Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

di AMDuemila
Il capo clan è l’unico imputato all’interno del processo

Si terrà il prossimo 16 maggio davanti al Gup del Tribunale di Napoli l’udienza preliminare per il delitto di Orlando Carbone. Il processo vede come unico imputato il boss di Marcianise (Caserta) ed ex collaboratore di giustizia, Salvatore Belforte. I resti delle ossa di Orlando Carbone sono stati fatti ritrovare nelle campagne di Marcianise nell'aprile del 2015 da Belforte, a pochi mesi dalla sua collaborazione. Carbone fu ucciso a soli 20 anni insieme da un'altra persona, Giuseppe Tammariello, soprannominato 'Pinuccio o' romano' classe 1932, invalido in quanto gli mancava un braccio. Di lui non è stato trovato nulla, perché fu sciolto nell'acido, sotterrato e interrato nel cemento. "Orlando Carbone e Giuseppe Tammariello, sono stati uccisi da me e da Remo Scoppetta qualche giorno dopo la strage di San Martino avvenuta a Marcianise l'11 novembre 1986. - ha confessato il boss - Sono stati eliminati perché dei testimoni scomodi”. Belforte ha raccontato che dopo la strage di San Martino, che diede il via alla faida con il clan Piccolo per il controllo degli affari illeciti nella città di Marcianise e nei comuni limitrofi, "sono avvenuti almeno 100 omicidi fino al coprifuoco di fine anni '90". Tra questi cento omicidi, almeno 25 sono stati ordinati o eseguiti da Salvatore Belforte. "Ho iniziato a collaborare per fare una vita diversa e farla fare anche ai miei figli. - ha riferito il boss al pm Luigi Landolfi - Mio figlio Vincenzo ha 17 anni e l'ho visto in tutta la sua vita appena 4 mesi e mezzo perché sono sempre stato in carcere".
Secondo l'accusa il capo clan avrebbe mentito sulla morte di Angela Gentile, una donna scomparsa per lupara bianca nel 1991 perché amante del fratello Domenico, circostanza non digerita nella famiglia del gruppo dei cosiddetti 'Mazzacane'. Per questo motivo la Procura di Napoli, su ordine del Viminale e disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia, decise di revocare la protezione al capo clan Salvatore Belforte nel 2017. L'amante del fratello sparì il 28 ottobre 1991, dopo aver accompagnato la figlia a scuola. Quella figlia avuta proprio dal fratello, Domenico Belforte. Per la Dda, sulla base delle confessioni dei collaboratori di giustizia, però, la vicenda andò in maniera diversa da quanto raccontato. Infatti, è indagata anche la cognata di Salvatore Belforte, Maria Buttone moglie di Mimì 'Mazzacane'. "Tutta Marcianise sapeva che aveva avuto una figlia con lei e per questo aveva perso la faccia nei confronti delle altre donne del clan". Quindi, quel giorno, sarebbe stata prelevata da tre uomini nell'ex parcheggio dell'ospedale dove la sua auto, una Marbella, e poi ritrovata. Il corpo "fu seppellito a Puzzaniello di Marcianise, vicino ai pilastri della ex Pontello". "L'ho uccisa per errore" avrebbe confessato recentemente Mimì Belforte. Ma per la Procura non fu un errore. Il corpo della 33 enne non è mai stato trovato. La figlia, inconsapevole di tutta questa storia, dopo la scomparsa della madre, fu poi prelevata con un atto di forza dalle zie che vivevano a Caserta e 'adottata' dai Belforte.

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos