Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

musaro-giovanni-webdi Antonio Nicola Pezzuto - 20 maggio 2013
Comincio con una breve premessa per coloro che avranno la pazienza di leggere questo articolo.
Solitamente mi occupo di Sacra Corona Unita e di altre organizzazioni criminali operanti sul territorio pugliese e soprattutto salentino. Questa volta voglio e devo sconfinare. Me lo impongono il mio senso di giustizia e quel sentimento così raro che, per chi lo prova, si chiama amicizia: vera, sentita, leale e disinteressata. Scrivere questo pezzo mi provoca forti emozioni. Raccontare le vicende di un amico d’ infanzia, ora in prima linea nella lotta alla ‘Ndrangheta, genera nel mio animo strane sensazioni.  Ho aspettato, penso anche troppo, prima di cominciare a scrivere, credendo che il caso arrivasse ad occupare prima o poi le prime pagine dei maggiori quotidiani nazionali. E invece niente, un cono d’ ombra, nell’ informazione, assai preoccupante, che penalizza magistrati schivi e riservati, concentrati esclusivamente sul loro lavoro, come Giovanni Musarò (foto).
Adesso veniamo ai fatti.

“Caro Dottore, finalmente ho il piacere di conoscerla, posso stringerle la mano”. Non è una frase pronunciata da una persona gentile e perbene, ma è l’ introduzione che precede un agguato che doveva rivelarsi mortale. A pronunciare quelle poche parole Domenico Gallico, capo dell’ omonima cosca della città di Palmi. Una storia incredibile che si svolge all’ interno di una struttura di massima sicurezza. A leggere le carte processuali vengono i brividi. Personaggi ambigui che, invece di comportarsi da fedeli servitori dello Stato, diventano parte attiva di un complotto.
Giovanni Musarò, pm presso la Procura di Reggio Calabria, si era recato nel carcere di Viterbo lo scorso 7 novembre per interrogare Domenico Gallico. Il pm aveva chiesto, in vista dell’ interrogatorio, che fossero adottate tutte le misure di sicurezza essendo consapevole, in base alle indagini e alle intercettazioni, di poter subire un agguato. Strane sensazioni che il magistrato ha continuato ad avvertire anche al suo arrivo presso la struttura carceraria. L’ avvocato difensore del boss che si dimentica dell’ interrogatorio, un suo sostituto nominato nel giro di venti minuti, e, soprattutto, le tranquillizzanti affermazioni di un Ispettore che alle parole di Giovanni Musarò: “Mi raccomando perché se ne avrà la possibilità, cercherà sicuramente di aggredirmi”, risponde così: “Non si preoccupi”.  Invece, c’ era molto da preoccuparsi, eccome.
“Mi aspettavo di vederlo arrivare scortato, invece è arrivato da solo e ha detto «Caro Dottore, finalmente ho il piacere di conoscerla, posso stringerle la mano». Si è avvicinato e con l’ altra mano mi ha sferrato un pugno e, caduto sulla sedia, mi ha sferrato altri pugni. Mi sono protetto con il braccio sinistro convinto che sarebbe stato fermato. Mi ha continuato a colpire all’ altezza del collo più volte. Sono riusciti a bloccarlo poi a terra. Uno della penitenziaria mi ha poi detto «Noi eravamo qua», ma non c’ erano”. Queste sono le parole di Giovanni Musarò, riportate nei verbali della procura di Viterbo. Parole che unite a quelle dell’ avvocato difensore Mancini, presente all’ interrogatorio, lasciano pochi dubbi sulle reali intenzioni del Gallico: “Ha tentato di afferrarlo al collo” ha dichiarato agli atti l’ avvocato. Per chi conosce la storia di questo efferato boss è tutto chiaro: voleva strangolarlo.Un leader di una cosca della ‘Ndrangheta già condannato a cinque ergastoli per tutta una serie di reati: estorsione, sequestro di persona, omicidio.
