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schirripa rocco c contaldoVideo e Foto
di Ottavia Giustetti, Emilio Randacio e Carlotta Rocci

Fa il panettiere a Torino. Arrestato dalla polizia dopo le indagini coordinate dalla pm Boccassini. L'uomo incastrato grazie a una lettera anonima spedita dagli inquirenti. Per il delitto c'era già stata una condanna all'ergastolo. La figlia del magistrato: "Ora si cerchino gli altri mandanti"

E’ stato arrestato dalla polizia a Torino uno dei presunti assassini del procuratore Bruno Caccia, ucciso la sera del 26 giugno 1983 con 14 colpi di pistola a pochi passi da casa, in via Sommacampagna, nella precollina torinese. Gli agenti della squadra Mobile, coordinati dai pm di Milano Ilda Boccassini e Marcello Tatangelo, lo hanno fermato questa notte. Le indagini sono durate 32 anni.

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Il procuratore capo di Torino, ucciso il 26 giugno del 1983 da un commando a pochi metri da casa


L'arrestato. L’uomo, Rocco Schirripa, è un torinese di 64 anni di origini calabresi con numerosi precedenti penali. A Torino ora faceva il panettiere in borgata Parella, ma scavando nel suo passato gli investigatori hanno trovato collegamenti di parentela con la famiglia di Domenico Belfiore, considerato il mandante dell’omicidio che è maturato nell’ambiente della ‘ndrangheta.  Belfiore infatti è ritenuto il numero uno delle cosche nel nord ovest negli anni ’90. Il boss, che avrebbe deciso l'eliminazione del procuratore per le sue indagini sul riciclaggio del denaro delle organizzazioni criminali, è stato condannato all'ergastolo (a incastrarlo furono le confidenze registrate di nascosto dal pentito Francesco Miano nell'infermeria del carcere), ma è uscito di prigione pochi mesi fa per motivi di salute.

schirripa panetteria
L’ identikit dell’arrestato corrisponde perfettamente a quello tracciato all’epoca da chi investigò sul caso subito dopo l’omicidio. Secondo gli inquirenti milanesi, Schirripa era alla guida dell'auto che avvicinó il procuratore sotto casa, poco prima dell'esecuzione. L'uomo, secondo le indagini, avrebbe poi inflitto a Caccia il colpo di grazia con un proiettile alla testa. L'altro componente del commando sarebbe stato proprio il boss della 'ndrangheta, Domenico Belfiore.  Scrive infatti il gip milanese Stefania Pepe nell'ordinanza di custodia cautelare: "Emerge con assoluta certezza che Rocco Schirripa è stato uno dei due esecutori materiali dell'omicidio del dr Caccia". Dalle intercettazioni, scrive ancora il giudice, "emergono inoltre plurimi elementi che fanno ritenere verosimile che la seconda persona che sparò al procuratore sia stato lo stesso Domenico Belfiore". Quanto, infine, a Placido Barresi, cognato di Belfiore coinvolto nell'inchiesta sull'omicidio caccia ma alla fine assolto per insufficienza di prove, "dagli atti del processo emerge senza alcun dubbio che il predetto era a conoscenza non solo della decisione di uccidere il procuratore, ma anche (nonostante fosse detenuto il giorno dell'agguato) di ogni dettaglio sull'omicidio, inclusa l'identità degli esecutori materiali".

La cronaca su Repubblica 32 anni fa (pdf)
Il ritratto: quel giudice che sfidò il terrorismo

L’operazione risolve uno dei casi più eclatanti degli anni ’80, che per oltre tre decenni era rimasto solo parzialmente risolto. Due anni fa, nel trentennale dell'omicidio, un appello dei figli del procuratore ucciso sollecitava gli inquirenti a riaprire il fascicolo dormiente nei cassetti della procura milanese, competente per legge sui reati riguardanti i magistrati torinesi. Le indagini, in effetti, erano state riaperte circa un anno fa.


VIDEO Delitto Caccia, l'arresto del killer del procuratore di Torino



Le indagini. Il procuratore Caccia, magistrato incorruttibile che guidava la procura torinese con grande rigore (secondo uno dei boss era "uno con cui non si poteva parlare") fu assassinato la sera di una domenica elettorale, mentre portava a passeggio il suo cane, da almeno due sicari che gli spararono sul marciapiede di casa. Essendosi occupato di importanti indagini sul terrorismo (l'ultimo delitto torinese delle Brigate Rosse risaliva a pochi mesi prima) e sulla criminalità organizzata (sequestri di persona, omicidi, le infiltrazioni mafiose nel casinò di Saint Vincent), le prime ipotesi investigative batterono proprio queste due piste. Inizialmente una telefonata che rivendicava il delitto alle Brigate Rosse orientò gli inquirenti verso la pista terroristica, ma si rivelò subito falsa. Poco tempo dopo, grazie anche alle inchieste sul clan dei Cursoti, emerse la verità: Caccia era stato eliminato su ordine dei boss della 'ndrangheta trapiantata in Piemonte.

Lo stratagemma. Le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dal sostituto procuratore Marcello Tatangelo, sono ripartite dall'esposto presentato nei mesi scorsi dal legale della famiglia Caccia. "Anche se la pista indicata - ha sostenuto Ilda Boccassini -, portava ad altre piste e prendeva di mira anche il lavoro dei magistrati milanesi che 32 anni fa si occuparono dell'omicidio".

