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di Aaron Pettinari - 6 febbraio 2015

“Nella Laura C, una nave affondata ai tempi della guerra, c’erano diverse tonnellate di esplosivo, gli uomini delle cosche lo recuperavano sott’acqua”. Il racconto è del pentito di ‘Ndrangheta Consolato Villani, al processo Capaci bis. Una volta divenuto vangelista della cosca Lo giudice (cugino del capobastone Antonino, ndr) Villani nel 2002-2003, appena ricevuta la santa, è stato il depositario di alcune confidenze. Il recupero di esplosivo dalla stiva della nave da guerra (affondato al largo della Jonica) va avanti da anni. Nei giorni scorsi una nuova inchiesta della Dda reggina ha permesso di svelare come le famiglie mafiose calabresi siano particolarmente attive nel traffico del Tnt. Così la notte scorsa è scattata un'operazione da parte dei carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria che ha arrestato otto persone ritenute esponenti della cosca Franco-Murina, una costola della più nota famiglia Tegano di Archi. L'accusa nei loro confronti è di associazione di tipo mafioso, detenzione, vendita e cessione di sostanze stupefacenti, detenzione, trasporto e cessione di esplosivo bellico del tipo 'C-4' e estorsione aggravata dalle modalità mafiose.

L'operazione, denomincata “Tnt 2”, è la prosecuzione dell’indagine Tnt, che ha portato, nell’aprile 2014, all’arresto di dieci persone, anch’esse accusate di traffico di esplosivo, armi, sostanze stupefacenti, furti e rapine. Tra gli arrestati vi erano Domenico Demetrio Battaglia e Damiano Roberto Berlingieri trovati in possesso di 10 panetti di tritolo di oltre due chili l’uno, dello stesso tipo di quello trovato nelle stive della nave “Laura C”, oltre che 5 detonatori modello ‘R41′ e ‘R42′ e munizioni di vario tipo, utilizzati, probabilmente per diversi attentati nel reggino e in tutta la Calabria.

Giochi pericolosi
Dalle indagini emerse che quell'esplosivo originariamente, era nella disponibilità della cosca Franco alla quale era stato sottratto. Diversi furono i tentativi di recuperarlo con tanto di aggressioni e minacce. Addirittura pochi giorni prima del loro arresto, Battaglia e Berlingeri, autori del furto, avevano subito un primo pestaggio da parte della cosca che li aveva prelevati per strada e portati in un capannone dove sono stati nuovamente malmenati nel tentativo di recuperare il tritolo rubato.
Le intercettazioni ambientali hanno permesso di aggiungere ulteriori elementi e da parte di alcuni affiliati della cosca c'era anche la preoccupazione che Battaglia potesse decidere di collaborare con la giustizia. Un timore rientrato quando lo stesso Battaglia, dal carcere, aveva rassicurato tutti tramite la moglie. Gli ulteriori accertamenti hanno portato ai nuovi arresti, sette in carcere e uno ai domiciliari. Tra gli indagati figura, tra gli altri, Giuseppina Franco, figlia del boss storico della cosca, Michele, e il marito, Carmelo Consolato Murina, indicato come il reggente della consorteria e indagato in stato di libertà in quanto già detenuto per altri reati. Arrestato anche un noto imprenditore reggino, Filippo Gironda, inserito nel circuito degli appalti pubblici del Comune di Reggio Calabria, nella cui villa, secondo l'accusa, sarebbero stati portati gli autori del furto di esplosivo per costringerli a restituire il tritolo.



Perché tanto esplosivo?
“L’esplosivo – è scritto nell’ordinanza di custodia cautelare – era riconosciuto essere dello stesso tipo di quello rinvenuto nelle stive della nave ‘Laura C’, affondata durante l’ultimo conflitto mondiale nei fondali antistanti Saline Joniche”. “Gli accertamenti – ha spiegato il procuratore Cafiero De Raho – hanno dimostrato che il tritolo che è sulla nave è nella disponibilità della ‘ndrangheta. In questo caso parliamo della cosca Franco legata ai Tegano, ma in tante altre occasioni il tritolo di quella nave è stato utilizzato”.
Le operazioni di bonifica della nave affondata durante la seconda guerra mondiale vanno avanti da due anni. Nei piani ci sarebbe il recupero di tutto l'esplosivo ma non mancano le difficoltà. “Con la prefettura – ha detto lo stesso De Raho in conferenza stampa - si sta tentando di fare in modo che non sia più raggiungibile questo tritolo. Appena qualche mese fa la Marina militare è intervenuta con propri uomini e ha tolto circa 80 chili. Un quantitativo notevole ma il resto non è riuscito a recuperarlo per le precarie condizioni del luogo e della nave. È evidente che la ‘Laura C’ continua a essere, per le tonnellate di tritolo che contiene ancora, il supermarket della ‘Ndrangheta”.
Gli accertamenti effettuati su quei panetti recuperati in aprile non lasciano dubbi, l'origine è proprio la stiva della “Laura C”.
Recentemente il pentito dell'Acquasanta, Vito Galatolo, parlando del piano di morte nei confronti di Nino Di Matteo ha raccontato ai pm che Cosa nostra avrebbe fatto arrivare l’esplosivo dalla Calabria. Dopo l’ordine arrivato da Trapani a Palermo – da parte di Matteo Messina Denaro, che nel 2012 avrebbe inviato una missiva – i boss si sarebbero mossi per acquistare 150 chili di esplosivo. Galatolo racconta però che durante la fase di acquisto – avvenuta nel più completo riserbo – una parte del tritolo calabrese risultava essere danneggiato da infiltrazioni d’acqua. L’esplosivo rovinato venne rispedito indietro, e poco dopo sostituito da un nuovo carico in buono stato senza che fosse sollevato alcun problema. In precedenza alcuni pentiti avevano riferito di aiuti forniti dalla ‘Ndrangheta per la preparazione di stragi, raccontando che per l’attentato a Capaci, l’esplosivo utilizzato per il giudice Falcone aveva il marchio calabrese. Nei mesi scorsi, la Procura di Reggio ha inviato l'esplosivo ai pm di Caltanissetta che si occupano delle stragi di Capaci e via D’Amelio ma gli accertamenti non avrebbero riscontrato alcuna relazione tra le tipologie di esplosivo utilizzate.

Sequestro di beni
Oltre agli arresti, il pm Stefano Musolino che ha coordinato le indagini, ha chiesto e ottenuto il sequestro di alcune imprese, numerosi immobili, beni mobili, autoveicoli, rapporti bancari e prodotti finanziari, per un valore di circa 10 milioni di euro. Inoltre l'inchiesta “Tnt 2” è riuscita a fare luce anche su un grosso traffico di droga che fruttava decine migliaia di euro alla cosca Franco-Murina.