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brescello-ndranghetaChieste le dimissioni del sindaco di Brescello, colui che definì il boss Grande Aracri come "un uomo molto tranquillo"
di Sara Donatelli - 20 marzo 2015
Succede. Succede ancora. Siamo nel 2015 e non negli anni Settanta. Siamo in Emilia Romagna e non in Sicilia. Non a Palermo, ma in piccolo paesino in provincia di Reggio Emilia. Questo paesino si chiama Brescello, il cui sindaco è Marcello Coffrini. E sempre in questo paesino risiede Francesco Grande Aracri, fratello di Nicolino Grande Aracri. Fin qui tutto bene. Se non fosse che Francesco Grande Aracri è un condannato in via definitiva per associazione mafiosa. Se non fosse che il sindaco, Marcello Coffrini, non solo continua a negare l’esistenza della ‘ndrangheta a Brescello, ma parla di Francesco Grande Aracri come un uomo “gentile e molto tranquillo. Uno che ha sempre vissuto a basso livello". Parole di elogio, dunque.

Ma facciamo un passo indietro. Chi è Marcello Coffrini?  Figlio di Ermes Coffrini, avvocato di fama, è stato in passato anche lui sindaco di Brescello.  Tale padre, tale figlio verrebbe da dire. Già, perché quindici anni fa Ermes Coffrini disse le stesse cose dette oggi dal figlio. “ Solo che quando le ho dette io, non ci fu nessun problema” replica Ermes Coffrini durante un’intervista, e alla domanda se secondo lui la ‘ndrangheta esista o meno a Brescello, lui non esita un istante: “Allora, intendiamoci bene. Che ci sia una forte comunità calabrese a Brescello, è assodato. Che ci siano soggetti di dubbia provenienza, è altrettanto un fatto. Desumere che Brescello sia un paese di ‘ndrangheta, come si dice da anni, è un errore. Anni fa ci fu un omicidio: venne ucciso un calabrese e si scoprì in seguito che erano stati altri calabresi, travestiti da forze dell’ordine, a sparare. Ma si tratta di fenomeni che non sono estesi . Fatti di speculazioni o estorsione non ce ne sono. Negli appalti non ci sono infiltrazioni. Posso dunque dire questo: chi dice che la zona è fortemente infiltrata è smentito dai fatti”. La domanda sorge dunque spontanea, quali fatti? I fatti che conosciamo noi sono questi. Siamo  nel 1982, precisamente il 14 maggio. Data importante questa, in quanto il Tribunale di Catanzaro sottopone Antonio Dragone, capo della locale di Cutro (ma ufficialmente custode della scuola elementare) alla misura del soggiorno con obbligo di dimora, per due anni, nel comune di Quattro Castella, in provincia di Reggio Emilia. Dragone giunge nel comune il 9 giugno del 1982. In brevissimo tempo  (come evidenzia una Nota del 12 febbraio 1983 della Questura di Reggio Emilia) Antonio Dragone fa affluire nel raggiano i familiari più stretti ed i fedelissimi con le rispettive famiglie, con i quali inizia a dedicarsi ad attività criminali come traffico di stupefacenti, estorsioni e controllo degli appalti edili. Le vittime di queste estorsioni sono quasi tutte originarie del crotonese, che temendo il rischio di subire violente ritorsioni verso i familiari rimasti nel paese di origine, scelgono di pagare e non denunciare. A seguito dell’arresto di Antonio Dragone, le redini dell’organizzazione passano nelle mani del nipote Raffaele, che però viene arrestato nel 1993. Proprio in questo periodo, inizio degli anni 90, si consumano i primi delitti riconducibili a contrasti tra clan: parliamo dell’omicidio di Nicola Vasapollo (ucciso a Reggio Emilia il 21 settembre 1992) e Giuseppe Ruggiero (ucciso proprio a Brescello il 22 ottobre del 1992). E’ dunque questo l’omicidio a cui fa riferimento Ermes Coffrini quando dice “anni fa ci fu un omicidio: venne ucciso un calabrese e si scoprì in seguito che erano stati altri calabresi, travestiti da forze dell’ordine, a sparare. Ma si tratta di fenomeni che non sono estesi”.

