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azienda sanitaria provinciale reggio calabriadi AMDuemila
Si trova in carcere all'ergastolo, ma continuava a percepire lo stipendio dall'Azienda sanitaria provinciale (Asp) di Reggio Calabria di cui era dipendente. E così è stato per Alessandro Marcianò, mandante dell'omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale Franco Fortugno nell'ottobre 2005, che ha continuato a percepire puntualmente lo stipendio di caposala dell'ospedale di Locri. Oltre a Marcianò, a percepire l'assegno, però solo per cinque mesi, è stato il medico Filippo Rodà condannato nel processo “Konta Korin”, perché ritenuto il referente della cosca Rodà-Casile, durante il suo mandato di assessore comunale di Confofuri. Questi non sarebbero i soli. Dieci anni prima, l'Asp di Reggio ha versato lo stipendio anche a Giovanni Morabito, condannato per gravi reati di mafia dalla Corte d'Appello di Milano con sentenza definitiva nel febbraio 2008.
A far emergere il caso è stata la denuncia dell'attuale direttore dell'Asp, Giacomino Brancati, che si è accorto dell'irregolarità dopo una verifica della “dotazione organica”, con un confronto tra i dati forniti dalle singole unità operative ospedaliere e quelli in possesso all'ufficio Personale dell'Asp. “E' possibile che in 10 anni nessuno si sia accorto di nulla?” si è chiesto Brancati, che ieri ha deliberato con urgenza dei “provvedimenti amministrativi per la correzione delle anomalie riscontrate”. A commentare la notizia è stata Maria Grazia Laganà, vedova di Fortugno, ex deputata Pd e oggi al ministero della Salute, che si è detta sbigottita: “Per anni abbiamo retribuito chi ha distrutto un uomo, una famiglia e quello stesso ospedale che gli versa lo stipendio. Lì dove mio marito sognava di tornare dopo aver concluso il proprio impegno politico”.
La Procura antimafia di Reggio Calabria nelle persone dei procuratori aggiunti Gaetano Paci e Gerardo Dominijanni vuole vederci chiaro. Infatti, i magistrati hanno avviato un'indagine in cui dovranno verificare se il mancato licenziamento dei detenuti condannati sia stato frutto di complicità, poiché per legge sarebbero dovuti finire sotto procedimentio disciplinare. Adesso però, all'interno dell'Asp c'è tanto da chiarire, come ha concluso Brancati: “C’è ancora tanto da bonificare all’interno dell’Asp. Basta pensare che, fino a poco tempo fa, le aziende che partecipavano ai nostri appalti non erano tenute a presentare le certificazioni antimafia”.

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