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schirripa rocco pp c ansaIn aula il braccio armato dei Belfiore, Placido Barresi
di Miriam Cuccu
Placido Barresi sospettava che Rocco Schirripa avesse ricoperto un qualche ruolo nell'omicidio di Bruno Caccia, ucciso a Torino nel 1983 da killer legati alla 'Ndrangheta. “Sono mie deduzioni, però”, anticipa al pm Marcello Tatangelo, mentre fa riferimento alle reazioni anomale riscontrate nel boss Domenico Belfiore, suo cognato nonché colui che decise di assassinare Caccia per le sue indagini sul riciclaggio del denaro delle organizzazioni criminali. Belfiore, unico condannato per il delitto Caccia, spiega Barresi, mai aveva specificato, dopo aver ricevuto una lettera anonima riferita all'omicidio del procuratore torinese, che Schirripa fosse estraneo alla sua eliminazione, e lui aveva cominciato a nutrire dei sospetti.
Barresi, originario di Gioiosa Ionica, è in libertà vigilata. Professione panettiere, tra il 1977 e il 1982 ha ucciso cinque persone e compiuto due tentati omicidi. Secondo la squadra mobile ed i carabinieri l'uomo, già condannato per associazione mafiosa, sarebbe il braccio armato di Belfiore. Il processo per il delitto Caccia, nel quale Barresi è stato interrogato, vede alla sbarra come unico imputato proprio Rocco Schirripa, panettiere di origini calabresi e vari reati alle spalle, tra cui la rapina ed il narcotraffico. Schirripa sarebbe stato intercettato dalla squadra mobile mentre diceva alcune frasi a Barresi. Dialoghi che presupporrebbero un suo coinvolgimento nell'omicidio del magistrato.
Barresi, in aula, ha confermato tutte le intercettazioni registrate dalla Mobile attraverso un virus informatico all'interno degli smartphone, come ha raccontato l'ispettore Massimo Cristiano in una precedente udienza.
Tra i “non ricordo” di fronte alle frasi riportate dai periti, Barresi dichiara: “Sono dissociato, ho ucciso 11 persone. Se avessi proprio dovuto ammazzare qualcuno, avrei scelto il procuratore Maddalena e non Caccia che non mi risulta abbia mai avocato a lui fascicoli che mi riguardavano”. Quindi prosegue: “Io avevo paura per me, temevo che Schirripa avesse parlato con Rocco Piscioneri (ex narcos, ndr) del resto, cioè tutto ciò che non era contenuto nella lettera anonima”, riferendosi, incalzato dal pm, ai dettagli del delitto. Gli inquirenti inviarono infatti una lettera anonima ai sospettati del delitto con una fotocopia di un articolo de La Stampa sull'arresto di Belfiore, e dietro scritta la frase “Omicidio Caccia: se parlo andate tutti alle Vallette (il carcere di Torino, ndr) Esecutori: Domenico Belfiore Rocco Barca Schirripa Mandanti: Placido Barresi, Giuseppe Belfiore, Sasà Belfior”. In quel modo la Dda ha cercato di sondare le reazioni di uno dei sospettati, che non sono mancate. E grazie a questo escamotage venne fuori il nome di Schirripa.
Sempre nello scandagliare le conversazioni intercettate tra Barresi e Schirripa, il pm chiede: “Di che reato parlavate, del delitto Caccia?”. “Sì”, risponde il teste, che se avesse ritrattato le parole da lui pronunciate nel 2015 sarebbe andato incontro all'accusa di falsa testimonianza, con il conseguente rientro in carcere per scontare l'ergastolo.
Secondo i pm milanesi Schirripa era alla guida dell'auto che avvicinò il procuratore sotto casa, poco prima dell'esecuzione. L'uomo, stando alle indagini, avrebbe poi inflitto a Caccia il colpo di grazia con un proiettile alla testa. Dalle intercettazioni, scriveva il giudice, “emergono inoltre plurimi elementi che fanno ritenere verosimile che la seconda persona che sparò al procuratore sia stato lo stesso Domenico Belfiore”. Quanto invece a Placido Barresi, precedentemente coinvolto nell'inchiesta sull'omicidio Caccia ma poi assolto per insufficienza di prove, “dagli atti del processo emerge senza alcun dubbio che il predetto era a conoscenza non solo della decisione di uccidere il procuratore, ma anche (nonostante fosse detenuto il giorno dell'agguato) di ogni dettaglio sull'omicidio, inclusa l'identità degli esecutori materiali”. Barresi nel 2002 ha poi confessato i delitti commessi, dichiarando però di non voler rivelare i nomi dei suoi complici. Il 30 novembre in aula toccherà invece ad Angelo Epaminonda essere interrogato, sulle sue conoscenze in merito ai mandanti del delitto Caccia. L'escussione del boss della criminalità milanese, detto “Il Tebano”, è stata richiesta dalla parte civile, e la Corte d'Assise ne ha accolto l'istanza.

Foto © Ansa