La scalata dei Grande Aracri
Ma andiamo avanti. Con l’indebolimento della famiglia Dragone si assiste all’ascesa di personaggi che fino a questo momento hanno ricoperto un ruolo secondario: tra questi spicca Nicolino Grande Aracri, detto “mano di gomma”. A parlarne è anche il collaboratore di giustizia Vittorio Foschini, che durante un interrogatorio del 3 novembre 2004 rivela “Mano ‘e gomma non voleva dare più conto ad Antonio Dragone e diceva "io sono un killer, io ci sto facendo il nome ai Dragone, io sto ammazzando la gente per i Dragone però loro si prendono i soldi e io no. A questo punto mi sono stancato; la famiglia me la alzo io e non do più conto ai Dragone”.  La sua importanza all’interno dell’organizzazione criminale cresce sempre più e si palesa inequivocabilmente dopo l’omicidio del nipote di Antonio Dragone, Raffaele, che viene ucciso il 31 agosto del 1999. Questi fatti vengono riferiti da Rocco Gualtieri, uno dei primi collaboratori di giustizia. Gualtieri riferisce nel corso dell’udienza tenutasi in Corte d’Assise a Crotone, il 4 giugno 2003, nell’ambito del processo celebrato a carico di “Nicolino Grande Aracri + 39” proprio dell’importante ruolo che assume “mano di gomma” all’interno della cosca, tanto da arrivare a sostituire Antonio Dragone, quando quest’ultimo era in Emilia Romagna in soggiorno obbligato. Succede dunque che Nicolino Grande Aracri ottiene in un primo momento il consolidamento del proprio potere a Cutro, e successivamente anche nella provincia di Reggio Emilia, grazie anche alla presenza di affiliati e familiari (sette fratelli su undici, con le rispettive famiglie, sono residenti in Emilia Romagna). Questo passaggio non è tuttavia indolore, in quanto se da un lato molte persone sono completamente alle dipendenze di Nicolino Grande Aracri, molte altre continuano a nutrire una profonda fedeltà nei confronti di Antonio Dragone. Ma nonostante questo, e nonostante la carcerazione a seguito del fermo del Pubblico Ministero disposto nell’ambito dell’operazione Scacco Matto, l’ascesa di “mano di gomma” è inarrestabile. Successivamente all’arresto di Nicolino Grande Aracri, infatti, si viene a creare un vuoto di potere che viene però colmato con la nomina di nuovi referenti che sono incaricati di trasmettere agli affiliati liberi le direttive di Grande Aracri dal carcere. In questo ruolo emerge, tra gli altri, la figura del fratello di Nicolino, Francesco Grande Aracri e la cognata (sorella dell’altro fratello, Mauro). Nel frattempo il 4 novembre 2003 Antonio Dragone esce dal carcere e tenta di strappare al rivale Nicolino Grande Aracri il comando della famiglia, tentando anche di vendicare la morte dei propri uomini di fiducia. Si vengono adesso a creare due schieramenti contrapposti: da un lato i Dragone appoggiati dagli Arena, e dall’altra parte i Grande Aracri appoggiati dai Nicoscia. La lunga scia di sangue che segue culmina il 10 maggio 2004 con l’uccisione di Antonio Dragone. Termina la guerra tra le famiglie e Nicolino Grande Aracri, non avendo più rivali, assume il pieno controllo della cosca, sia in Calabria che in provincia di Reggio Emilia. L’ascesa di “mano di gomma” viene anche sottolineata all’interno dell’indagine piacentina denominata Grande Drago (che prende le mosse dall’operazione Scacco Matto che dal gennaio al dicembre 2000 indaga sul clan Grande Aracri). Queste attività vengono tra l’altro di poco precedute dall’operazione Edilpiovra che consente alla DDA di Bologna di evidenziare il ruolo della cosca capeggiata da Grande Aracri che, infiltrandosi illecitamente nel tessuto economico della provincia di Reggio