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pannunzi-roberto-web1di Nicola Tranfaglia - 8 luglio 2013
Ieri quotidiani e telegiornali hanno dedicato un pezzo del loro spazio alla clamorosa cattura di Roberto Pannunzi (foto) di cui molti italiani avevano dimenticato il nome e le imprese. Ma bisogna tener presente che, bruciato l’avvenimento, c’ è il rischio di non rendersi conto del rilievo del personaggio e del peso che ha avuto negli ultimi decenni in quello che è ormai diventato il commercio più prezioso e fruttuoso delle associazioni mafiose nei tre continenti interessati, l’Africa, l’Europa e le Americhe.
Pannunzi, che ha ormai  67 anni, è senza dubbio uno dei maggiori trafficanti di cocaina del mondo.
Romano di nascita e  calabrese  di adozione è considerato, in America come in Europa, uno dei più ricchi e affidabili affaristi nel traffico di cocaina,usa un passaporto venezuelano con il nome di Silvano Marino e si muove tra Caracas e Medellin come se fossero due patrie intercambiabili.
Legato per un certo periodo al capobastone della ‘ndrangheta Ntoni Macrì di Siderno e poi ai clan Coluccio e Aquino di Gioiosa Ionica, ha rapporti altrettanto buoni con Cosa nostra siciliana e, negli anni novanta, ha salvato la vita a un capo decina trapanese, Michele Salvatore, legato a sua volta al capo mandamento Mariano Agate e forse oggi a quello che è diventato il capo dei capi, il latitante Matteo Messina Denaro.

Pannunzi ha legato il suo nome e la sua fortuna al traffico internazionale di cocaina tra l’Africa e l’America centrale e meridionale e negli ultimi anni  ha comperato diversi aerei e una nave di centodieci metri per il commercio tra i porti sudafricani e l’Argentina o il Brasile meridionale. Due volte è riuscito a scappare dal carcere, o meglio dalle cliniche in cui era stato trasferito per le sue cardiopatie, e ha sempre mostrato di poter disporre di grandi somme di denaro come quando, arrestato nel 1994 a Bogotà, ha offerto agli agenti che lo avevano fermato un milione di dollari in contanti per ottenere subito la libertà.  
Del resto, ormai, la mobilitazione per arrestarlo non è soltanto italiana o colombiana ma coinvolge anche gli uomini della Dia statunitense che lo hanno arrestato l’altro ieri a Bogotà insieme con gli agenti colombiani.
Pannunzi deve scontare ancora dodici anni di pena e l’ultima volta era fuggito nel 2010 mentre scontava la sua lunga pena dalla clinica Villa Sandra a Roma ma era in carcere già  da sette anni con il regime del 41 bis nel quale la fuga è particolarmente difficile.  
La sua cattura non è importante soltanto per le dimensioni dei traffici controllati in più continenti da Pannunzi ma anche perché costituisce un prova ulteriore della collaborazione in atto in tutti i continenti tra le diverse associazioni mafiose di origine italiana come Cosa Nostra e la ‘Ndrangheta e in altri casi anche con la presenza dei casalesi e della camorra campana. C’è da osservare, peraltro, ancora una volta, come dalla parte delle mafie le collaborazioni appaiano ancora una volta facili e intense molto di più di quanto avvenga dall’altra parte, soprattutto quando  in Italia entra in gioco come ostacolo insuperabile l’elefantiasi burocratica dalla quale il nostro Stato continua - malgrado le ricorrenti promesse - ad essere affetto.

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