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saluzzo francesco e paolo bolognadi Davide de Bari
Dall’indagine emergerebbe un incontro sfumato tra il presidente calabrese e valdostano

La ‘Ndrangheta non era solo presente in Valle D’Aosta, ma voleva anche “prendere il potere e governarla”. Lo scenario è emerso dalle carte dell’operazione “Geenna” degli scorsi giorni in cui i carabinieri del gruppo di Aosta e del Ros (Raggruppamento operativo speciale), coordinati dalla Dda di Torino, hanno eseguito sedici ordinanze di custodia cautelare nei confronti di presunti membri della locale di Aosta e di politici locali.
Secondo gli inquirenti, il progetto delle cosche calabresi Nitra-Scalzone di San Luca (Reggio Calabria) era diretto nella “giusta” direzione: era già stato attivato un canale con "il testone", come sarebbe stato chiamato nell'ambiente Augusto Rollandin, presidente della Regione fino al marzo del 2017. "Il programma criminoso - ha spiegato il gip - consiste nel continuare a fare infiltrare i sodali dell'organizzazione e i soggetti contigui alla stessa ed eletti con i voti convogliati dagli associati nei massimi organi istituzionali e politici della Valle d'Aosta".
Il nome di Rollandin (non indagato) spunta almeno una trentina di volte nell'ordinanza del gip Silvia Salvadori. Tra gli indagati c’è anche il consigliere regionale dell'Union valdotaine Marco Sorbara, compagno di partito di Rollandin.
Dall’indagine sarebbe emerso che Antonio Raso, presunto "promotore" della locale di ‘Ndrangheta di Aosta, "nel dicembre 2014, si è attivato per organizzare un incontro tra il presidente della Regione Valle d'Aosta, Rollandin Augusto e il presidente della Regione Calabria, Gerardo Mario Oliverio (esponente del Partito Democratico)”. La riunione, che poi non ebbe luogo, "avrebbe dovuto svolgersi nella pizzeria di Raso il 31 gennaio 2015, in concomitanza con la Fiera di Sant'Orso". Il gip ha specificato che non è emerso alcun “fatto penalmente rilevante nei confronti di Oliverio (non indagato, ndr). Per gli investigatori “l’intenzione di Raso” sarebbe stata quella di far avvenire l’incontro “in pompa magna per dare un forte segnale del legame tra la comunità calabrese di Aosta e la Calabria, ma soprattutto l'evento sarebbe dovuto svolgersi presso la sua pizzeria per far comprendere che i registi dell'operazione erano lui e suo cugino Salvatore Addario, presidente del Cna della Valle d'Aosta”. Infatti in un’intercettazione telefonica, Raso dialoga con un esponente del PD di Locri: “Ci tengono tanto ma non è per questo, perché la cosa è molto diversa di quello che pensi, qua è una realtà un po' diversa qua siamo 34.000-33.000 calabresi siamo un quarto della popolazione sai cosa vuol dire questo?", "vuol dire tanto per tutti, per tutti". Pochi giorni dopo, Raso gli ha spiegato: "Qui c'è l'assessore Sorbara, abbiamo il consigliere Borrello della provincia di Reggio, quelli là che sono i nostri sono tutti invitati qua, la stampa tutto".

Il “ruolo” di Monica Carcea
Dalle carte dell’operazione, il "testone" si sarebbe rivolto direttamente a Di Donato, considerato il "capo" della locale aostana di cui l'inchiesta attesta l'esistenza. In un incontro avrebbero cercato di dirimere un conflitto sorto all'interno di una giunta comunale da poco eletta, di cui era stata protagonista Monica Carcea, una degli arrestati. "La cosa importante che emerge dalla conversazione - ha commentato il gip riguardo a un'intercettazione - resta comunque il fatto che dopo le elezioni comunali c'è stato un incontro con il Presidente Rollandin al quale hanno partecipato sicuramente Monica Carcea e Marco Fabrizio Di Donato". "Nella circostanza quest'ultimo (Di Donato, ndr) ha sottolineato la buona riuscita dell'elezione per la Carcea ("minchia come è passata") e con tale risultato ha potuto richiedere l'appoggio di Rollandin per un incarico rilevante da affidare alla donna", ha scritto ancora il giudice.

