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uomo nellombradi Daniela De Crescenzo
Cento morti, almeno quattro vittime innocenti, intere famiglie cacciate dalle proprie case, mesi e mesi di terrore: la prima faida di Scampia, scoppiata nel 2004, è stata tutto questo e molto altro. E’ stata, soprattutto, un fiume di soldi che ha cambiato di mano viaggiando tra tre continenti: dal Centro America il danaro guadagnato smerciando coca è finito anche in Asia passando per Spagna, Olanda e Italia. A Napoli sono rimasti solamente i cadaveri e un numero crescente di imprese sporche  E, due quadri di Van Gogh che presto torneranno ad Amsterdam.

Su quei giorni di fuoco e sangue si sono esercitati giornalisti e scrittori, ma solo il 20 gennaio, con una sentenza del Gip Claudia Picciotti, è stata scritta un’ incredibile verità: a provocare la strage fu anche un commerciante di acque minerali di Castellammare, un grande Comune alle porte di Napoli, che alla fine degli anni Novanta decise di cambiare merce e si dedicò alla cocaina, finendo con il comprare, e restituire, i due quadri di Van Gogh rubati che da oggi e per quindici giorni saranno esposti a Napoli al museo di Capodimonte. Condannato come narcotrafficante, Raffaele Imperiale, Lelluccio Ferrarelle per amici, soci e camorristi, dovrebbe scontare diciotto anni di carcere, ma per ora continua la sua latitanza di super lusso a Dubai.

Colpito per la prima volta da un mandato di cattura il 27 gennaio del 2016, nell’ottobre dello stesso anno il latitante. tramite il suo legale, Maurizio Frizzi, ha inviato ai magistrati della Dda che conducono le indagini (Stefania Castaldi, Vincenza Marra e Maurizio De Marco) una memoria in cui ricostruisce per grandi linee i commerci di questi anni e consegna alcuni beni. Tra gli altri i due Van Gogh, che erano già stati fatti ritrovare a fine settembre in una casa di Castellammare di Stabia dal suo socio in affari, Mario Cerrone. I due, del resto, hanno lo stesso legale e una linea comune di difesa.

La ricostruzione di Imperiale in molti punti concorda con quella già fatta dagli uomini delle Fiamme Gialle e della Narcotici napoletane. In molti punti, ma ovviamente non in tutti. Quella del narcotrafficante incensurato, a conti fatti, sembra una storia ancora da scrivere.

Figlio di uno dei costruttori più noti di Castellammare, Raffaele Imperiale, 42 anni compiuti ad ottobre, da ragazzino diventa vittima di un sequestro lampo: lui e la sua famiglia hanno sempre raccontato di una fuga dai rapitori, ma gli inquirenti all’epoca sospettarono che fosse stato pagato un riscatto. Da quel momento la vita del futuro trafficante è blindata: i carabinieri lo accompagnano anche a scuola dove conosce uno dei suoi futuri dipendenti, Gaetano Schettino, condannato con lui, ma ad una pena minore, dieci anni.

Poco più che ventenne, Lelluccio, decide di lasciar perdere l’impresa di famiglia per dedicarsi al commercio dei vini e delle acque minerali per poi volare ad Amsterdam e sostituire il fratello morto nella gestione del Rockland coffee shop, uno di quei locali dove  è lecito fumare hashish e marijuana. ­­­­­Imperiali, però, capisce subito che può fare fortuna comprando le dosi autorizzate e molto altro. Il salto di qualità lo fa tra la fine del 1997 e i primi mesi del 1998, come racconta lui stesso, quando in un ristorante italiano di Prinsengracht conosce Antonio Orefice, un uomo del clan Moccia che sarebbe poi stato ammazzato nel 2005. Una cena in famiglia, un accenno a un conoscente trafficante in ectasy ed arriva il primo grande ordinativo di pastiglie. Il ragazzo imbottisce la macchina di pillole e le porta a Napoli. Servizio preciso, roba di buona qualità, Orefice lo raccomanda ad Elio Amato (il fratello di Raffaele, capo dei cosiddetti Scissionisti)  che si presenta come Giancarlo e prenota un carico da far arrivare a Secondigliano. Questa volta non tutto fil liscio: la droga viene consegnata, ma è di cattiva qualità. Amato paga, e offre due settimane di tempo a Imperiale per rimediare. Il ragazzo è sveglio e capisce subito che il mercato della droga si regge, più di ogni altro, sulla fiducia: il cliente ha sempre ragione. Nei tempi prescritti risolve tutto a sue spese e così fa la sua fortuna. Le forniture diventano regolari e ogni due mesi Lelluccio consegna puntuale un carico di pasticche. Poi Elio Amato gli chiede se è in grado di far arrivare anche la cocaina e Imperiale si rivolge a Richard Van de Bunt, noto ad Amsterdam come “Il  biondo”, proprietario di un altro coffee shop, il Betty Boop. Rick ha contatti con i narcos sudamericani e compra enormi quantità di cocaina che stocca per poi rivenderla a grandi intermediari. Grazie a un intermediario indonesiano, il biondo accetta di rifornire Imperiale e i suoi. Van De Bunt, a quell’epoca, aveva già inondato di droga Cesano Boscone diventando socio di Massimo Conegliani ed era imputato in due processi, ma nel suo campo rappresentava l’eccellenza: roba buona a prezzi convenienti.

