di Lara Borsoi - 9 dicembre 2011
Finisce anzi inizia così la storia della primula rossa dei Casalesi Capastorta.
Da mercoledì sera il boss dei Casalesi latitante da 16 anni è rinchiuso nel carcere duro di Novara secondo il regime 41bis.
Da quando è in cella le uniche parole che ha pronunciato sono state il nome e cognome ma per il resto silenzio assoluto. È rinchiuso in una cella con una luce perennemente accesa e gli uomini del Gom, Gruppo operativo mobile della Polizia Penitenziaria, lo sorvegliano 24 ore su 24.
Sono ancora in corso 33 perquisizioni ad opera di 150 finanzieri del Gico, in abitazioni di camorristi, fiancheggiatori e aziende, tra cui anche le abitazioni del padre Nicola Zagaria e dei fratelli Antonio, Carmine, Pasquale, Beatrice e Gesualda. Anche il proprietario della villa nella quale si nascondeva il boss, tale Vincenzo Inquieto, è stato tratto in arresto.
Gli investigatori sono alla ricerca anche della persona che ha costruito la stireria mobile, chiamata dai fiancheggiatori “o ping pong”, che nascondeva ad occhi indiscreti il bunker del boss in Vico Mascagni.
Si suppone infatti che si tratti di un super esperto in tecnologie avanzate da ricercarsi in quell’ambiente contiguo alle famiglie mafiose, le cosiddette zone grigie, fondamentali per la protezione dei grandi latitanti.
Nel frattempo i detectiv hanno sequestrato un pc, un Ipad, un cellulare e un server dai quali si spera di ricavare dati importanti per conoscere gli affari illeciti del boss.
A preoccupare notevolmente gli investigatori un’esclamazione del boss pronunciata a mo’ di sfida nel momento dell’arresto: “Ormai sono in pensione da tre anni, eppure il sistema ha funzionato lo stesso”. Un chiaro avvertimento con il quale “Capastorta” ha voluto ricordare che nonostante il suo arresto l’era dei Casalesi non è certo terminata.
Ed ora infatti, catturato il boss numero uno, il paese teme una nuova guerra che significa nuovi morti per la successione al potere. In questo paese dimenticato dallo Stato, Michele Zagaria era il punto di riferimento per molti abitanti, persino il sacerdote don Luigi lo definisce un «parrocchiano come gli altri». «Qui siamo nati senza legge, ha detto, a Casapesenna lo Stato ha sbagliato».
Zagaria durante la latitanza grazie all’appoggio di banche e imprese corrotte, ha potuto operare indisturbato, muovendosi tranquillamente in paese e anche all’estero. I suoi affari vanno dagli appalti edili illeciti, gestione della vendita del latte Parmalat, dalla droga al racket.
Anche il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso ha voluto ribadire : “Fino a quando in queste zone il welfare sarà gestito dalla camorra, la sfida sarà sempre difficile”.
Non sono mancate tensioni durante le operazioni della Guardia di Finanza alla ricerca del tesoro del boss, infatti alcuni giornalisti sono stati minacciati da appartenti del clan Zagaria davanti ad un negozio da poco perquisito.