Emilia, riesce a raccogliere denaro tra gli imprenditori calabresi del settore edile. Anche qui emerge la figura del fratello di Nicolino Grande Aracri, Francesco (proprio colui che abita a Brescello e che il Sindaco Marcello Coffrini definisce “gentile e molto tranquillo”) ed il 14 febbraio 2003 il GIP del Tribunale di Bologna dispone l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di una quindicina di persone, tra cui lo stesso Francesco Grande Aracri a cui viene contestato il reato di cui all’art. 416 bis. Secondo il Tribunale “l’associazione consegue vantaggi e profitti ingiusti tramite estorsioni nei confronti degli imprenditori, gestori di pubblici e privati esercizi, nonché mediante l’organizzazione di una seriale attività di fatturazione per operazioni inesistenti, nei confronti di imprenditori, prevalentemente edili. La forza di intimidazione del vincolo associativo è rafforzata dalla prospettazione di ritorsioni e dal ricorso di azioni incendiarie”. L’iter processuale è tuttavia molto complesso e travagliato: Francesco Grande Aracri viene infatti condannato  in primo grado a tre anni e sei mesi di reclusione il 16 febbraio 2004,  assolto dalla Seconda Sezione della Corte d’Appello di Bologna il 24 febbraio 2005. Quest’ultima sentenza viene però annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione l’1 dicembre 2005. Il tutto torna dunque alla Terza Sezione della Corte d’Appello di Bologna che il 19 aprile 2007 conferma la condanna in primo grado: la sentenza diventa irrevocabile. Un’altra sentenza importantissima per comprendere la figura di Francesco Grande Aracri è anche quella della Corte d’Appello di Bologna del 27 giugno 2012 la quale condanna Antonio Grande Aracri (fratello di Nicolino e Francesco)  e che riconosce l’esistenza di un’autonoma organizzazione di stampo mafioso operante nella provincia di Reggio Emilia diretta dai fratelli Antonio e Francesco Grande Aracri. Anche questa sentenza è diventata irrevocabile l’8 aprile 2014.
 Sono dunque questi i fatti a cui fa riferimento il padre dell’attuale sindaco di Brescello Marcello Coffrini, Ermes Coffrini? A sentirlo parlare non si direbbe. Non dimentichiamo che qualche anno fa l’ex sindaco di Brescello si scagliò contro un bar che aveva esposto un cartello per denunciare presunti tentativi di infiltrazioni, ma ad oggi commenta così l’accaduto: “«Glielo dico io, altro che mafia: quella era una storia di corna. Feci togliere quel cartello”. Ma non si ferma Ermes Coffrini. Alla domanda infatti su cosa farebbe se incontrasse Grande Aracri per strada, egli risponde “Se si incontra una persona per strada e ti saluta, per banale cortesia e senso civico si risponde al saluto. Una stretta di mano non è una compromissione” ed aggiunge “Tempo fa Grande Aracri ancora non era stato condannato. Avevo bisogno di fare lavori a casa mia e diedi un incarico ad una impresa. Fu così che tra i muratori mi trovai a casa Francesco Grande Aracri. Lavorava normalmente, non diede problemi. Inoltre qualche tempo fa ero in sala d’attesa in un ambulatorio. Sento che qualcuno mi saluta: era Grande Aracri. Mi chiede: come va? E io a mio volta gli ho chiesto come stava. Ma cosa avrei dovuto fare? Queste sono cose minime di civiltà”. Ma lasciamo Ermes Coffrini e le sue dichiarazioni per occuparci del figlio, attuale sindaco di Brescello. Marcello Coffrini viene eletto sindaco il 25 maggio 2014 e nella sua scheda di presentazione è possibile leggere: “Il mio nome e la mia famiglia sono senz'altro molto conosciuti in paese, anche in relazione ai molti anni in cui mio padre, Ermes, ha rivestito la carica di Sindaco.
Ritengo tale circostanza un valore aggiunto, poiché mi è stato così possibile apprendere nel tempo quelli che ritengo debbano essere i caratteri essenziali per un buon amministratore: ossia la capacità di ascoltare tutte le istanze espresse dai cittadini, leggere e interpretare le situazioni in modo rapido ed efficace e, conseguentemente, cercare la risoluzione dei problemi. Senza tralasciare, naturalmente, tutti gli aspetti sociali e quelli più tipici della nostra realtà, ma, soprattutto, per ribadire e rinnovare il forte, indelebile legame che nutro nei confronti di Brescello, del suo territorio, della sua gente, di generosità e disponibilità unica, della sua anima più autentica".

Massima fiducia
Nell’estate del 2014 il sindaco è protagonista di un’intervista della web-tv Cortocircuito. La troupe di giovani studenti e giornalisti si fa accompagnare da Coffrini sui terreni sequestrati alla famiglia Grande Aracri ma subito vengono raggiunti da un furgoncino che chiede spiegazioni e poi dallo stesso Grande Aracri. Il sindaco si apparta con il boss per spiegare la situazione e tornato in macchina spiega: “E’ lui Francesco Grande Aracri. E’ gentilissimo, molto tranquillo. Parlando con lui si ha la sensazione di tutto tranne che sia quello che dicono che sia. Lui è uno molto composto ed educato che ha sempre vissuto a basso livello. La famiglia qui ha un’azienda che adesso è riuscita a ripartire: fanno i marmi. Mi fa piacere che siano ripartiti”. Iniziano le polemiche, ma dopo pochi giorni nella piazza del paese si riuniscono oltre 300 persone. Donne e uomini, anziani e giovani si mettono in fila di fronte a due banchetti improvvisati per mettere una firma a sostegno del sindaco Coffrini. Nella folla ci sono anche i famigliari di Grande Aracri, che firmano e poi si allontanano. Tra applausi, abbracci e frasi di incoraggiamento arriva anche Marcello Coffrini, sfila davanti a un camion vela parcheggiato al centro della piazza, che per l’occasione riporta la sua fotografia con il tricolore e la scritta “Brescello contro tutte le mafie, con Marcello”. Nella piazza piena però, c’è anche chi punta il dito contro la manifestazione: “Sono schifata dalla leggerezza e ingenuità con cui è stata affrontata la cosa, non pensavo che ci fosse così tanta gente” mormora una ragazza, prima di allontanarsi. Poco dopo, in municipio, alla riconferma della fiducia e il sindaco viene accolto da un altro lungo applauso. Qualche ora dopo interviene il senatore Luigi Gaetti: “In piazza c’erano anche i figli e parenti del boss. Un gesto che il sindaco di Brescello Coffrini avrebbe dovuto stigmatizzare, chiedendo loro di allontanarsi”. Arrivano commenti anche dal padre del sindaco, Ermes Coffrini: “Mio figlio è distrutto e addolorato e temiamo che la sua salute ne risenta. Qui in paese c’è gente che piange per le accuse al sindaco. Io sono iscritto al Pd e non uscirò, farò sentire la mia voce”.