La droga parte da Amsterdam, ma ancora una volta il primo carico fa nascere una serie di problem: a Secondigliano i trasportatori di Van de Bunt non trovano la persona giusta a ricevere la merce, chiedono  in giro (è la ricostruzione di Impeiale) e vengono portati da Raffaele Amato che decide di gestire in prima persona il canale olandese senza farne parola a Paolo Di Lauro. Spiega Imperiale: “Ho poi saputo che quella fornitura veniva commissionata dagli Amato, in particolare da Elio, all’insaputa dei Di Lauro per i quali all’epoca gli Amato lavoravano”.

Da quel momento in poi, e siamo nel 1999, Amato e soci, dispongono di un canale privilegiato e diretto. Cosi si apre una crepa nel cartello che fino a quel momento aveva gestito la droga che arrivava a Scampia, una delle piazze più ricche d’Italia. Una crepa importante: la fortuna della premiata società Amato-Di Lauro e company era derivata proprio dalla formazione di una Spa con sette soci (Paolo Di Lauro, Raffaele Amato, Rosario Pariante, Raffaele Abbinante, Patrizio De Vitale, Antonio Leonardi, Enrico D’Avanzo) che compravano e vendevano direttamente la cocaina dai narcotrafficanti. Si racconta che ad aprire il canale fosse stato proprio Amato che era andato in Centro America e si era offerto come ostaggio in attesa del pagamento del primo carico.

Poi la Spa era decollata e aveva inondato Napoli e dintorni di droga di buona qualità venduta a basso prezzo creando una formula di successo: la coca popolare. Dalla fine degli anni Novanta, però, uno degli azionisti (Amato) può governare un canale in proprio. Il che vuol dire moltiplicare i guadagni e creare una holding capace di dominare il mercato facendo fuori tutti i concorrenti.

Sulle nove piazze di Scampia, tante ne governavano all’epoca gli Scissionisti, si riversa un fiume di polvere e di denaro. Quando, nel 2011, la Narcotici napoletana recupera i quaderni con la contabilità del clan ci trova cifre da capogiro. Nel settembre del 2013 Amato e Company noleggiano un aereo dell’Air France e lo riempiono di valige imbottite di panetti di polvere bianca: in tutto 110 chili che verranno bloccati poco prima di partire. Per convincere la Police Nationale a fermare il cargo gli uomini della Narcotici scrivono elencando una serie di cifre: «L’organizzazione criminale ricava dalla sola vendita della cocaina, limitatamente alle piazze di spaccio di Scampia e Secondigliano, 96 milioni di Euro all’anno. La quantità di cocaina venduta mensilmente nei due quartieri è paria a 100 chili». Secondo i calcoli della squadra Narcotici ogni piazza frutta 430 mila euro al mese a cui, però, bisogna detrarre le spese, cioè gli stipendi per le famiglie dei carcerati, l’acquisto delle armi, il mensile dei killer, dei pali e delle vedette.  Imperiale ed Amato importano ogni anno due tonnellate di cocaina: ogni chilo viene pagato cinquemila euro e rivenduto a 42 mila. Poi al dettaglio ogni grammo viene diviso per sei. Da un chilo di polvere bianca si ricavano almeno seimila dosi che vengono spacciate in “pallette” che costano tra i 13 e i 40 auro. Un chilo di coca, quindi può fruttare tra 80 mila e 240 mila euro. Il moltiplicatore di guadagni connesso alla droga non ha pari in nessuna altra merce nel mondo. Perciò quando Amato e Imperiale creano una cassa comune riescono a comprare due Van Gogh con gli spiccioli delle spese correnti. Secondo Imperiale il prezzo delle tele è cinque milioni, una cifra da ridere per il clan. Secondo i banditi che li avevano sottratti i quadri erano stati rivenduti per molto meno: trecentomila euro. “La spiaggia di Scheveningen prima di una tempesta” e “La congregazione lascia la chiesa riformata di Nuenen” vengono stati rubati il 7 dicembre del 2002 dal Van Gogh Museum di Amsterdam: quando, cinque anni dopo finiscono in manette i malviventi che li avevano trafugati, Octave Durham e Henk Bieslijn, le tele hanno già cambiato di mano. I due criminali non confessarono mai a chi li avevano venduti, ma tra gli inquirenti era maturata da tempo la convinzione che fossero finiti nelle mani della camorra. Convinzione confermata a settembre 2016 da Mario Cerrone, socio di Imperiale, arrestato a gennaio 2015.

