di eroina e di cocaina, unitamente alla 'ndrangheta, in contatto, generalmente, con organizzazioni estere soprattutto albanesi”. Questa collaborazione internazionale è "funzionale anche a garantire la latitanza agli affiliati, che dai Paesi stranieri possono, nel contempo, curare gli interessi illeciti del sodalizio di appartenenza". Legami di questo tipo "sono stati riscontrati in Spagna in Germania, nei Paesi Bassi, in Sud America e in Nord Africa".

salerno

Le “Accademie della camorra”
Dal copioso documento della Dia emerge un preoccupante fenomeno collegato alla camorra che si sta affermando sempre di più in Campania: “le Accademie della camorra”. Ovvero bande di ragazzi sempre più giovani e spietati, i quali, anche se in parte privi di legami famigliari con le organizzazioni criminali ma che agiscono con la stessa violenza esasperata, sono spesso protagonisti di aggressioni per futili motivi in danno di altri coetanei. Nella relazione della Direzione Investigativa Antimafia si evidenzia come queste bande "si sono conformate ai modelli dei clan emergenti, nei quali l'età degli affiliati è particolarmente bassa. Di esse, a volte, fanno parte rampolli di famiglie criminali, che hanno mutuato gli atteggiamenti violenti dai loro genitori. Non è raro - si legge ancora - che i giovani che compongono queste bande non abbiano alcun legame con organizzazioni criminali, sebbene la violenza che esprimono sia altrettanto esasperata. Tali formazioni, che costituiscono 'l'Accademia della Camorra', sono spesso protagoniste di aggressioni per futili motivi in danno di altri coetanei, mostrando di non avere alcuna coscienza della gravità dei loro atti, come accaduto a marzo del 2018, quando tre minorenni uccisero a colpi di bastone una guardia giurata, a Napoli, nella stazione della metropolitana di Piscinola, per sottrargli la pistola e poi rivenderla". "A questa pletora di 'aspiranti camorristi' - scrivono gli analisti- si aggiunge la schiera di ragazzi che appartengono a famiglie mafiose e vengono 'iniziati', dagli stessi genitori, ad attività criminali, ancora bambini. Da questa Accademia, che rappresenta un'efficace percorso di formazione e selezione della futura leadership, emergeranno i nuovi capi in base alle rispettive capacità di dare ordini, stringere alleanze, di essere, in definitiva, punto di riferimento nell'azione criminale".

Casalesi ancora in salute
Numerosi sono i clan che fanno parte della galassia che adotta la cosiddetta strategia della “sommersione”. Il più grande tra questi è lo storico clan casertano dei Casalesi il quale, “nonostante le numerose inchieste giudiziarie e i provvedimenti patrimoniali, riesce ancora efficacemente a difendere e curare i propri interessi illeciti attraverso ramificazioni finanziarie anche internazionali e importanti reti di imprese controllate da fiduciari dell’organizzazione. A tale scopo i Casalesi possono contare su interlocutori con specifiche e diverse competenze professionali, capaci di gestire attività economiche di elevata e sofisticata complessità”. Sempre sul clan gli analisti della Dia affermano che “il quadro di conoscenze sull’operatività e la struttura della federazione criminale si è arricchito negli ultimi tempi, grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, tra i quali i figli dei capi dei gruppi Schiavone e Bidognetti”.

benevento

La camorra contro i siti di smaltimento rifiuti
Nelle pagine della relazione semestrale della Dia si evince come i boss di camorra abbiano tentato di influenzare certi orientamenti politici di una parte della popolazione campana riguardo a tematiche sensibili funzionali alla prosperità dell’organizzazione stessa. In particolare grande attenzione dei clan è stata riposta sull’accesa discussione dei siti di smaltimento di rifiuti in regione, temi sui quali sono dovuti intervenire anche i vertici del governo. “Alla luce delle investigazioni condotte nel settore dalle Forze di polizia, - evidenzia la Dia - è ipotizzabile che, nel tempo, alcune manifestazioni popolari di dissenso contro la costruzione, nel territorio campano, di siti per lo smaltimento dei rifiuti, possano avere avuto registi occulti contigui alle associazioni camorristiche che si sarebbero adoperate per mantenere lo stato emergenziale delle aree di influenza per continuare a lucrare nell’illecito traffico”. Nella filiera illegale, si legge ancora sul punto, “gioca un ruolo importante anche il sito di stoccaggio, funzionale al declassamento cartolare dei rifiuti con la sostituzione della documentazione di accompagnamento e l’attribuzione di un diverso codice CER (Catalogo europeo rifiuti, ndr). In questi casi - spiegano gli addetti - gli autotrasportatori non scaricano o, addirittura, non transitano per il sito medesimo. Assai sensibile è anche la fase finale dello smaltimento, atteso che tendono a rinvenirsi siti non autorizzati al trattamento di determinate tipologie di rifiuti (quali le cave dismesse o aree di interramento) ove i rifiuti vengono letteralmente tombati”. Il trasporto rappresenta sicuramente, secondo la Dia, “il segmento più sensibile all’infiltrazione criminale della filiera, perché costituisce il ‘ponte’ tra le diverse fasi della gestione dei rifiuti: dalla produzione/raccolta, allo stoccaggio intermedio, sino allo smaltimento finale, che sia legale o illecito”.

