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di Aaron Pettinari
Dopo poco più di quattro ore di Camera di Consiglio i giudici della Prima Sezione penale della Corte di Cassazione hanno deciso di confermare l'ergastolo a Rocco Schirripa per l'omicidio del procuratore della Repubblica di Torino, Bruno Caccia, il 26 giugno 1983. E' stato così rigettato il ricorso proposto dai legali del panettiere contro la sentenza con cui, il 14 febbraio 2019, la Corte d'Assise d'Appello di Milano, lo aveva condannato un anno fa.
In una nota la Suprema Corte evidenzia che "La Corte d'Assise d'Appello di Milano premesso che per l'omicidio del magistrato era già stato condannato alla pena dell'ergastolo quale mandante Domenico Belfiore, esponente di spicco della 'Ndrangheta operante nel territorio torinese già dalla fine degli anni '70 del secolo scorso, ha affermato la responsabilità di Rocco Schirripa, quale componente del commando omicida e appartenente alla medesima organizzazione mafiosa che aveva interesse a sopprimere il magistrato perché ritenuto troppo zelante nello svolgimento delle indagini antimafia". "La responsabilità di Schirripa - proseguono i giudici - è stata affermata prevalentemente sulla base delle intercettazioni effettuate dalla Procura di Milano per mezzo del captatore informatico (trojan horse) installato sugli smart phone di coloro che, dopo la scarcerazione, erano in contatto con Belfiore, superando quindi le doglianze difensive sull'inutilizzabilità delle prove acquisite a seguito delle nuove indagini avviate per individuare gli autori materiali dell'omicidio. La Corte di Cassazione ha ritenuto corretta la decisione della Corte d'Assise d'Appello di Milano".

caccia bruno 850

Bruno Caccia


Particolarmente soddisfatto il procuratore generale Alfredo Pompeo Viola che nella sua requisitoria aveva affermato che aveva chiesto la conferma della “pena massima prevista dall’ordinamento” per l’imputato pur riconoscendo che "le trame di questo omicidio sono ampie e complesse". Alla richiesta si era anche associata la parte civile, i famigliari di Caccia che, fermo restando la colpevolezza di Schirripa, hanno sempre chiesto nuove indagini.
Non si può dimenticare che proprio il legale della famiglia, Fabio Repici, più volte aveva denunciato le "pesanti omissioni e i depistaggi durante le indagini sull’omicidio" opponendosi anche alle molteplici inchieste di archiviazione in particolare sulla pista "mafia e riciclaggio" che vede indagati Rosario Pio Cattafi, soggetto ritenuto vicino all'estrema destra e alla mafia siciliana, e Demetrio Latella, (entrambi iscritti nel registro degli indagati per il delitto del 2 luglio 2015). Altro filone investigativo sull'omicidio Caccia è quello a carico dell'ex militante di Prima Linea Francesco D’Onofrio (il fascicolo è stato avocato dalla procura generale).
La sentenza di ieri è stata commentata da Guido, Paola e Cristina Caccia, figli del Procuratore di Torino: "Ci ha fatto piacere che il procuratore generale della Corte di Cassazione, Alfredo Viola, nella sua requisitoria, abbia riconosciuto 'il lavoro encomiabile delle parti civili per fare piena luce su ogni anfratto del delitto. Noi sappiamo quanto è stato approfondito e ad ampio raggio quello del nostro avvocato, Fabio Repici. Il pg ha anche dichiarato che 'le trame di questo omicidio sono ampie e complesse', ciò che anche noi abbiamo sempre sostenuto". I figli del magistrato, oltre ad esprimere "profonda gratitudine" all'avvocato Repici e al dottor Mario Vaudano (ex collega del procuratore assassinato, ndr) "per il lavoro, l'impegno e l'intelligenza profusi in questi anni per aiutarci nella ricerca della verità", hanno poi aggiunto: "Quanto è stato accertato fin qui dai processi è solo una mezza verità. Mancano ancora i nomi degli altri esecutori e non è stata fatta piena luce su movente e mandante". "Auspichiamo che collaborino a questo sforzo tutte le forze in campo - hanno infine concluso i figli di Bruno Caccia - e l'intera società civile, da cui forse potrebbe giungere un aiuto decisivo nella ricostruzione dei fatti". 



Foto © Imagoeconomica

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