Intanto non è l’arte a preoccupare il brooker della droga che ha già realizzato una cassa comune con Raffaele Amaro. A Napoli dal 2004 in poi la guerra è aperta: Paolo Di Lauro si accorge che qualcosa si è inceppato nel meccanismo che aveva accuratamente costruito in anni e anni di traffici e morti ammazzati e chiede di cambiare la composizione societaria della Droga spa creando una quota per il figlio Cosimo. Poi un’ordinanza lo costringe a diventare latitante e la gestione del business di famiglia passa nelle mani del primogenito, Cosimo appunto. Ma F1, figlio uno come lo chiamano nel clan, non dimostra alcun genio negli affari e vuole trasformare i soci del padre in dipendenti. E’ la rivolta.

Amato, che ormai considera le piazze di Scampia solo uno dei suoi punti vendita, è già volato in Spagna e da la gestisce i suoi traffici, ma il cognato che è rimasto a Napoli, Cesare Pagano, lo costringe ad assicurare ai soci il controllo del territorio. Il 28 ottobre del 2004 con la morte di Fulvio Montanino e Claudio Salierno, due pezzi grossi dei Di Lauro, ammazzati nella roccaforte del clan, comincia la carneficina. Nei dieci anni successivi attraverso tre faide si ridisegneranno gli equilibri dei clan e si sposteranno le piazze, ma gli affari non si fermeranno mai.

Secondo la ricostruzione di Lelluccio Ferrarelle a procurare i rifornimenti di cocaina fino al 2008 è sempre Van de Bunt, ma secondo la procura l’organizzazione avrebbe anche un canale diretto con il Sud America e infatti gli uomini di Imperiale vengono fotografati Equador e in Colombia. Vincenzo Aprea, condannato poi con gli uomini dei Van Gogh, ha una nipote che ha sposato il nipote di un trafficante, tal Peñaranda Diaz Miguel Brando con il quale viene fotografato a Lima nel 2012. Ma la sua presenza viene documentata anche in Ecuador e in Colombia. Seguendo Aprea viene scovato un carico che viene poi bloccato dagli inquirenti in Perù. Peñaranda, intanto, diviene collaboratore della Dea, o almeno così sospettano i suoi soci. Certo è che dal 2008 in poi la Coca spa napoletana non può più contare sul principale fornitore: Van de Bunt, intatti, viene ammazzato in Spagna nella notte tra il 9 e il 10 febbraio all’uscita di un ristorante di Madrid dove si era trasferito e dove era andato a vivere anche Raffaele Imperiali. Van de Bunt stava per costituirsi alle autorità italiane: il suo avvocato, lo stesso di Imperiali, aveva patteggiato con le autorità italiane una pena di otto anni. Anche del trafficante olandese, si diceva che collaborasse con la Dea, di certo era stato coinvolto in inchieste sul riciclaggio di denaro ad Andorra dove i soldi del narcotraffico sarebbe stato riciclato in una gigantesca operazione immobiliare e nel suo Paese era stato indagato sulla sospetta corruzione di poliziotti.

Uomini così non sono facili da sostituire e Imperiali racconta nel suo memoriale che il successore del Biondo non si dimostrò all’altezza del compito tanto da convincerlo dopo il 2011 a chiudere bottega e a trasferirsi a Dubai. Non prima di aver messo in piedi una speculazione immobiliare nella quale coinvolge anche un commercialista genovese, Attilio Repetti, finito anche lui sotto inchiesta.

Negli Emirati, Lelluccio, che parla correntemente inglese, spagnolo, olandese ed arabo, vive a cinque stelle: per anni abita con la famiglia in una suite dell’hotel Al Arabi, uno dei più quotati del mondo, progetta complessi edilizi di gran lusso e diventata socio in affari dei leader locali. Alla polizia italiana il broker della coca consegna anche una serie di proprietà immobiliari, ma lui, l’incensurato che ha inondato Napoli di droga, resta a Dubai. Chi abbia preso il suo posto sulla scena della droga Connection campana, è una domanda a cui bisognerà rispondere. E possibilmente di corsa: a Napoli la coca continua ad arrivare e le paranze straccione si ammazzano e fanno morti innocenti nella speranza di conquistare il controllo di uno spicchio di territorio in cui spacciare.

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