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di AMDuemila
“Per ravvisare il vincolo della continuazione, a fronte della riconosciuta appartenenza di un determinato soggetto a sodalizi criminosi, occorre specificamente indagare sulla natura dei vari sodalizi, sulla concreta operatività degli stessi e sulla loro continuità nel tempo, in modo che possa dirsi che l'iniziale deliberazione criminosa abbia trovato espressione concreta nella progressiva appartenenza di un soggetto ad una pluralità di organizzazioni ovvero, se del caso, ad una medesima organizzazione, operante permanentemente, al di là della giuridica cessazione della permanenza in corrispondenza della sentenza di condanna pronunciata in primo grado”. E’ così che si esprimono i giudici della Suprema Corte di Cassazione nelle motivazioni della sentenza del processo “Big Bang”, scaturito dall’omonima operazione, riguardo le attività delle ‘ndrine nella regione del Piemonte. A riportare gli stralci della motivazione degli ermellini è stato il giornale di oggi “Il Quotidiano del Sud”. La Cassazione ha, inoltre, accettato il ricorso della Procura Generale nei confronti di Aldo Cosimo Crea e Adolfo Crea in merito al riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati di cui al presente giudizio e quelli oggetto della sentenza emessa all'esito del processo “Minotauro”. “Tale analisi nella sentenza impugnata (Big Bang, ndr) è del tutto assente; - hanno scritto i giudici - ne consegue che sul punto la sentenza deve essere annullata e la Corte d’Appello, in sede di rinvio, applicando i principi indicati, procederà a verificare, con specifico riferimento alle singole posizioni dei due imputati, se ed in che termini sia configurabile la continuazione tra i reati oggetti di questo procedimento e quelli accertati nel processo Minotauro”.
I supremi giudici hanno anche un altro ricorso della Procura sull’associazione di altri tre imputati del delitto di associazione mafiosa. Per i giudici d’appello tra i tre imputati ci sarebbe stata una “cooperazione” limitata alla sola gestione del gioco d’azzardo: “Compiendo, cioè, una fattispecie contravvenzione che non potrebbe rientrare nel programma criminoso dell’associazione mafiosa”. Mentre per giudici della Cassazione si tratta “di un assunto tecnicamente errato, poiché non è rilevante che la condotta partecipava integri un delitto, ben potendo essere realizzata in qualunque modo, anche attraverso un’attività lecita, che tuttavia sia strumentalmente al perseguimento della finalità del sodalizio mafioso”. Oltre a questi i giudici della Suprema Corte hanno accettato dei ricorsi difensivi con un conseguente annullamento con rinvio.

Foto © Imagoeconomica

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