Capoluogo e provincie
Gli analisti della Dia hanno infine tracciato una linea chiara sui nomi, le attività e l’influenza delle organizzazioni camorristiche nella regione Campania, in particolare nel capoluogo e nelle provincie. A Napoli la Direzione Investigativa Antimafia rileva il prosperare di “sistemi criminali con connotazioni profondamente differenti. Se da un lato - aggiungono - l’indagine denominata “Cartagena” (che ha portato a 126 arresti, ndr) ha confermato la piena stabilità e operatività del cartello noto come “Alleanza di Secondigliano”, composto dai clan Contini, Bosti, Licciardi, originari di Napoli e Mallardo di Giugliano in Campania (NA), dall’altro permangono focolai di tensione che si sono manifestati attraverso attentati contro affiliati a gruppi rivali: in due di questi, verificatisi tra aprile e maggio 2019, sono stati coinvolti dei bambini”. Nel capoluogo, si legge ancora, “coesistono, spesso nella stessa zona, gruppi diversi per struttura e scelte operative: accanto a sodalizi minori, prevalentemente dediti al controllo di attività illecite sul territorio di rispettiva influenza, operano storiche e strutturate organizzazioni sempre più proiettate ad estendere il loro raggio d’azione in altre regioni e all’estero”, sottolinea la Dia. Organizzazioni queste, che prendendo in esame la provincia di Caserta, “hanno ancora nei Casalesi una più che solida espressione”.

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Sempre nel casertano, poi, “si conferma la pervasiva presenza e la permanente vitalità dei clan Schiavone, Zagaria, Bidognetti, federati nel cartello dei Casalesi, con rilevanti insediamenti in Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Lazio. Il loro potere si manifesta non solo in ambiti più strettamente criminali ma soprattutto in contesti di natura affaristica, dove sono in grado di esercitare una forte influenza in virtù di meccanismi collaudati negli anni, malgrado quasi tutti i fondatori e gli affiliati storici siano stati arrestati, condannati e si trovino, tuttora, in stato di detenzione”. Il territorio Casertano, inoltre, “continua ad essere oggetto di particolare attenzione per quanto riguarda la bonifica di aree dove sono stati sversati illecitamente rifiuti di ogni genere - evidenzia la Dia - che hanno causato problemi alla salute pubblica”. Per quanto concerne invece la provincia di Salerno nella relazione si parla della presenza di “una situazione generale riferita alla criminalità organizzata particolarmente disomogenea, con aspetti e peculiarità che variano in ragione della sensibile diversità geografica, storica, culturale, economica e sociale che connota le diverse zone della provincia (Agro Nocerino-Sarnese, Valle dell’Irno, Costiera Amalfitana, capoluogo, Piana del Sele, Cilento, Vallo di Diano). Non si registrano - scrivono ancora gli analisti - significativi cambiamenti sotto il profilo degli equilibri e dei principali interessi delittuosi dei sodalizi locali. Permangono importanti collegamenti con consorterie originarie del napoletano e del casertano, con le quali i clan salernitani condividono interessi e sinergie criminali”. Dopodiché viene preso in analisi il territorio avellinese “che risente dell’influenza delle più qualificate organizzazioni delle aree confinanti, in particolare di Napoli Caserta e Benevento, si è affermato un gruppo criminale composto da ex affiliati del clan Genovese, operativo nella città di Avellino e in parte della provincia, sorto con il beneplacito del suddetto sodalizio, in difficoltà operative per la detenzione dei vertici”, scrivono gli analisti. “I gruppi locali - si legge ancora - molti dei quali con proiezioni anche in altre aree della regione e del territorio nazionale, sono inseriti in numerosi settori illeciti ed hanno dimostrato, in passato, di saper condizionare le amministrazioni pubbliche locali”. Per concludere riguardo il territorio beneventano, le zone di maggiore incidenza criminale continuano ad essere quelle al confine con la vicina provincia casertana dove “le organizzazioni locali hanno subito, grazie a recenti indagini, un forte ridimensionamento”. In questi territori operano “gruppi criminali minori legati alle consorterie Sparandeo e Pagnozzi, la prima presente nel capoluogo, la seconda nella Valle Caudina, entrambe in rapporti ‘d’affari’ con clan napoletani e casertani”.

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