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caccia-bruno-web0di AMDuemila - 12 giugno 2015
Domenico Belfiore è stato condannato per essere il mandante dell’omicidio di Bruno Caccia (in foto), procuratore a Torino ucciso a colpi di pistola il 26 giugno 1983, l’unico delitto eccellente del Nord Italia ricondotto alla ‘Ndrangheta. Ma ora, dopo 32 anni, scattano i domiciliari per il boss originario di Gioiosa Ionica (Reggio Calabria) per le sue gravissime condizioni di salute.

Belfiore, 63 anni, sta scontando l'ergastolo che gli è stato inflitto dai tribunali di Milano e, fino a ieri sera, era in regime di 41 bis. Lo scorso aprile, mentre era rinchiuso nel penitenziario di Sulmona, gli venne diagnosticato un tumore: da allora è stato sottoposto a numerosi interventi chirurgici che non sono bastati per evitare il tracollo. Adesso, per effetto di un provvedimento provvisorio dei giudici di sorveglianza, andrà a stabilirsi dai parenti in un paesino dalle parti di Chivasso, nella cintura nord di Torino.

A Bruno Caccia è intitolato il Palazzo di Giustizia di Torino. Per decenni i magistrati della procura hanno tenuto la sua foto (e alcuni continuano a farlo) sulla scrivania o appesa alle pareti dell'ufficio. Ad ucciderlo fu un commando di quattro persone mentre passeggiava con il cane a due passi da casa, sulla precollina torinese. Mentre i sicari non furono mai individuati, al mandante dell'esecuzione si risalì (indagò l'autorità giudiziaria di Milano) dopo un'indagine che gettò Torino nello sconcerto: vennero anche alla luce casi di magistrati con amicizie a dir poco equivoche con dei malavitosi.

Ma furono i clan calabresi e siciliani, secondo gli inquirenti, ad orchestrare il delitto Caccia. Quel procuratore, determinato e intransigente, doveva essere eliminato. L'istruttoria prese in esame l'ipotesi che a dare fastidio fossero le sue inchieste sui prestasoldi dei casinò di Sanremo e Saint Vincent; poi si disse che i boss non volevano che scavasse a fondo nel sequestro del figlio di un noto industriale o nello scandalo dei favori ai detenuti concessi dal Centro clinico delle carceri Nuove. Non si seppe mai se fosse questo o quel fascicolo a disturbare. Nel 1987, comunque, Belfiore fu raggiunto in cella (era detenuto dal settembre 1983) da un mandato di cattura insieme al messinese Placido Barresi, poi assolto.

La famiglia Caccia ritiene che nel delitto ci siano ancora tanti aspetti da chiarire e per questo il loro avvocato di fiducia, Fabio Repici, ha chiesto alla procura di Milano, con una raffica di esposti, di riaprire il caso: il legale, nelle carte, ha anche proposto delle piste da seguire, corredandole con nomi e cognomi di personaggi legati alla mafia siciliana che potrebbero essere coinvolti.

Fonte ANSA

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