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pentito-skydi Emiliano Federico Caruso - 18 giugno 2014
13 giugno 2014, a Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, è in corso un processo che vede imputati, tra gli altri, Antonio “’o Ninno” Iovine. Già boss dei casalesi (insieme a Francesco “Sandokan” Schiavone e Michele Zagaria) e condannato all’ergastolo in contumacia nel 2008 nel processo Spartacus, ‘o Ninno è diventato ormai uno dei più famosi pentiti della camorra, anche se finora non ha fatto chissà quali grandi rivelazioni. Nel corso del processo Iovine invita gli ex “colleghi” a pentirsi e a collaborare con i magistrati e, sincero o meno che sia il suo invito, non rimane inascoltato. Passano pochi giorni, e un altro nome eccellente dei vertici camorristici decide di collaborare.

Lo chiamano “Chiappariello”, ma il suo vero nome è Rosario Pariante. Ha 58 anni, ha creato il cartello di secondigliano insieme a Paolo “Ciruzzo ‘o milionario” Di Lauro, un ex commerciante di abbigliamento (contraffatto) che decise di tentare il grande salto inventandosi una vera e propria imprenditoria di usura, estorsioni, assicurazioni, imprese commerciali e, ovviamente, traffico di droga. Ma Pariante, già condannato all’ergastolo, non è un boss qualsiasi: la sua storia è legata a doppio filo a uno degli episodi più sanguinari della storia camorristica.

Sono i primi anni del duemila, i casalesi, potente clan che ha iniziato la sua ascesa partendo proprio da Casal di Principe, sta passando un brutto momento. Alcune regole interne vengono ridefinite e diversi nuovi affiliati assumono maggior potere decisionale, ma soprattutto uno dei boss più importanti, Paolo Di Lauro, è ormai latitante, anzi è considerato uno dei trenta latitanti più pericolosi. Il potere di Paolo passa quindi ai figli, uno dei quali, Cosimo, trasforma Scampia in una sorta di enorme supermercato della droga, ma soprattutto ridefinisce la distribuzione dei guadagni derivanti dallo spaccio.

Molti affiliati non ci stanno con la “restaurazione” imposta da Cosimo, e considerano il nuovo boss troppo immaturo, sanguinario e intrattabile. Il clan si divide quindi in due: da una parte gli scissionisti dei clan Pagano e Amato, dall’altra rimangono i fedeli ai Di Lauro. Il 28 ottobre del 2004, con lo scopo di convincere Paolo Di Lauro a riprendere le redini del clan dei casalesi togliendolo al figlio Cosimo, vengono uccisi Claudio Salierno e Fulvio Montanino. I sicari sono Arcangelo “Angioletto” Abate, Ciro Mauriello, Carmine Pagano, Gianluca Giuliano, Gennaro Marino e Carmine Cerrato.

Mandante dei sei assassini, oltre a Raffaele Amato, Cesare Pagano e Raffaele Abbinante, è lo stesso Pariante, la cui confessione di questo omicidio darà inizio, anni dopo, alla collaborazione con la magistratura. Ma Cosimo Di Lauro, ormai convinto della legittimità del suo potere, reagisce a modo suo: con le armi. Inizia così la prima faida di Scampia (ce ne sarà una seconda nel 2012) che si estenderà anche ai comuni di Melito, Arzano, Casavatore, Mugnano, Bacoli, Marano, Giugliano e Bacoli.

Pariante, nel frattempo, è già passato dalla parte degli scissionisti, e la sua mossa gli provoca la vendetta del clan: il 5 dicembre del 2004 dei killer uccidono nel suo ristorante Enrico Mazzarella, già arrestato nel 2003 per associazione camorristica e da sempre braccio destro di Pariante, nonché ristoratore.

Ma non è finita: il 24 gennaio del 2005, di sera, Attilio Romanò si trova ancora nel negozio di telefonini dove lavora. Entrano dei sicari e lo uccidono con cinque colpi di pistola, ma sbagliano bersaglio. Il vero obiettivo, in una vendetta trasversale, era Salvatore Luise, nipote di Pariante.

Dopo un centinaio di morti, numerosi regolamenti di conti e vendette trasversali, la prima faida di Scampia termina il 16 settembre 2005 con l’arresto di Paolo Di Lauro, che sei anni dopo si vedrà confermata la condanna a 29 anni di carcere.  

Oggi, dopo sette anni di detenzione (tre dei quali a carcere duro) e numerosi sequestri tra appartamenti, yacht, ferrari, ristoranti e quote azionarie, Pariante decide finalmente di collaborare. Dichiara che il clan dei casalesi è ormai finito, mentre in realtà è ancora ben attivo in molte regioni italiane e in altri paesi europei, tra appalti, edilizia, immobiliare, traffico di droga e “smaltimento” dei rifiuti. Ma “Chiappariello” potrebbe ancora rivelare molto, dal momento che, almeno fino al 2004, era il braccio destro e il tesoriere dei Di Lauro, oltre a gestirne il riciclaggio di denaro.

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