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Il presidente della Regione Calabria Gerardo Mario Oliverio © Imagoeconomica


Il consigliere che avrebbe incontrato la 'Società'
All’interno dell’inchiesta spicca il nome del consigliere comunale di Aosta Nicola Prettico (Union valdotaine), anch'egli in carcere. In un’intercettazioni, Di Donato ha affermato che “Prettico gli avrebbe detto la frase 'eh adesso che c'è l'incontro con la società', poco prima di partire". E "il termine società o onorata società è una delle modalità con cui viene indicata la ‘Ndrangheta” hanno sottolineato gli inquirenti. Dal "dialogo emerge che Prettico abbia informato Di Donato prima di partire e che avesse intenzione di incontrare uno dei fratelli Nirta ('volevo andare a trovare tuo cugino')". E poi ancora: "Questo (Prettico, ndr) è un coglione pericoloso ma per lui ehi Per lui...poi mi viene a dire a me (abbassa molto la voce) 'eh adesso che c'è l'incontro con la società'...e tu vai in Calabria con l'aereo?", ha detto Di Donato all'artigiano. "Un locale per il riciclaggio e tu vai a mangiare e bere in Calabria ma sei scemo? Con l'I phone? Con l'I Phone?", ha aggiunto in seguito il suo interlocutore. Dall'intercettazione emerge che i due "siano perfettamente a conoscenza delle regole di prudenza che ogni appartenente alla ‘Ndrangheta deve osservare".

“Si sono presi la mia vita”
Un contributo importante all’operazione è stato dato da un pentito. “Senza che me ne accorgessi, si sono presi la mia vita" ha raccontato D. che ha scelto di collaborare con la giustizia, come riportato nell'ordinanza di custodia cautelare. "Non sono cresciuto in una famiglia di criminali - ha detto D., torinese, in un verbale del luglio 2016, subito dopo il suo arresto per traffico di droga - Mio padre in passato aveva avuto contatti con esponenti della criminalità organizzata, nonostante ciò ci ha cresciuti come ragazzi a posto, sia io sia le mie sorelle. Ma ora voglio tornare a stare con la mia famiglia, mi manca fare le cose normali della vita quotidiana. Mia moglie è fiera di questa mia decisione".
D. era coinvolto in un traffico di stupefacenti, soprattutto cocaina, tra l'Italia e la Spagna, con esponenti di una cosca della 'Ndrangheta. Gli inquirenti hanno documentato numerosi viaggi a Barcellona e in Calabria, dove ha incontrato anche personaggi di spicco del narcotraffico internazionale e latitanti. Poi un debito per un carico di cocaina 'perso'.
"Ho raccontato una marea di palle per sopravvivere - ha proseguito - Mi sono anche inventato l'esistenza di una persona che doveva portarmi dei soldi, per guadagnare tempo. Insomma, ho perso la fiducia di Bruno Nirta (il referente della cosca, ndr). Non sapevo come fare a restituire questi soldi, ho capito di essere in pericolo di vita". E poi ha aggiunto: "Nirta con me si è sempre comportato bene: se gli portassi i soldi domani, sono certo che recupererebbe la fiducia e 'mi taglierebbe la coda', cioè mi affilierebbe alla 'Ndrangheta. L'ho conosciuto al bar di mio zio a Grugliasco. E' chiamato 'il terribile': fa paura anche a personaggi altolocati di San Luca, anche se non è capo locale. Io non avevo paura di lui, sapevo che se avessi dimostrato di non avere paura mi avrebbe trattato da suo pari". Il collaborare ha raccontato del rapporto che aveva con il boss calabrese: "Bruno si fidava di me e gli chiesi di fare il padrino di mio figlio, da quel momento il nostro rapporto si consolidò. Bruno aveva deciso che mio figlio doveva essere battezzato a Polsi, che era un simbolo importante per lui e bisognava attendere l'estate per salire al santuario. Mi disse che aveva parlato con il prete e che il battesimo si sarebbe potuto fare nell'estate 2016. Così io e lui siamo diventati 'San Giovanni' ovvero compari: è un'espressione che utilizzano i calabresi, ha un valore simbolico molto forte tra gli appartenenti alla 'Ndrangheta perché indica un legame esterno a quello di sangue”.

In foto di copertina:
il procuratore generale del Piemonte e della Valle d’Aosta, Francesco Saluzzo e il magistrato Paolo Borgna

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