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di Giuliano Girlando
Nel corso dell’operazione condotta su richiesta della Dda di Roma nella provincia, in particolare nei comuni di Tivoli e Guidonia, sono state notificate a 9 persone l’ordinanza di custodia cautelare, di cui sette in carcere e due agli arresti domiciliari. L’ordinanza emessa dal G.I.P. del Tribunale di Roma, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, ha portato a scoperchiare un giro di droga nell’hinterland romano. Per quattro di loro, tutti di nazionalità italiana, l’accusa di un’associazione per delinquere, finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti provenienti dalla Calabria, con l’aggravante della disponibilità delle armi. Sarebbero stati impiegati anche  minorenni nell’attività di spaccio. Al capo dell’associazione, un 34enne, originario di San Luca (RC), contiguo alla cosca della “Nirta – Romeo – Giorgi”  al quale è stata contestata l’intestazione fittizia di beni, per aver preso in gestione alla fine del 2014 un bar nel centro storico di Tivoli, intestandolo ad una società così come avvenuto per una Smart. Per altri due destinatari della misura cautelare, un italiano ed un albanese, l’accusa invece è quella di sequestro di persona a scopo di estorsione nei confronti di un italiano che  accusato di essersi fatto sottrarre Kg. 4 di eroina durante il trasporto in Puglia per la cessione ad un gruppo di criminali albanesi, sarebbe stato rinchiuso in un garage e picchiato. Ai destinatari delle misure cautelari sono invece contestati i reati di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.



La lunga ed articolata indagine che ha portato all’esecuzione dei numerosi provvedimenti restrittivi è stata avviata dai Carabinieri della Compagnia di Tivoli indagando sulle “influenze” che alcuni cittadini calabresi, legati alla ’ndrangheta, esercitavano sul traffico di stupefacenti nel territorio dell’area Tiburtina e della periferia est della Capitale. Dal cuore della Locride, si gestiva cosi un traffico di sostanze stupefacenti del che giungeva dalla Calabria per essere poi immessa nelle piazze di spaccio della periferia Est della Capitale. Nel corso delle indagini sono stati recuperati anche dei “pizzini”, manoscritti da un elemento apicale della ’ndrangheta, attualmente detenuto in carcere, che contenevano delle “istruzioni” su come l’organizzazione dovesse muoversi nella gestione dei traffici illeciti. Gli investigatori hanno così proseguito nelle indagini fino a ricostruire la struttura associativa, gestita dai calabresi, i quali prima importavano lo stupefacente dalla loro terra d’origine e, successivamente, la cedevano a diversi gruppi organizzati dell’area tiburtina per lo spaccio, riportando parte dei proventi dell’attività illecita in Calabria. Proprio nel Comune di Tivoli, all’interno del garage di uno dei membri dell’organizzazione, è stato trovato il deposito in cui erano custodite le armi nella disponibilità del sodalizio criminale. Nel corso delle indagini si è infatti proceduto al sequestro di una pistola cal. 6,35 marca Browning ed un fucile cal. 12 a canne mozze entrambi con la matricola abrasa, all’arresto in flagranza di 5 persone ed al sequestro di circa 2 kg di stupefacente del tipo hashish, cocaina e marijuana. Tali armi sono state in più occasioni utilizzate dagli associati sia per minacciare ed intimorire tutti coloro che avevano dei debiti da saldare per acquisti di stupefacente o che tentavano di opporsi allo strapotere dell’organizzazione. In particolare, il capo dell’organizzazione era solito utilizzare un comportamento “mafioso” tanto da  non esitare a minacciare con la pistola dei rumeni che frequentavano un bar di Guidonia dove lui si recava quotidianamente o far  giungere una busta con all’interno un proiettile al proprietario del bar che si era lamentato per il suo comportamento con i clienti. Il giro d’affari era molto elevato, in quanto sono state documentate diverse trattative per lo scambio d’ingenti quantitativi di stupefacente che una volta piazzati sul mercato potevano fruttare centinaia di migliaia di Euro. I proventi delle attività illecite venivano quindi in parte riportati in Calabria ed in parte reimpiegati in attività regolari che venivano spesso intestate fittiziamente a prestanome per eludere i controlli delle forze dell’ordine. Nel corso dell’attività investigativa si è poi  accertato che nel 2014 il capo dell’organizzazione aveva acquisito la gestione di un bar, nel centro storico di Tivoli, facendo intestare fittiziamente l’attività commerciale ad una società.

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