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ruotolo silvia 500Intervista di Luciano Armeli Iapichino
Il ricordo della figlia Alessandra

È difficile trovare l’input per parlare di questa surreale storia che ha colpito una madre, la sua famiglia, la sua città. È difficile anche a distanza di vent’anni perché le circostanze in cui sono maturati i fatti rientrano in quelle strane e ingestibili logiche governate dalla casualità, dalle coincidenze, da quella bestia partorita dai nostri limiti chiamata “destino” o, in verità e senza invenzioni e attenuanti alcune, in quelle amministrate dalla nefandezza umana.

Potremmo iniziare questa storia da un asilo. Una festa di fine anno scolastico.

Tanti bambini con le loro madri, tanta innocenza e soprattutto tanta spensieratezza.

È l’11 giugno del 1997, Napoli, quartiere Arenella. Tra loro una giovane madre Silvia, che insieme con le altre si allieta con i piccoli, tra cui il figlio Francesco, in quel ritaglio d’estate ormai alle porte. È sposata con un ingegnere, Lorenzo Clemente. A casa ad aspettarla c’è Alessandra, la primogenita di dieci anni. È quasi ora di pranzo. E intanto, fuori da quella scuola, in direzione di quel quartiere due auto con cinque sicari armati sino all’inverosimile procedono spediti, obnubilati da una furia omicida e vendetta. L’obiettivo è il boss Cimmino in guerra con il clan Alfano. Una soffiata lo indica nella zona unitamente ai suoi uomini. Si scatena l’inferno. Decine di spari ad altezza uomo.

La quiete del momento è squarciata da un indefinibile e fastidioso frastuono.

Poi, di colpo, tutto tace. Per brevi istanti.

Dal bacone del nono piano di una palazzina antistante alla scena da far west, una bambina rompe nuovamente quel silenzio, anch’esso divenuto assordate.

L’urlo è inequivocabile: “mammaa!!” E’ Alessandra e da quell’altezza vede la madre a terra che tiene ancora con la mano il fratello Francesco.

Silvia Ruotolo è stata colpita a morte da un proiettile vagante. Tutto è finito. La pellicola della vita si è riavvolta in uno strano cinematografo che trasforma la fantasia in realtà e la realtà - che ha superato i confini dell’inimmaginabile - in una lacerazione ingestibile per due bambini, un marito e un’intera comunità. Nessuna logica, nessuna Trascendenza, nessuna pietà. Nessun perché. I sicari dell’Arenella hanno deciso di recidere sogni, attese e quotidianità. Hanno voluto che la signora Ruotolo, che sino a qualche istante prima sorrideva in quella scuola con altre mamme, non continuasse ad assolvere il ruolo di madre, di moglie, di amica, di donna. Hanno calato il sipario della gioia in nome dell’indefinibile proprio loro che, con le pistole fumanti, dopo qualche minuto hanno riabbracciato i loro figli.

Oggi Alessandra, avvocato, è assessore alle Politiche giovanili nella giunta De Magistris.

ruotolo alessandra 900La chiamo e dall’altra parte del telefono mi accoglie una voce calma, attenta, predisposta all’ascolto, sicura. Una voce che tranquillizza. Le chiedo subito un ricordo di Silvia:

“La ricordo sempre con il sorriso, con il suo amore per la musica, le scarpe da ginnastica e il jeans, sportiva e luminosa. Era un’insegnante”.

Cosa ricordi di quel terribile giorno:

“Eravamo stati insieme all’asilo di mio fratello Francesco per la festa di fine anno. Poi lei era tornata a riprenderlo. Improvvisamente ho sentito un rumore impreciso, qualcosa tra il botto di un incidente e un motorino. Mi sono affacciata dal balcone e mamma era a terra. Urlai il suo nome … Poi un vicino del quarto piano – noi eravamo al nono – mi ha portato con sé. Solo a tarda sera ho riabbracciato mio padre e mio fratello”.

Come hai vissuto il dopo?

“Mio padre ha fatto di tutto per non farci crescere nell’odio. Ricordo che la prima frase che ha scritto mio fratello a scuola era di rabbia verso mia madre che ci aveva abbandonato. E anch’io ho sperimentato questo sentimento nei confronti delle madri di chi aveva ucciso la mia.

Col tempo però abbiamo compreso che la forza dell’amore e della cultura poteva essere più forte di quelle pallottole.

Il giorno prima dei funerali, nella cappella, mio padre mi disse che tante persone fuori avrebbero voluto salutare mamma e mi chiese se potevano entrare. E da quel momento mamma è diventata di tutti ed io sono diventata grande. Da quel giorno tante persone ci hanno preso per mano e la risposta decisa della magistratura, delle forze dell’ordine e della città è stata fondamentale.”

Alessandra ricorda l’incontro con l’Ass. Libera di Don Ciotti.

“L’incontro con Libera ha forgiato la consapevolezza che tutto ciò che è accaduto non doveva cambiarci ma, al contrario, mutarsi in un impegno a far sì che ciò che ha colpito la nostra famiglia non continuasse a colpire altri”.

Un bilancio del tuo impegno politico?

“E’ stata una grande opportunità, un onore. Qualcosa di enorme mi è stato tolto e in parte mi è stato restituito da chi ha voluto condividere la mia battaglia. Adesso sono io a restituire qualcosa con l’impegno per la città.”

Alessandra ha un pensiero anche per Angela Manca, la madre di Attilio Manca, l’urologo siciliano ucciso a Viterbo in circostanze che ricondurrebbero alla latitanza e all’operazione alla prostata di Bernardo Provenzano.

“La lingua italiana ha definito ‘orfani’ i figli che hanno perso i genitori, al contrario non mi pare abbia coniato dei termini per definire un dolore contro natura, contro tutto, appunto la perdita di un figlio. Rivolgo alla signora Manca la mia stima nella consapevolezza che nessun tipo d’ingiustizia può scollegarci a nostri cari che ci danno la forza di rigenerarci in questo fiume di dolore”. E poi conclude: “Oggi dobbiamo esaltare le persone invisibili che sono accanto alla bellezza dei nostri territori e continuare l’impegno per il loro riscatto contro la violenza delle nostre città. Io sento di onorare la mia mamma facendola vibrare come la corda di uno strumento fa vibrare una melodia.”

La storia di Alessandra, Francesco, Lorenzo e Silvia oggi funge da esempio di come la tragedia possa forgiare persone che, a loro volta, forgiano orizzonti di speranza e di solidarietà, un’energia fondamentale negli abissi di una terra e di una nazione che spesso e facilmente oscurano la dignità e bellezza della vita. Una lezione forte alla criminalità che continua a sparare per strada e recide il futuro a intere generazioni senza rimorso alcuno e vergogna. 

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