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campolingo nicolodi Davide de Bari
Nella strage di Cassano allo Jonio assassinati anche nonno e compagna

Un omicidio brutale, non soltanto per come è stato eseguito, ma sopratutto per essere stato commesso nei confronti di un bambino. Come già successo in passato per il piccolo Giuseppe Di Matteo e Claudio Domino, Cosa nostra allora, in questo caso la ‘Ndrangheta, non si è fermata davanti a dei occhi innocenti. Ma la giustizia nei confronti dei colpevoli Faustino Campilongo, detto “panzetta”, 42 anni, e Cosimo Donato, detto il “topo”, 41 anni, non è stata indulgente. Carcere a vita e isolamento diurno per sei mesi. Questa la condanna inflitta dalla Corte d’Assise di Cosenza, presieduta da Giovanni Garofalo, nei confronti dei due imputanti, accusati di triplice omicidio del piccolo Nicolas "Cocò" Campolingo ucciso insieme a suo nonno, Giuseppe Ianicelli, e la compagna marocchina, Ibtissam Touss, il 16 gennaio 2014 a Cassano allo Jonio. Le prove che attesterebbero la colpevolezza dei due sono emerse dall’inchiesta dei carabinieri del Ros (Raggruppamento operativo speciale) che ha portato alla luce il tracciato invisibile del telefono che inchioderebbe Donato in quanto il suo smartphone si sarebbe agganciato all'unica cella che riporta al luogo dell'omicidio alle ore 18:45 del 16 gennaio 2014. Inoltre ci sono le intercettazioni nel carcere di "Opera" e le dichiarazioni del pentito Michele Bloise che per i magistrati sono state fondamentali per arrivare ai due imputati. L'ex boss ha raccontato l'inquietante vicenda che gli è stata svelata dall'ex moglie durante un colloquio in carcere. Questo e altro è stato raccontato la scorsa settimana dal procuratore aggiunto della Dda di Cosenza, Vincenzo Luperto, che durante la requisitoria, aveva chiesto l’ergastolo nei confronti di Donato e Campilongo in quanto si sono macchiati degli omicidio per scalare la gerarchia nel clan degli zingari della Sibaritide e per non sottostare più agli ordini del nonno di Cocò nell’attività di spaccio della droga che conduceva. Infatti, secondo l’accusa Ianicelli, pur essendo imparentato con la cosca Abruzzese, si sarebbe rifornito dai rivali, la famiglia Forastefano. Oltre a questo, gli zingari di "Timpone Rosso" non avrebbero perdonato a Peppe Iannicelli di aver raccontato in aula delle armi in mano a Fioravante Abbruzzese, ucciso con Eduardo Pepe nell'ottobre di sedici anni fa. I Forastefano volevano incontrare Iannicelli dopo aver intercettato una lettera scritta da quest’ultimo al cognato in carcere. Una missiva in cui gli preannunciava la volontà di pentirsi, invitandolo a fare la stessa cosa. Tutto questo sarebbe bastato al sodalizio criminale ad emanare la condanna a morte. Secondo l'accusa l’uomo, in quei giorni, per scoraggiare qualsiasi tipo di attentato, girava esclusivamente con il nipotino e la compagna. Ma questo non è bastato a fermare l'ordine di morte che sarebbe partito dai boss della Piana cosentina. Ianicelli, attirato in un tranello, insieme ai due innocenti sono stati prima sparati e poi i loro corpi bruciati in una Fiat Punto, dove più tardi gli investigatori ripescarono i resti.
Sul grave episodio di sangue, Papa Francesco nel 2014 in visita a Cassano allo Jonio, davanti a 250 mila fedeli, scomunicò i mafiosi.

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