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La Procura antimafia di Reggio Calabria acquisisce l'inchiesta del giornalista slovacco
di Davide de Bari
A poche ore dal funerale del giornalista slovacco, Jan Kuciak, ucciso insieme alla sua fidanzata, Martina Kusnirova pochi giorni fa, sei dei sette italiani, arrestati lo scorso mercoledì notte nell'ambito dell'inchiesta dell'omicidio del giornalista, sono stati rilasciati dalla polizia slovacca. Successivamente anche il settimo è stato rimesso in libertà. "Sono scaduti i termini di 48 ore per la convalida dei fermi senza aver individuato le prove per passare ad una accusa formale" ha motivato in una nota la polizia locale. Uno di loro è stato portato in ospedale per dolori al petto e poi dimesso. Le persone fermate erano: Antonino Vadalà, imprenditore al centro dell'ultimo del reportage del giovanissimo giornalista Bruno Vadalà e Sebastiano Vadalà. E ancora: Diego Rodà, Antonio Rodà, Pietro Catroppa (54 anni) e Pietro Catroppa (26 anni).
Oltre al rilascio degli arrestati l'esecutivo di Robert Fico, che già nei giorni scorsi ha visto le dimissioni della sua assistente Maria Troskova, del segretario del consiglio di sicurezza Vilian Jasan e del ministro della Cultura, è stato nuovamente investito con la scoperta che Vadalà aveva fatto affari anche con Jan Hol’Ko, segretario generale del ministero della Difesa.
Gli inquirenti hanno fatto sapere che stanno lavorando su una nuova pista investigativa, che secondo il capo della Polizia Tibor Gaspar potrebbe essere legata a un inchiesta giornalistica di Kuciak sulla Corte Suprema slovacca. Anche se, durante la conferenza stampa degli arresti dei giorni scorsi, Gaspar ha escluso la connessione dell'omicidio con la pista della droga. Gli investigatori si erano mossi fin dall'inizio seguendo il filo del legame con la 'ndrangheta calabrese. Intanto, insieme alla polizia locale indagano Fbi, Europol, Scotland Yard e la polizia italiana.

Indagano anche i pm di Reggio Calabria
Nel frattempo, la Procura antimafia di Reggio Calabria ha acquisito l'inchiesta di Kuciak. Secondo i magistrati reggini i Vadalà e i Rodà (due famiglie della cosca di Melito e Porto Salvo e Condofuri a cui appartengono i sette arrestati) non sono mezzi calibri della 'ndrangheta, ma appartengono ai Morabito, clan di Africo che è nel “gotha” della mafia calabrese. “Non più tardi del luglio scorso, in un’importante indagine sul narcotraffico, abbiamo potuto constatare come Vadalà e Rodà siano vicini ai Morabito, cui, peraltro sono legati da parentele di sangue. - ha spiegato il procuratore reggente Gaetano Paci - Così come, quando parliamo di Antonino Vadalà, parliamo di altri legami di sangue con i Vadalà di Bova Marina”. I magistrati si sono attivati fin dall'arrivo della notizia dell'omicidio del giornalista, acquisendo l'inchiesta pubblicata il giorno dopo e stabilendo un contatto diretto con gli investigatori slovacchi. I pm di Reggio Calabria non avevano mai smesso di indagare sui clan coinvolti e né sono prova gli scambi informativi del 2013 tra la Dia e la polizia slovacca sul conto dei Vadalà e Rodà, con i loro precedenti penali, i legame con la terra calabrese e sulle loro nuove iniziative imprenditoriali nell'est Europa.

Il capitalismo mafioso
A intervenire sull'espansione della 'ndrangheta nell'Est Europa è stato il Procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo (in foto), che a “Il Fatto Quotidiano” ha dichiarato:lombardo giuseppe c paolo bassani 2014 “La capacita espansive delle cosche nell'Est europeo sono state sottovalutate”. Lombardo ha constatato che la 'ndrangheta è stata la “testa pensante e struttura direzionale nel processo di espansione globale del crimine organizzato” e come è sotto gli occhi di tutti la sua espansione nell'Est europeo. Secondo il pm antimafia il meccanismo criminale è “estremamente insidioso, soprattutto in quelle realtà territoriali ed economiche che non hanno la capacità di comprenderne appieno i confini. Questo significa che non può escludersi nulla in relazione alle ipotesi fatte in questi giorni sul duplice omicidio consumato in Slovacchia. Il pericolo più grande, a mio parere, va ricercato nella capacità delle grandi mafie, quelle che amministrano un’enorme quantità di capitali liquidi, di divenire interlocutori necessari del sistema economico mondiale. E questo che deve allarmare, soprattutto in un momento storico in cui la capacità di immettere sul mercato liquidità è molto scarsa”. Oggigiorno siamo davanti a una “’ndrangheta globalizzata, capace di mantenere fortissimi legami nel suo territorio di origine. Penso che sia arrivato il momento di riconoscere senza tentennamenti che questa evoluta forma di globalismo criminale (di cui la ’ndrangheta è la plastica espressione) abbia ormai prodotto i suoi effetti provocando un adeguamento del mondo globalizzato alle realtà criminali locali più forti” ha proseguito il magistrato che poi ha aggiunto: “All’interno di questo quadro dobbiamo oggi parlare di una forma di capitalismo mafioso in continua evoluzione”. Ma tutto questo non vuol dire che “il sistema capitalistico mondiale sia totalmente nelle mani delle grandi mafie. Vuol dire solo che è ormai innegabile il condizionamento dei capitali mafiosi il cui peso, nella loro collocazione strategica, è potenzialmente in grado di incidere sulle scelte di organismi chiave di altri settori, in una costante concatenazione di eventi estremamente destabilizzanti”.
Nel concludere Lombardo ha lanciato un appello all'Unione Europea, affinché si attrezzi di strumenti normativa per contrastare le mafie. “Ecco il motivo per il quale chiediamo da anni strumenti di contrasto sovrannazionali che coinvolgano davvero gli Stati esteri in cui il fenomeno criminale si è manifestato con sufficiente chiarezza. Non basta più fermarsi alla quantificazione del volume di affari delle mafie nel mondo, proprio perché quei numeri (seppur importanti) non sono in grado di fornire una fotografia della reale ampiezza del fenomeno e tendono ad innescare valutazioni sottostimate e fuorvianti, che non tengono conto del fatto che i sistemi criminali di tipo mafioso gestiscono ampie fette di economia sommersa, come tale difficilmente trattabile, quale strumento di diretto condizionamento del consenso sociale”.

Foto di copertina © AFP PHOTO / VLADIMIR SIMICEK

Foto a destra © Paolo Bassani

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