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di AMDuemila
Giovedì l’esame peritale sull’arma del delitto rinvenuta la scorsa estate

Sì, è una conferma di sospetti che avevamo sempre avuto. Ed è sul sangue di Antonino Scopelliti che purtroppo si è anche siglata una pace nel territorio della provincia di Reggio Calabria”. Ha commentato così Rosanna Scopelliti la notizia giunta alle cronache domenica scorsa sulla riapertura dell’inchiesta relativa all’omicidio del padre Antonino, assassinato a Campo Calabro il 9 agosto 1991. La Scopelliti, intervistata al giornale radio Rai Radio1, ha ricordato il padre come un uomo “incorruttibile e dedito al suo lavoro”. Per questo motivo quando si venne a conoscenza che “avrebbe dovuto sostenere lui la pubblica accusa nel maxi-processo contro Cosa Nostra”, la mafia sapeva che “qualunque cosa poi avrebbe scritto, sarebbe stata sicuramente inoppugnabile”. In quell’occasione ci sarebbero stati dei tentativi di corruzione con ingenti somme di denaro (probabilmente intorno alle 5 miliardi di lire) per dissuadere il giudice Scopelliti, che all’epoca avrebbe dovuto ricoprire un ruolo di primaria importanza all’interno del maxi processo. “Si parla di questa cifra immensa che papà ha scelto di rifiutare, con la consapevolezza che stava firmando la sua condanna a morte. Ricordo che aspettavo una telefonata di papà - ha detto Rosanna Scopelliti - gli volevo raccontare che finalmente ero riuscita ad andare in bici senza rotelle ed è arrivata invece la notizia della sua uccisione. Da quel momento la mia vita e quella di mia madre si è praticamente fermata”.
Nel frattempo la Dda di Reggio Calabria, guidata dal Procuratore Giovanni Bombardieri, ha fissato per giovedì prossimo (21 marzo) l’affidamento peritale sul fucile calibro 12 che si pensa venne usato a Campo Calabro per assassinare il giudice Scopelliti. Nonostante siano passati quasi tre decenni l’arma, secondo quanto riferito da fonti investigative, è ancora nelle condizioni, stante lo stato di conservazione, di essere sottoposta alle prove tecnologiche ai fini dell’interesse probatorio. Ciò è stato reso possibile a causa del contenitore metallico all’interno del quale era stato riposto il fucile che lo ha conservato dalle condizioni atmosferiche. La posizione dell’arma del delitto era stata rivelata dal pentito della famiglia Santapaola Maurizio Avola, grazie alle sue indicazioni gli inquirenti sono riusciti a trovarla interrata nelle campagne catanesi. Da qui, sempre grazie alle dichiarazioni di Avola, la procura di Reggio Calabria ha potuto riaprire il fascicolo sul delitto Scopelliti e 17 nomi di boss di primissimo livello tra ’Ndrangheta e Cosa Nostra sono finiti sotto inchiesta.

Foto © Imagoeconomica

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