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di AMDuemila
La relazione del secondo semestre 2018: "Perdurante vita criminale garantita anche da connivenze con 'colletti bianchi'"

"Se nell'Ottocento i precursori dei moderni imprenditori camorristi si erano assicurati il monopolio nella distribuzione del fieno per le carrozze, adesso si può affermare, perché conclamato da atti giudiziari definitivi, che non vi è alcun settore lecito produttivo di ricchezza che non sia stato oggetto di attenzione da parte dei clan". Questo è quanto emerge dalla Relazione Semestrale luglio-dicembre 2018 della Direzione Investigativa Antimafia sulla camorra. Le organizzazioni criminali campane si sono "rigenerate", si legge, tramite tecniche sempre più efficienti di infiltrazione del tessuto socio-economico, politico e imprenditoriale. "I sodalizi si infiltrano nell'economia legale o attraverso la partecipazione in imprese sane o operando direttamente con proprie ditte di riferimento, caratterizzate da una continua modificazione di assetti e sedi sociali, in modo da rendere più complesso risalire alla reale proprietà. In alcuni casi si tratta di reti di imprese, attraverso le quali controllano l'intera filiera delle attività connesse ad un determinato settore economico: nel settore dei giochi, ad esempio, sono risultate tra loro collegate imprese che si occupavano dell'installazione e manutenzione di slot machine e videolottery, nonché della gestione delle sale e dei servizi di ristorazione". Da quanto riportato dalla relazione, la perdurante vita criminale della camorra non è solo garantita da un'asfissiante infiltrazione sociale, ma dalle strette "connivenze con i cosiddetti colletti bianchi, ai quali è demandato anche il compito di occultare i tesori dei clan". Questi, secondo la DIA, sono "accumulati innanzitutto attraverso i traffici di stupefacenti, esercitati oggi con modalità diverse rispetto al passato, dal momento che vengono affidati ad esperti broker, in grado di importare la droga dai Paesi stranieri, di stoccare la merce e di distribuirla ai grossisti".

Le diverse condotte dei clan di camorra
La relazione semestrale della DIA fa notare che le dinamiche criminali dei clan camorristici "continuano ad essere particolarmente complesse, e coesistono, spesso nella stessa zona, gruppi diversi per struttura e scelte operative: accanto a sodalizi minori, prevalentemente dediti al controllo di attività illecite sul territorio di rispettiva influenza, operano storiche e strutturate organizzazioni, come i Mazzarella, i Licciardi e i Contini nel capoluogo partenopeo, i Mallardo, i Moccia, i Nuvoletta, i Polverino e gli Orlando nella provincia, i Casalesi nel Casertano, sempre più proiettate ad estendere il loro raggio d'azione in altre regioni e all'estero". Se per i primi "la violenza è uno strumento necessario di affermazione criminale", i secondi "tendono a rifuggire azioni eclatanti e appaiono sempre più orientati a controllare i mercati legali, stringendo rapporti con il mondo imprenditoriale, le pubbliche amministrazioni ed esponenti politici". Numerosi quartieri di Napoli e tante altre zone della Campania, controllate da clan prematuri, infatti, scrivono gli addetti della DIA, sono segnati da un clima di violenza messo in atto da pregiudicati che sparano all'interno dei negozi, incuranti della possibilità di colpire persone innocenti. Le 'stese' sono conseguenza di "questa magmatica situazione con gravi conseguenze per la sicurezza pubblica". Fenomeni criminali, come quelli delle "stese", sono a tutti gli effetti, secondo lo studio, sinonimi di una devianza giovanile che sembra non arrestarsi. Sono i più giovani, infatti, "provenienti da contesti familiari e metropolitani degradati", i principali protagonisti di questi episodi di aggressioni immotivate o scontri tra bande. Non solo. "Lo stato di disagio sociale e di illegalità diffusa che caratterizza ampie zone del territorio campano, la convivenza tra organizzazioni camorristiche vere e proprie, gruppi di gangsterismo urbano e bande di giovani delinquenti - si legge - fa sì che le prime possano, in ogni momento, contare su eserciti di centinaia di persone, costituiti anche da minori impiegati come vedette, trasportatori di armi, corrieri a domicilio per la consegna di sostanze stupefacenti, fino addirittura alla commissione di omicidi". Sulla questione "è chiaramente percepibile - continua la relazione - un rapporto causa-effetto tra il degrado sociale e familiare e la devianza giovanile". Il fenomeno della criminalità minorile, viene ricordato nella relazione, è stato oggetto anche della seduta plenaria del Consiglio superiore della magistratura tenutosi a Napoli l'11 settembre 2018, nel corso della quale è stato notificato che "la delinquenza minorile non è un'emergenza ma un problema incancrenito con il quale ci si misura da tempo".

