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expo armiLa Procura di Reggio Calabria ottiene il sequestro per 15 milioni
di AMDuemila
La 'Ndrangheta ha fame. I piccoli appalti e le medie imprese sono cosa passata. Pesci troppo piccoli per saziare l'appetito della mafia più potente al mondo. Serve un pesce grosso e l'EXPO sembra proprio il pesce più adatto. “Nutriamo il pianeta” dice lo slogan della fiera, manco a farlo apposta...
I boss alzano il tiro e portano a casa il bottino, questa volta l'obbiettivo era di infiltrarsi nelle opere di costruzione dell'Esposizione universale. Un bottino troppo appetitoso quello che si poteva ricavare da una possibile partecipazione per l'allestimento della fiera mondiale. E la ‘Ndrangheta ci ha messo le mani.
C'era il sospetto (poi confermato) , risalente a periodi antecedenti il 1 maggio (data di inaugurazione di EXPO 2015) che cosche mafiose fossero già da tempo inserite nei piani di realizzazione dell'evento.
Nel luglio scorso, un’altra indagine aveva fatto emergere la presenza di Cosa nostra ed ora è la Procura di Reggio Calabria a far emergere come le imprese legate alle cosche calabresi Aquino-Coluccio di Gioiosa Jonica e Piromalli-Bellocco di Rosarno si erano aggiudicate importanti subappalti per Palazzo Italia, le vie d’acqua, i cluster, la “piastra”, ed i padiglioni di Cina ed Ecuador.
"Noi ci siamo presi il 70% dei lavori dell'esposizione”. Questo è solo un piccolo frame delle intercettazioni compiute dalla guardia di finanza. A parlare è Giuseppe Colelli, imprenditore calabrese collegato alla famiglia made in Calabria “Aquilino-Coluccio” e l'intercettazione è racchiusa nel decreto di sequestro per 15 milioni firmato dalla Procura di Reggio Calabria a carico di 32 indagati. All'interno del decreto si legge “Gli indagati tramite un subappalto come Infrasit srl con la società Viridia Soc. Coop. Cons. consorziata esecutrice di Co.Ve.Co hanno eseguito buona parte dei lavori del sito espositivo Expo 2015, ivi compresi i padiglioni dell’Italia, della Cina, dell’Ecuador, le rampe di accesso e tutta la rete fognante”. Gli indagati non sarebbero proprio un gruppetto di principianti, anzi, hanno nomi e volti già familiari alla Procura di Reggio Calabria poiché vicini a mafiosi di primo livello. Parliamo di Antonio Stefano, braccio destro del boss Giuseppe Coluccio e Graziano Macri imparentato con zu ’Ntoni Macrì. Si tratta dunque di elementi più che sufficienti per la procura della provincia calabrese ma che non convincono appieno la Dda milanese che, diversamente, in un altro procedimento comunica l'insufficienza di prove per aggravante a metodo mafioso per gli imputati Macrì e Stefano. Secondo la quale l'essere mafioso “in casa” (Calabria) non provi l'essere mafioso “in trasferta” (Milano). Un ragionamento insolito ma mai quanto quello della stampa che in questi giorni, eccetto Il Fatto Quotidiano, ha ignorato la notizia.
La storia è sempre la stessa sono sempre più i mafiosi che passano dalle “stalle alle stelle”, abbandonare le campagne per andare a “travagghiare” (in senso criminale) nelle metropoli del Bel paese, in giacca e cravatta. Stesso procedimento adottato da Antonio Stefano e Graziano Macrì, quest'ultimo in particolare sguazza tra le strade milanesi da tempo. Nell’aprile del 2014 riceve una chiamata dalla Guardia di Finanza per notificargli un avviso di comparizione nell’ambito di un’indagine su una negoziazione di assegno riguardo alla sua autoconcessionaria. Macrì s'incarta: “Sono a Milano per l’Expo. Ah no, sono a Bergamo per lavoro”. Per un attimo riferisce, così, la sua posizione al luogotenente delle Fiamme gialle. Macrì era effettivamente a Milano in quel periodo ed era anche in compagnia di Antonio Stefano, uno degli arrestati insieme Giuseppe Gentile e a Salvatore Piccoli ossia gli indagati-chiave dell’inchiesta “Rent”. In sostanza, secondo gli inquirenti, l’organizzazione criminale calabrese sarebbe riuscita, grazie a dei prestanome, a costruire il padiglione Cinese, quello dell’Ecuador, opere di urbanizzazione, infrastrutture di base, il sistema fognario e persino le rampe di accesso per un totale di 100 milioni di euro sotto gli occhi (forse già chiusi) di tutti. Forse è il caso di tenerli aperti, soprattutto ora che si parla di grandi opere che il governo vorrebbe realizzare.

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