Claudio Fava chiede le dimissioni di Coffrini
Passano i mesi, e finalmente ieri è arrivata una risposta concreta a questa surreale situazione. Il vicepresidente della commissione parlamentare antimafia, Claudio Fava ha chiesto le dimissioni di Marcello Coffrini da sindaco di Brescello ed una commissione d’accesso per valutare l’autonomia del Comune dalle ingerenze della criminalità organizzata. Fava si è infatti presentato ieri a Reggio Emilia con una lettera indirizzata al prefetto Raffaele Ruberto e al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. “Le affermazioni di Coffrini, reiterate e riproposte in più occasioni, sulla famiglia Grande Aracri, la benevolenza verbale dimostrata nei confronti di un condannato per mafia negli stessi giorni in cui la famiglia Grande Aracri stava organizzando un attentato nei confronti del sindaco di Lamezia per ammazzarlo – ha spiegato Fava a Il Fatto Quotidiano – sono una contraddizione insanabile che va affrontata.  Il Pd reggiano ha più volte chiesto chiarimenti al sindaco senza mai chiederne apertamente le dimissioni. Anche se Coffrini non è iscritto al partito (è stato eletto con una lista civica appoggiata dai democratici), questo aveva tutti i mezzi per costringerlo a un passo indietro”. Ma il primo cittadino continua a difendersi: “Non ho nulla da temere da un eventuale intervento del presidente della Repubblica che anzi auspico dal momento che potrà rendersi subito conto della inconsistenza, non disgiunta da aperta faziosità e, ribadisco, falsità, di quanto mi è ascritto. Non ho mai lodato nessun condannato per mafia, né tantomeno sono amico di qualcuno in queste condizioni. Mi dispiace che ci sia questo accanimento verso la mia posizione che non credo sia giustificato da niente”. Nel corso della conferenza stampa a Reggio Emilia, Fava ha parlato anche del sottosegretario Graziano Delrio e ha ribadito le critiche già avanzate nei giorni scorsi da Libera per la sua partecipazione a una manifestazione religiosa a Cutro nel 2009 per un viaggio sempre definito dal braccio destro di Renzi “istituzionale”. “Penso”, ha ribadito il deputato, “che si sia trattato di una leggerezza partecipare, in campagna elettorale a tale manifestazione, dovendo sapere che da lì arriva la famiglia Grande Aracri. La stessa famiglia che da almeno 15 anni rappresenta l’architrave criminale nella provincia di Reggio Emilia. A Delrio tuttavia va riconosciuto che ha sempre avuto parole molto nette e chiare contro la ’ndrangheta”. Delrio nel 2012, quando era sindaco di Reggio Emilia, fu sentito come persona informata sui fatti dalla DDA di Bologna. L’audizione avvenne nell’ambito dell’operazione Aemilia, che ha smantellato la cosca della ‘ndrangheta che in Emilia faceva capo proprio a Nicolino Grande Aracri. L’ex primo cittadino alla domanda dei magistrati se sapesse dell’esistenza di Nicolino Grande Aracri rispose: “So che esiste Grande Aracri. Nicola non… non lo avevo realizzato”. Per poi proseguire: “Non sapevo che era originario di Cutro. Sapevo che era calabrese (…) Perché abita lì nel centro di Cutro? No, io non lo sapevo (…) So che è collegato con la criminalità … ma non so se è di Cutro”. Tuttavia in una nota dei giorni scorsi il sottosegretario, replicando agli articoli di stampa su quella audizione, ha sottolineato: “Ho sempre saputo benissimo chi è Grande Aracri e cosa rappresenti. (…) Ritengo ovvio il fatto di non sapere quale sia la sua casa natale”.

Lo abbiamo detto all’inizio. Succede. Succede ancora. Non in Sicilia ma in Emilia Romagna. Non negli anni Settanta, ma nel 2015. Nell’attesa dunque delle dimissioni del sindaco di Brescello, Marcello Coffrini, speriamo che almeno adesso la popolazione di Brescello e di tutta l’Emilia Romagna, possa sollevare la testa e con forza ribellarsi alla ‘ndrangheta, piovra che con i suoi tentacoli sta silenziosamente anestetizzando le nostre menti e distruggendo le nostre capacità di opposizione al fenomeno mafioso.