Gli investigatori della Squadra Mobile, che già sospettavano un coinvolgimento di Schirripa,  hanno inviato una lettera anonima ai sospettati del delitto con una fotocopia di un articolo che riportava la notizia dell'uccisione del procuratore di Torino con scritto a penna il nome del presunto killer, proprio Rocco Schirripa. I sospettati, intercettati, hanno iniziato a fare supposizioni su chi di loro avesse parlato e hanno rivelato il ruolo di Schirripa nell'intera vicenda.

 "La loro unica preoccupazione era quella di capire chi avesse parlato - ha spiegato il procuratore facente funzioni di Milano Piero Forno -  e i sospetti si sono concentrati proprio su Rocco Schirripa, che poi ha detto di aver fatto alcune confidenze a qualcuno". La preoccupazione degli arrestati era tutta rivolta a capire "se Schirripa avesse rivelato anche dei dettagli compromettenti del delitto, come la disposizione degli uomini del gruppo di fuoco nella macchina" utilizzata per fare l'agguato al magistrato o altri dettagli che le indagini non avevano ancora portato alla luce.


La "scommessa investigativa". Decisive per arrivare alla svolta di questa mattina, sono state le intercettazioni ambientali nell'abitazione di Domenico Belfiore, da pochi mesi agli arresti domiciliari: Belfiore - che parlava solo sul balcone di casa - ha fornito una ricostruzione decisiva per la svolta di oggi, parlando con il cognato Placido Barresi. Non sapendo di essere intercettato, pur utilizzando diverse precauzioni ha alluso all'episodio e Barresi ne ha parlato a sua volta con Schirripa che, interrogandosi su chi avesse inviato la lettera anonima con il suo nome, aveva anche progettato la fuga. La lettera anonima, ha spiegato il procuratore di Milano facente funzione, Pietro Forno, è stata quindi una "scommessa investigativa" che ha consentito di raccogliere elementi a carico di Schirripa, scatenando una reazione 32 anni dopo il delitto.

VIDEO Omicidio Caccia, Boccassini e Forno si commuovono nel ricordare il collega ucciso




Le intercettazioni. Nelle conversazioni intercettate dagli investigatori si sente Belfiore dire "Quelli di là sotto lo sapevano quasi tutti" alludendo - annota il gip Stefania Pepe, "agli esponenti di vertice della 'ndrangheta che (...) erano stati informati", nel 1983, della decisione di uccidere il procuratore. Lo stesso Schirripa, in una delle registrazioni, assicura all'interlocutore Placido Barresi: "Io non ne ho parlato più con nessuno"; e di fronte alla sua preoccupazione per le lettere anonime inviate dalla Squadra mobile, il cognato di Belfiore replica: "Ti sei fatto 30 anni tranquillo, fattene altri 30 tranquillo". Aggiungendo ancora: "Mi sono informato giuridicamente. Sono passati 34 anni. Un reato non si prescrive, ma con le generiche non ti possono dare l'ergastolo e quindi è prescritto". Sempre parlando con Barresi, Schirripa, che per il gip gode di solidi appoggi in Spagna, dice di essere intenzionato a cercare una via di fuga: "Ti dico la verità, sto dormendo male. Io vedo di cercare una sistemazione, almeno posso andare a dormire tranquillo".

Le reazioni. "Come torinese e come magistrato che da Bruno Caccia ha imparato tutto, esprimo il ringraziamento e l'apprezzamento più convinto per l'ottimo lavoro della procura di Milano e della squadra mobile di Torino, che con pazienza e intelligenza sono riuscite ad aprire una nuova pista di indagine sull'omicidio dopo più di trent'anni". Lo ha detto Gian Carlo Caselli, ex procuratore capo di Torino, che quando Caccia fu ucciso era giudice istruttore. Entrambi, negli anni Settanta, si erano occupati dell'inchiesta sui capi storici delle Brigate Rosse.

"Quello di Schirripa è un nome che si inserisce nel solco delle indagini che non si sono mai fermate in tutti questi anni - ha detto il procuratore generale Marcello Maddalena, al momento del delitto sostituto di Caccia - E' un personaggio storicamente vicino alla famiglia Belfiore. La procura di Torino lo ha incontrato altre volte nelle indagini di 'ndrangheta". "Quell'omicidio - ha aggiunto - diede una grande spinta a tutto l'ufficio che da allora fu ancora più compatto e continuò con ancora maggiore convinzione".

 "L'arresto di oggi - ha commentato Cristina Caccia, figlia del magistrato assassinato - è un tassello importante per gli sviluppi futuri dell'inchiesta. Ci auguriamo che possa far luce su tutti i risvolti rimasti oscuri di questa vicenda, a partire dagli altri mandanti". "Siamo soddisfatti del lavoro
svolto dagli investigatori, ma chiaramente in circostanze del genere non si può essere contenti -  ha aggiunto - E' strano che questa persona sia rimasta indisturbata a Torino, per oltre trent'anni. Ringraziamo la polizia e aspettiamo che l'inchiesta vada avanti".


Tratto da: torino.repubblica.it