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aemilia procdi Sara Donatelli
In ecologia e biologia, la resilienza è la capacità di una materia vivente di auto ripararsi dopo un danno, o quella di una comunità o di un sistema ecologico di ritornare al suo stato iniziale, dopo essere stata sottoposta a una perturbazione che ha modificato quello stato. In psicologia, la resilienza è la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà. La persona resiliente reagisce alla sofferenza e invece di soccombere direziona le sue energie verso cambiamenti risolutivi. È giunto il momento, Emilia. Rialzati. Ribellati. Rinnega i tuoi figli peggiori. È questo l’unico modo per tener fede a te stessa, per non tradire quelli che invece sono stati i tuoi figli migliori. Coloro che partigiani lo furono davvero. È tempo di Resilienza. È tempo di opporsi ai mafiosi, agli amici dei mafiosi, ai confidenti dei mafiosi, ai prestanome dei mafiosi, ai soci dei mafiosi, agli acquirenti dei mafiosi. È tempo di accettare che qui la mafia c’è. È arrivata più di trent’anni fa. È arrivata parlando il dialetto calabrese. Ad oggi, invece, parla e capisce benissimo il dialetto emiliano-romagnolo. Non ha bisogno di infiltrarsi, è già ben radicata. Non ha bisogno di corrompere, è già ben inserita all’interno del tessuto economico, politico e sociale. È arrivato il momento di capire che la classe politica degli ultimi decenni si è rivelata pressoché incompetente, se non collusa. Sicuramente distratta. E se si sceglie di scendere in campo, di amministrare la cosa pubblica, di rappresentare una comunità, di essere sindaco di una città, allora non ci si può permettere determinate mancanze, determinate sviste, determinate leggerezze. E se questo avviene allora bisogna avere la decenza di fare un passo indietro. Per tutelarla, questa terra. Ed il passo indietro va fatto subito, non 15 mesi dopo. Bisognerebbe riscoprire il significato della responsabilità morale, politica, istituzionale. Parole spesso volutamente dimenticate da una classe dirigente troppo impegnata a tutelare la propria debole, debolissima reputazione. Reggio Emilia, Brescello, Finale Emilia. Sono queste le arene in cui in queste settimane si stanno combattendo lotte indegne, dove l’unica cosa che viene protetta è la propria fama, il proprio rispettabilissimo nome. Il ministro Alfano che sceglie di non commissariare Finale Emilia (è di oggi la notizia che verrà nominata per la seconda volta una commissione nel comune finalese), nonostante il parere contrario dei commissari che per tre mesi hanno lavorato su quel territorio, per comprendere se l’amministrazione comunale fosse stata in qualche modo infiltrata dal sistema mafioso. La relazione, consegnata al prefetto di Modena Michele Di Bari, parlava chiaro: “le varie irregolarità rilevate, talvolta sorrette da comportamenti ritenuti propriamente illegali, non appaiono, in tale contesto, da ascrivere a responsabilità esclusive degli uffici, bensì a una ben direzionata volontà dell'organo politico di vertice di influenzare gli stessi, senza peraltro che gli altri organi politici si siano attivati per evitare tale evidente ingerenza”. Irrilevante per il Ministro degli Interni, che ha addirittura scelto di passare oltre il consiglio dei ministri. La situazione di Finale Emilia però è tutt’altro che risolta. È vero, nemmeno la commissione era riuscita ad individuare fatti concreti che potessero altrettanto concretamente provare l’infiltrazione mafiosa all’interno dell’amministrazione comunale. Verissimo. Ma non si possono negare le grandi responsabilità politiche di un sindaco come Ferioli che si è più volte dimostrato distratto, se così vogliamo dire. Probabilmente non adatto al ruolo di primo cittadino di una città come Finale Emilia, che troppe volte è stata data in pasto ad avvoltoi in cerca di danaro ed appalti, lucrando sulla disperazione della gente subito dopo il terribile sisma del 2012 che ha lasciato dietro di sé distruzione e macerie. Se non ci sono elementi sufficienti per commissariare il comune per infiltrazioni mafiose allora è assolutamente giusto che questo non venga fatto ma non si possono negare le enormi colpe di chi ha lasciato campo e spazio alla liaison tra Gerrini (capo ufficio dei Lavori Pubblici nel comune di Finale Emilia, imputato al processo Aemilia) e la famiglia Bianchini. Ed invece Alfano ha deciso addirittura di affidare proprio al sindaco Ferioli la gestione e il monitoraggio della situazione nel comune emiliano. Paradossi. Così come continua ad essere