Una ‘Ndrina della fascia tirrenica, potentissima sotto tutti i punti di vista. Basta pensare che, per riciclare denaro sporco, si serviva del Caffè Chigi che si trova a Roma nei pressi di Montecitorio (confiscato nel 2012).
Giovanni Musarò la sta combattendo a viso aperto. Nel 2010 un’ ordinanza di custodia cautelare da lui richiesta ha colpito 52 persone per reati vari fra cui associazione mafiosa, omicidio, estorsioni. Tra i destinatari dell’ ordinanza vi era anche Domenico Gallico che le intercettazioni dei colloqui presso le varie case circondariali dimostravano come dirigesse la cosca tramite i suoi familiari.  Inoltre, il pm aveva complicato tantissimo la vita del Gallico con l’ arresto di un suo avvocato difensore risultato una sorta di consigliere della cosca. Altri due avvocati sono stati perquisiti per favoreggiamento personale, aggravato dalla finalità di agevolare la ‘Ndrangheta. In pratica, dalle indagini è emerso che il Gallico, tramite questi avvocati, stava cercando di introdurre prove false nel procedimento davanti alla Corte d’ Assise di Palmi. Non solo capo della cosca quindi, ma anche capo del collegio difensivo. Pochi giorni prima dell’ interrogatorio il Tribunale di Reggio Calabria, Misure di Prevenzione, su richiesta dell’ ufficio di Giovanni Musarò, aveva sequestrato l’ abitazione storica del Gallico, una villa molto famosa che a Palmi è un simbolo della ‘Ndrangheta. Da sottolineare che uno dei fratelli del Gallico, Gallico Carmelo, nel maggio 2010 aveva tentato il suicidio in carcere dopo essere stato raggiunto da un’ ordinanza di custodia cautelare emessa sempre dal magistrato.
Quindi, l’ odio nei confronti del pm della Dda di Reggio Calabria ha portato all’ aggressione che gli ha causato la frattura del setto nasale. Ma l’ azione del boss non era puramente dimostrativa (in passato Domenico Gallico aveva mollato un ceffone a un altro magistrato).
L’ obiettivo era uno soltanto: far tacere per sempre Giovanni Musarò, un uomo serio e riservato che fa il suo lavoro lontano dalla luce dei riflettori e che ha risposto andando avanti con le indagini e chiedendo un altro ergastolo per il Gallico.
Per falso ideologico in atto pubblico e omessa consegna sono indagati tre agenti della penitenziaria di Viterbo che lo lasciarono alla mercè del boss.
Io ho avuto la fortuna di crescere con Giovanni Musarò e l’ onore di essergli rimasto amico nel tempo. Scrivo questo articolo nella speranza che possa suscitare l’ attenzione di altri colleghi che lavorano per testate nazionali, ma anche e, soprattutto, mi rivolgo a quanti fanno informazione nel Salento. Parlate di questa storia. È di fondamentale importanza. Un magistrato che entra nel mirino della ‘Ndrangheta vi rimane per sempre ed è quindi necessario creargli intorno quella che io definisco una “Scorta mediatica”. Più è alta l’ attenzione nei suoi confronti, più è protetto.
Giovanni Musarò, come me, è nato e cresciuto in un paese della provincia di Lecce che si chiama Squinzano. Un piccolo centro in pieno declino demografico dove la Sacra Corona Unita aveva ed ha forti interessi. Mi rivolgo ai miei concittadini che, purtroppo, nella stragrande maggioranza non conoscono questa storia. Sappiate che c’ è un figlio della nostra terra che rischia la vita per contribuire ad una società migliore, che vive sotto scorta per fare con onestà il suo mestiere. Quando viene tra noi accogliamolo come merita, facciamone un simbolo della lotta a tutte le illegalità, non rimaniamo indifferenti. Soprattutto, al netto di ogni strumentalizzazione politica, facciamone un simbolo della nostra Squinzano. E’ il minimo che possiamo fare per ringraziarlo.

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos