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di AMDuemila
Il processo ha avuto origine dall’omonima operazione dei carabinieri contro le cosche di ‘Ndrangheta
In tutto 95 assoluzioni e 8 pronunce di non doversi procedere

67 condanne per quasi mille anni di carcere. Si è concluso così in primo grado il processo Mandamento Ionico che ha avuto origine dall'omonima operazione dei Carabinieri del 2017 contro le cosche di 'Ndrangheta di uno dei tre mandamenti criminali in cui si suddivide la provincia di Reggio Calabria. Il tribunale di Locri ha inflitto pene che vanno da 1 anno e 6 mesi a 30 anni di reclusione. Per altri 95 imputati è arrivata l’assoluzione. 8 gli indagati per cui è stato dichiarato il non doversi procedere. Le accuse, a vario titolo, sono di associazione mafiosa, detenzione illegale di munizioni ed armi comuni da sparo e da guerra rese clandestine, turbativa d'asta, illecita concorrenza con violenza e minaccia, fittizia intestazione di beni, riciclaggio, truffa e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e numerosi altri delitti collegati, con l'aggravante mafiosa. Il Tribunale di Locri, con il presidente Fulvio Accurso e i giudici a latere Gabriella Logozzo e Giovanna Di Maria, hanno dato lettura delle 23 pagine di dispositivo davanti al procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo e ad altri sostituti procuratori della Procura Antimafia del capoluogo calabrese. L’impianto accusatorio è stato sostanzialmente confermato, specie sull’operatività di un sistema di collegamento tra consorterie sparse lungo la zona ionica. Un'operatività di un "Mandamento" che conferma la centralità di imputati di San Luca, ma che dalla lettura del dispositivo "esclude" la presenza di una "locale di Bovalino" e una di “Cirella di Platì”. Tra le assoluzioni principali c’è quella di Gaetano Pipicella, ex sindaco di Careri, per il quale l’accusa aveva chiesto 22 anni di detenzione ed è stato immediatamente scarcerato. Assoluzione anche per i fratelli Ennio e Silvio Floccari di Locri, difesi dagli avvocati Alvaro, Russo e Spadaro, nonché Pasquale Peni, asserito "agronomo delle cosche”. Condannati invece diversi imprenditori, mentre altri sono stati assolti con la restituzione dei beni in sequestro.

Foto © Imagoeconomica

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