paradossale,  se non surreale, ciò che sta avvenendo a Brescello. Dopo 15 mesi il PD reggiano si sveglia dal proprio letargo e si rende conto di ciò che il sindaco Coffrini disse nel settembre del 2014 ai ragazzi della web-tv Cortocircuito. E se 15 mesi fa il PD non poté far nulla in quando il primo cittadino brescellese non aveva una tessera PD, ma faceva solamente parte di una lista civica appoggiata dal partito, adesso invece si sono ritenute le dimissioni di Coffrini come “urgenti e inevitabili”. Coffrini, tuttavia, dopo un primo momento di resistenza ha scelto di farsi da parte, ma non è una fuga (dice l’ormai ex sindaco durante la conferenza stampa). Anche se appare proprio strana come coincidenza il fatto che queste dimissioni arrivino proprio poco tempo prima che si venga a conoscenza del risultato del lavoro della commissione, mandata anche in questo caso a controllare se e come siano avvenuti contatti tra l’amministrazione comunale e la cellula 'ndranghetista da anni iperattiva su quel territorio. Da non sottovalutare, a questo punto, anche l’eventualità di una prossima candidatura di Coffrini junior. Situazione complessa anche a Reggio Emilia, dove da settimane proseguono le polemiche in seguito alla notizia dell’acquisto di una casa nel 2012, da parte di Maria Sergio (moglie dell’attuale sindaco Luca Vecchi e dirigente dell'Urbanistica nel comune di  Modena) direttamente dall’azienda M&F General Service srl, con amministratore unico e legale rappresentante al momento della compravendita Francesco Macrì (imputato al processo Aemilia). Il M5S ne chiede prima le dimissioni e poi l’audizione in Commissione Antimafia (non solo per la Sergio, ma anche per il marito e per l’ex sindaco reggiano, Graziano Delrio). Richieste, tutte, inascoltate. Nel frattempo arriva dal carcere una lettera nei confronti dell’attuale sindaco della città. Il mittente è Pasquale Brescia. Il destinatario,  come detto, Luca Vecchi. Ecco alcuni estratti: “Lei dovrebbe dimettersi in segno di solidarietà verso tutti i discriminati cutresi da parte del suo partito, dei partiti a lei avversi e da parte dei media locali. Una buona parte dei media locali. La criminalizzazione dei cutresi non inizia oggi con sua moglie. Inizia almeno otto anni fa. Essendo lei un uomo pubblico e anche in difesa dei suoi figli, se ne ha o se ne avrà, che sono o saranno mezzi cutresi, lei avrebbe dovuto urlare alla criminalizzazione molto tempo fa. Farlo oggi non è onesto e si deve dimettere. Lei e sua moglie, rispetto a tutti i cutresi siete molto fortunati. Già quello che le è successo con la storia della casa, se era cutrese l’avrebbero intanto arrestato per intestazione fittizia di beni. Siete fortunati sindaco, perché sua moglie lavora nel pubblico anche se suo zio, che porta lo stesso cognome, è stato in carcere per reati gravi. Altri cutresi, per una cosa del genere non possono lavorare nemmeno nel privato. Gli zii di sua moglie, quelli che le hanno ristrutturato le case che ha acquistato da Macrì Francesco, sono interdetti ed esclusi dalla white list per i lavori del terremoto. Sono questi i motivi che la costringono alle dimissioni anche se io invece penso che dovrebbe dimettersi per non aver difeso una minoranza di suoi cittadini che ne aveva bisogno! aemilia richieste pena imputati rito abbreviatoQuello che lei chiama “il mio sindaco”, il signor Del Rio Graziano andò dal prefetto De Miro, per tutelare i cutresi dalla criminalizzazione mediatica. Al funerale del suocero, la Buonanima del papà di sua moglie, il sottoscritto era presente, c’era Gianluigi Sarcone, Paolini Alfonso, Muto Antonio e tante persone oggi imputati nel processo Aemilia. Eppure ci sono cutresi che hanno perso tutto per essere andati ad un funerale, e lei sa o dovrebbe sapere che anche l’ultimo dei cutresi va ad un funerale di uno che conosceva o che conosceva anche solo ad un familiare del defunto. Io signor sindaco non penso che si debba dimettere per la vicenda della casa, ripeto, ma per non essere intellettualmente onesto! Quindi ribadisco Sindaco, si senta fortunato, ma spero che si dimetta. Il sottoscritto incontrò Pagliani solo in quanto cutrese, in quanto discriminato, lei invece, pur avendo preso i volti dei cutresi, ricorderà la volta che è venuto al circolo Insieme zona Canalina, ci veniva con Salvatore Scarpino, prometteva e prometteva e poi mai una telefonata o un fax ad un giornale per difendere la comunità cutrese. Lei sa chi c’era a qui circoli, sa quali mani ha stretto? Sa se c’era il sottoscritto, o Paolini, o Muto, o