relazione dia citta caserta

Il clan dei Casalesi
Dalla relazione della DIA si evince inoltre che seppur siano ancora solide le potenti alleanze del clan dei Casalesi con i gruppi napoletani come i Moccia di Afragola e i Mallardo di Giugliano in Campania, con il pentimento del figlio del capoclan Schiavone detto "Sandokan" la nota famiglia mafiosa di Caserta ha subito un duro colpo. "Un importante elemento di novità rispetto agli assetti criminali dell'area casertana è da individuarsi nella scelta, nel mese di luglio 2018, di collaborazione con la giustizia di Nicola Schiavone", scrivono gli investigatori. Per quanto invece concerne le attività illecite dei clan campani, e in particolare nel salernitano, "l'infiltrazione negli appalti - per la realizzazione di opere pubbliche, per la fornitura di servizi (particolare delicatezza riveste quello di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani), per la manutenzione delle infrastrutture e dei beni del demanio - continua a rappresentare un settore di primario interesse delle organizzazioni criminali, che vede coinvolti anche imprenditori e funzionari pubblici infedeli". "La corruzione di quest'ultimi - prosegue il documento - rappresenta il grimaldello che consente alle organizzazioni camorristiche di infiltrarsi nella pubblica amministrazione e di condizionarne la gestione. Laddove i tentativi di corruzione dovessero risultare vani, si assiste ad una escalation criminale che passa dalle minacce alle intimidazioni vere e proprie, come accaduto nel comune di Agropoli, in cui si sono registrate una serie di azioni intimidatorie da parte del locale gruppo Marotta, per indurre il sindaco ad assegnare posti di lavoro e alloggi popolari agli affiliati".
Sempre sui Casalesi nella relazione luglio-dicembre della Dia gli investigatori evidenziano un altro punto di forza del cartello criminale. Ovvero "la capacità di impiegare i proventi illeciti in attività imprenditoriali, creando un vero e proprio impero, in grado di produrre profitti e di acquisire consenso sociale attraverso l'impiego in attività commerciali di riferimento del sodalizio", si legge nel bilancio del secondo semestre Dia. "La vastità di tale impero è attestata dai numerosi provvedimenti di sequestro emessi negli anni a carico di imprenditori che hanno messo a disposizione del cartello le loro aziende". Una modalità di azione confermata anche nel dettagliato rapporto. Gli addetti notificano infine una particolare minaccia indirizzata ad un collaboratore di giustizia già affiliato al Clan Zagaria comparsa il 10 ottobre dello scorso anno a San Cipriano d'Aversa. "Chi entra in questa casa è un pentito" è la scritta comparsa sull'immobile. Un messaggio 'indicativo' contro i collaboratori di giustizia, secondo gli investigatori, sulla situazione criminalità organizzata nel casertano. L'immobile, disabitato, nel 2013 è stato sequestrato in esecuzione di un decreto della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. "Finora le inchieste giudiziarie, lo stato di detenzione di quasi tutti i fondatori e di numerosi affiliati storici, la collaborazione con la giustizia di esponenti di spicco non sembrano avere comunque inciso radicalmente sui precedenti assetti, come invece accaduto in alcune aree napoletane", si aggiunge nel bilancio della Dia. "Molti esponenti di rilievo - spiegano - anche se ristretti in carcere, controllano le zone di influenza, impartendo ordini all'esterno, mentre capi, gregari e fiancheggiatori dell'organizzazione detenuti continuano ad usufruire dei benefici di appartenenza al sodalizio, come l'assistenza economica in carcere, le spese di giustizia e il sostentamento della famiglia".

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