altri imputati del processo Aemilia? In quei circoli, i suoi zii, quelli che oggi sono esclusi dalla white list, facevano campagna elettorale in suo favore! Come fecero per Del Rio! Quindi qual è il problema? Chi c’è al sicuro? Ho sentito il dovere di scriverle questa lettera pubblica perché la sua disonestà intellettuale non dovrebbe permetterle di fare il sindaco di Reggio Emilia”. Proprio in seguito a questo episodio è stata disposta la scorta per il primo cittadino reggiano. Ma anche qui non si fermano le polemiche. Proprio pochi giorni fa, infatti, viene recapitata al sindaco Luca Vecchi una lettera. Questa volta, invece, dal Sulp, il sindacato unitario del lavoratori di polizia locale che pretende chiarimenti sulle mansioni che spettano agli agenti che da qualche giorno affiancano il sindaco: “Il servizio di scorta al sindaco viene effettuato da inizio febbraio dagli agenti della polizia municipale in modo piuttosto ambiguo anche per la sicurezza degli stessi agenti, abbiamo cambiato i nostri compiti e le nostre attribuzioni solo per un singolo cittadino, mentre per tutti gli altri rimaniamo i “vigili spaventapasseri”? Oppure non è cambiato nulla e semplicemente (il sindaco, ndr.) aveva bisogno di un “autista"? Senza comunicare nulla ai lavoratori hanno avuto inizio detti servizi, senza alcun protocollo di intervento e senza chiarire se tali misure fossero imposte o frutto di una inaspettata interpretazione estensiva del ruolo della polizia municipale da parte dell’amministrazione. In sostanza, il sindacato si chiede se la “scorta” sia stata disposta dal prefetto o se sia stata decisa a livello comunale. Superando addirittura le norme vigenti, siamo improvvisamente idonei a fare i servizi di scorta (quelli sì assegnati in via esclusiva a polizia di Stato e carabinieri) alla luce di un possibile attentato della ‘ndrangheta?".

Arriva il primo pentito
Giuseppe Giglio, uno degli imputati più importanti del processo Aemilia, sta pensando di pentirsi. Sarebbe infatti stato trasferito in un carcere sconosciuto rispetto a quello in cui era rinchiuso al 41 bis e intorno alla sua abitazione di Montecchio sono state riscontrate, negli ultimi giorni, intense verifiche dei carabinieri a tutela della famiglia. L’imprenditore viene indicato dai PM della DDA di Bologna come responsabile di 32 capi di imputazione. Non a caso, proprio i PM Mescolini e Ronchi hanno chiesto per l’imprenditore 20 anni di carcere. Giglio, che ha optato per il rito abbreviato, potrebbe dunque aprire nuovi scenari con le sue dichiarazioni. Dichiarazioni che andrebbero a svelare nuove dinamiche fino ad ora sconosciute. Dichiarazioni che sarebbero importantissime in quanto importantissimo è, non solo il suo ruolo all’interno del procedimento penale, ma anche all’interno della stessa organizzazione criminale che in questi mesi è sotto processo a Bologna e prossimamente a Reggio Emilia. Giglio non è infatti un semplice “picciotto”,  non fa parte di quella manovalanza di secondo ordine, e non è nemmeno un semplice esecutore di ordini. Giglio, leggendo le carte dell’inchiesta,  viene riconosciuto come uno degli organizzatori del patto politico-mafioso-imprenditoriale siglato in Emilia Romagna ormai più di trent’anni fa. Un personaggio che da più di un decennio ha messo le proprie mani in società, imprese, speculazioni edilizie, appalti, commesse. Non a caso sono tanti i pentiti che parlano di lui, tra cui Luigi Bonaventura, Vincenzo Marino e Angelo Salvatore Cortese. Una carriera imprenditoriale e criminale basata, secondo i PM, sul reinvestimento del denaro dei boss calabresi (“con il ruolo di organizzatore dell’attività dell’associazione relativa alle fatturazioni per operazioni inesistenti ed alla gestione degli appalti metteva a disposizione dell’associazione le sue società e ne costituiva alcune ad hoc, individuando i prestanome, pretendeva e otteneva obbedienza dagli appartenenti al sodalizio, imponendo le spartizioni degli appalti e l’acquisto dei materiali secondo le sue indicazioni, inoltre "manteneva rapporti con imprenditori vicini alla cosca, e coordinava le attività compiute insieme a costoro"). “La sua figura - si legge nell’ordinanza firmata dal gip - apre la galleria degli imprenditori la cui parabola personale e professionale segna il passaggio da una condizione originaria di assoggettamento ad una consapevole e volontaria cointeressenza ai fini di espansione economica dei clan di riferimento”.

Foto a destra: le richieste di condanna  a per i 71 imputati che hanno scelto il rito abbreviato